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Aveva sempre vissuto di rumori. La sua realtà non era una città, o una famiglia, o degli amici, la sua realtà era il costante gocciolìo dell'acqua qualche metro distante da lei, il battito pesante del cuore contro il suo esile petto, il graffiare delle unghie contro le pareti in lamiera, l'infilarsi di una chiave nella toppa, il lungo cigolare di un portone di metallo. Erano quei suoni il colore delle sue giornate. Dipingevano, giorno dopo giorno, il buio dei suoi occhi,il bianco delle sue pupille. Di loro aveva fatto il centro del suo universo senza tempo.Nel nero etereo in cui era precipitata anche un suo singolo sospiro la faceva sentire viva.

 Era quasi un infinito galleggiare nel vuoto il suo, se non fosse che non galleggiava affatto, anzi, le sue gambe, così fragili eppure così pesanti, erano come ancorate al suolo e da troppo tempo non rispondevano alla sua mente. Così come la sua voce. Di quella solo le urla ricordava e ora non riusciva più a fare nemmeno quello. Ogni qualvolta ci provava le usciva un solo odioso rantolo e doveva sforzarsi e contrarre tutto l'addome per ottenere quel minuscolo risultato.

Una sirena squarciò il silenzio dei suoi pensieri. Alzò la testa di scatto e si appiattì il più possibile verso la parete alle sue spalle. I suoi occhi, ciechi, cercavano di esplorare il buio della stanza. Poteva sentire i battiti del suo cuore farsi sempre più accelerati e pesanti e qualcosa che non le era nuovo iniziare a scorrerle nelle vene. Paura. 

Quel suono, lungo e continuativo, aveva infranto la sua teca di cristallo piena di abitudini e certezze, le uniche che aveva mai avuto da quando ne aveva memoria e ora, di fronte al nuovo, all'inaspettato, non sapeva reagire se non con il terrore.

Le sembrò durare ore e anche quando il suono si interruppe, poteva ancora distinguerlo chiaramente nella sua mente. Il silenzio tornò a regnare nella stanza.Rimase qualche minuto in ascolto, ma il solo rumore che dominava quella quiete ora era il solito gocciolìo a pochi metri da lei, insieme ai battiti del suo cuore che tornavano lenti e controllati. Cercò di tranquillizzarsi. Lasciò cadere le spalle morbide contro il muro e appoggiò la testa alla parete. 

Un colpo sordo la fece nuovamente irrigidire. Due. Tre. Si mise in ascolto, sperando di poter captare qualcos'altro oltre che quel suono duro e metallico. Voci, sussurri più che altro. Non riusciva a comprendere cosa dicevano, era da così tanto tempo che non sentiva il suono di due labbra che non ricordava neanche più la melodia delle parole. Aveva il cuore in gola. Le voci si erano fatte più concitate e i colpi più forti e decisi. Poi un unico grande schianto e un rumore di passi rimbombarono nella stanza. Due mani l'afferrarono per i polsi e lei rimase impietrita per qualche istante per quell'improvviso quanto estraneo calore umano. Tentò di resistere a quelle braccia che tentavano di strapparla via dal pavimento, ma era troppo debole e fragile per opporre una significativa resistenza. Intorno a lei sentiva un trafficare di persone, di mani, di voci, senza che lei potesse identificarne alcuna. Se solo fosse riuscita ad aprire gli occhi avrebbe potuto dare un senso a tutto quello ed essere meno terrorizzata. 

Si sentì sollevare da terra e una fitta acuta le attraversò la schiena. Si contorse dal dolore e le due braccia la strinsero ancora più forte, ma non riusciva a fare a meno di dimenarsi. Le sembrava che le avessero appena spezzato la colonna vertebrale. 

- Tienila ferma, Joel! Dobbiamo darci una mossa! - una voce femminile le arrivò chiara e distinta alle orecchie, ma non riusciva ad identificarne la provenienza, così come per le altre che seguirono a ruota.

- Non ce la faccio, ha un attacco di convulsioni! - 

- Lascia fare a me, scoprile il collo. -  Sentì una mano fredda scostarle i capelli e altre due tastarle ripetutamente la pelle. Cercò di liberarsi da quella morsa,  fino a che non sentì la puntura di un ago vicino all'orecchio. Pochi secondi dopo il respiro iniziò a farsi più lento, il dolore cominciò ad affievolirsi e anche i suoi rantoli le morirono piano piano in gola. Due minuti e già non sentiva quasi più niente. 

- Forza ora, portiamola via. -



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