IV

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quegli occhi.

quei fottuti occhi
mi stanno tormentando così tanto che non riesco a porre un po' di attenzione alle lezioni, di conseguenza mi sono beccata due richiami e sono solo al secondo giorno.

sono una persona che, quando l'ansia prevale, fugge.
proprio come adesso che, per via di un attacco di panico, sono scappata dalla classe.
con la mia rinomata fortuna non potevo che incontrare il ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri con una fissa nel chiamarmi principessa.

non riesco a capacitarmi di come  faccia mette così in soggezione.
quando ci siamo scambiati qualche frase, nella sua arroganza e nella mia goffonaggine, ho creduto di conoscerlo e sono sicura di farlo tutt'ora.

la discussione con lui in quel bagno è stata qualcosa di inspiegabile.
non sopportando la troppa pressione, sono scoppiata in lacrime come una bambina viziata che non ha ottenuto ciò che desiderava.

infondo, però, sono sempre stata una bimba viziata che, al posto di frignare, se la dava a gambe levate pur di non far risultare i miei capricci un peso per i miei genitori.

ho sempre temuto che si stancassero di me, che non avessero più voglia di vedermi e sentirmi. come se non mi bastasse il fatto di essere loro figlia per sapere di essere appoggiata.
io dovevo essere perfetta, non dovevo avere il minimo difetto.

la prima volta che mio padre e mia madre mi diedero le conferme del mio ragionamento, avrò avuto sei anni e si trattava della scuola.

"ma come? solo una B? al dieci non ci potevi arrivare?" domandò severo mio padre.
"è  comunque un voto alto..." provai a difendermi.
"non è la perfezione.
ricordati che prende una B è solo il primo dei falliti!" esclamò irato in volto.
"hai ragione, papà, hai ragione."

si accorgevano di me solo per scaricare la loro frustrazione.
mio fratello, invece, nemmeno lo consideravano, d'altronde lui non era programmato: è stato, infatti, concepito per via di un disguido in una notte di focosa passione e mia madre si accorse di essere rimasta incinta solo al quarto mese di gestazione, altrimenti non dubito che avrebbe cercato di sbarazzarsene.

passato il periodo di accanimento ai voti, ecco che si presentò ai tredici anni la ragione per attaccarmi sul fisico.

"maja, tesoro, dovresti fare dello sport per togliere quei rotolini... domani ti iscrivo in palestra!" disse mia madre strizzandomi con l'indice e il pollice la pelle che circondava il girovita.

se chiudo gli occhi provo di nuovo quell'orribile angoscia, il disagio che mi copriva come una nube, l'insicurezza che mi si appiccicava addosso: ero come se fossi dentro la nebbia, tutt'ora non credo di esserne uscita.
tuttavia non posso lamentarmene, grazie a lei ho il fisico perfetto che tutte vorrebbero nonostante io non ne sia soddisfatta completamente.

credo che questo abbia aiutato ad annullare completamente la mia autostima.

ai commenti stronzi dei miei genitori, si aggiunsero quelli dei miei compagni.

"oh mio dio! ma ti stai facendo una vacca enorme! il lardo ti esce dalla faccia!" faceva male, tanto.
"non vorrei mai essere come te!" volevo nascondermi in un angolo buio della mia camera, davvero.
"spero tu muoia, rovini le mie giornate!" anch'io lo speravo, da impazzire.
e forse sono impazzita sul serio.

le persone non sanno quanto le parole possano ferire, quanto potenti siano. non li biasimo, fino al momento in cui non mi hanno ammazzata, non ne ero a conoscenza neanche io.

in realtà, il brusco aumento di peso era solo un modo per ricevere un po' di attenzione e coprire le voragine aperte dai miei genitori, dai miei compagni di classe, dalla solitudine, dalla paura, da quella maledetta perfezione irragiungibile per me, da me stessa.
era una specie di EMOTIONAL EATING, più soffrivo e più mangiavo
anzi, più mi abbuffavo.
mi avventavo su dei banchetti che superavano le cinquemila calorie.
il cibo mi appagava, mi consolava.
poi iniziavano i sensi di colpa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 06, 2019 ⏰

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sick boy. -luke hemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora