Mi dispiace

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---- Salve a tutte ed a tutti! È la prima volta che scrivo dopo anni, quindi spero mi perdonerete le sviste. Scrivo per festeggiare questo 40esimo volume di Berserk e, soprattutto, questo nuovo capitolo. Non ho modo di ringraziare concretamente Kentaro Miura per la sua opera, quindi ecco qui un piccolo tributo. Chissà, magari avrà anche più capitoli! Per ora è solo una prova, ma non esitate a lasciarmi delle critiche. In tal modo posso anche farmi un'idea sul continuare o meno.
Questa è la mia versione di Berserk a partire dal volume 40.
Sarah -----


Questa è la storia della genesi e dell'apocalisse, tra cavalieri e briganti, vincitori e vinti. È la storia di chi, dall'alto dei cieli del Midland, ha planato con ali di cera dimenticandosi di Icaro. È la storia di chi, dal basso delle steppe del Midland, si è visto privato del Sole.

La memoria è un dovere, ed è doveroso ricordarsi di chi "è stato", di chi è "diventato", di chi "ha smesso di essere". Con la mano sul cuore e nella penombra dell'esistenza, a confine tra Inferno e Purgatorio, Guts sosteneva il fardello della memoria.Questa è la storia di Guts, appesantito dalla rabbia, indolenzito dalle ferite, scoraggiato dai tradimenti. È la storia di chi è nato baciato dalla Morte, accompagnato dal Dolore e incoraggiato dal Destino. Destino capriccioso che offre gioie su vassoi ornati da dolci sentimenti e che poi, di punto in bianco, si riprende ogni singola speranza. Destino che dà, Destino che prende.

Vent'anni sono passati da quella terribile notte. Vent'anni sono passati dal volto pallido della luna che pacatamente si affacciava sulle onde dello specchio color cremisi. Guts aveva viaggiato, aveva attraversato dune e tundre, mari e laghi, alla ricerca di quei pochi frammenti per poter salvare la sua umanità e dissetare la sua bestialità.
Lei, l'amor che tanto gli aveva dato e tanto gli aveva causato, pronunciò il suo nome. Quattro lettere ed una sillaba che, dietro l'albero che nascondeva l'animo tormentato di Guts, lo fece vibrare. Quante notti aveva sognato quel momento? Quanto tempo aveva aspettato prima di poter sentire le sue labbra scandire gentilmente il suo nome? Il Cavaliere Nero – ormai non più così nero, come diceva Isidoro – aveva imparato ad aspetta, più per costrizione che per scelta, e non si volse. Rimase di spalle, consapevole della sua condizione.
Casca lo chiamava. Casca sorrideva. Casca era Casca, una donna e non più una bambina. Con un nodo in gola, lo chiamò. « Guts » disse con la voce di chi si innamorava di nuovo.
« Guts, mi ricordo di tutto, non sei felice? Mi ricordo di te, di noi. Mi ricordo delle facce buffe di Puk, del sorriso dolce di Farnese, dello sguardo fraterno di Serpico, dei battibecchi di Schierke e Isidoro... » diceva senza prender fiato, piena di gioia. « Hai trovato una bella famiglia. Sai, è come se fossimo tornati nel passato. Con Judeau che... » Con Judeau che provava a morire nella dignità del suo amore puro e giovanile.

Casca ritornò alla vita così, col fardello che Guts si portò sulle spalle per venti lunghi e interminabili anni. Si accasciò a terra; le interiora le si rivoltarono nell'addome. Lo stomaco si compresse riportando a galla i succhi gastrici, il fegato venne schiacciato dal peso degli altri organi. Un liquido nauseabondo risalì lungo l'esofago. Vomitò a stomaco vuoto, tra gemiti ed ansimi. Vomitò anima e corpo, mentre gli occhi cercavano disperatamente Guts, tutto ciò che le rimase. Rantolava senza dignità, con lo sguardo incredulo. Cercò la sua spada, la strinse proprio come fece Guts durante le sue notti d'infanzia, e lasciò che penetrasse lentamente la sua carne. Farnese la soccorse in preda al panico, incapace di gestirla; come formiche, tutti iniziarono a mobilizzarsi attorno a lei. Ma lui, lui rimase posato contro la quercia millenaria.
Il tanfo del vomito si mescolò all'odore d'erba fresca appena tagliata e risalì per le narici di Guts.

« Mi dispiace. »

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