8.

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Harry, quel giorno, tornato a casa non pensava di essere accolto dal padre. Padre che con una scintilla di felicità negli occhi gli ha chiesto durante la loro silenziosa cena una domanda che l'ha lasciato senza parole.
"Hai deciso di volerci riprovare?" gli è stato chiesto, quando stava per mandare giù un boccone d'insalata ed Harry ha scosso il capo non capendo proprio di cosa stesse parlando.
"L'American Ballet? Hai deciso di riprovarci?" Ecco, Harry ha davvero creduto d'essere morto a quella domanda e non ha capito più niente. Quando lo vede confuso, "ho ricevuto l'email di conferma per il pagamento dell'audizione" il padre si affretta a dargli spiegazioni, mostrandogli persino l'email arrivatagli e questo è troppo.
Afferra il telefono di casa e compone un numero che non avrebbe mai dovuto azzardarsi di comporre se non in casi eccezionali. Ma Harry spera gliela facciano passare per buona, perché direi che ha un ottimo motivo per comporre quel numero in piena sera.
"Devo-devo fare una chiamata." si congeda dalla cena, lasciando che il tovagliolo dalle ginocchia cada per terra. Sta elaborando le notizie che gli sono state date in pochi secondi ed è palese che solo una persona possa aver mai preso una decisione così importante al posto suo.
Due squilli, al terzo la persona che sta cercando accetta la chiamata.
"Chi parla?"
"Harry Styles, so che non è un buon orario per chiamare ma ho dovuto. Sono stato praticamente obbligato a farlo. Perché diavolo l'ha fatto? Non aveva assolutamente alcun diritto di iscrivermi, lei lo sapeva. Lo sapeva quanto non volessi mettere più piede in quella dannata scuola. Come si è permessa?" Ha parlato a macchinetta e il suo petto si muove giù e su in preda all'agitazione, il suo cuore minaccia di uscire fuori da un momento all'altro per la velocità del battito.
"Ti suggerirei un respiro profondo e di calmarti, Harry. E mi dispiace deluderti ma non sono stata io."
Persino attraverso un telefono, la voce metallica di Eleanor Calder risuona fastidiosamente saccente. Non sembra davvero sorpresa di quella chiamata, anzi la stava proprio aspettando – e ha persino azzeccato la reazione di Harry: ben poco soddisfatta. C'era da aspettarselo ma Eleanor spera che un giorno possa ringraziarla.
"Sarò calmo solo quando mi spiegherà come è possibile che una conferma d'iscrizione sia stata inviata alla mia email. Se non è stata lei, chi?"
Eleanor ride di gusto al telefono.
"Rifletti, Harry. Io non sono stata e chiunque l'abbia fatto, posso assicurarti l'ha fatto di cuore. Perché non provi a dormirci su? Domani ne riparliamo, nel mio ufficio, quando avrai sbollito." Gli augura una buonanotte e non ascolta le proteste del riccio che ripete di non attaccare la chiamata.
Tuu-tuu. La chiamata è stata interrotta ed ad Harry appare così chiaro: l'unica persona che possa aver fatto quel gesto con l'inconsapevolezza di un principiante, di una persona che non è mai stato in quei giochi prima d'ora.
Abbandona cara ed entra nel primo taxi che si ferma al suo cenno; quando il taxista gli chiede la meta, Harry sa già cosa dirgli e "Brooklyn, verso Brooklyn" gli dice.

Harry si stringe nel suo maglioncino e con tutta la forza rimastagli, bussa alla porta di casa Tomlinson. Lo sa che qualcuno deve essere ancora sveglio in quella casa – a malapena sono le dieci di sera e cazzo, la vede la luce del salotto, senza contare del frastuono che si sente.
Bussa per ben tre volte e quando alla quarta ancora nessuno mostra intenzione di aprirgli, "Louis Tomlinson!" urla il suo nome.
"Aprimi la porta, ora." Ordina imperiosamente e lo sa che con quel tono di voce non sarebbe andato molto lontano ma ormai l'approccio educato ha perso di efficacia e se c'è qualcosa che possa convincere Louis ad aprirgli la porta è solo la superbia, la boriosità, l'atteggiamento di pura superiorità che lo manda in bestia.
"Non me ne andrò da qui fin quando non mi apri."
Si siede per terra, continuando a battere con la propria testa sulla porta di casa Tomlinson. Qualcuno dovrà rispondergli, prima o poi – spera più prima che poi, Brooklyn non è sicuramente il sobborgo peggiore di New York ma Harry non può nemmeno sentirsi al sicuro circondato da un'illuminazione pubblica scarsa e auto di polizia impegnate nel servizio di ronda.
Sente la serratura scattare e si alza in fretta e furia da terra, si alliscia il pantalone e stringe i pugni, già pronto a riversare contro Louis le sue parole d'odio. Nel percorso in taxi, ha persino elaborato un discorso convincente su come non avrebbe dovuto intromettersi nella propria vita, non ne ha alcun diritto non dopo averlo chiuso fuori e abbandonato.
Il risentimento svanisce quando la figura che si appresta ad aprirgli rivela d'essere la piccola di casa, Charlotte. La ragazzina indossa una tuta over-size, i capelli biondissimi sono raccolti in una coda sfatta e si strofina gli occhi con la manica della maglietta – la somiglianza con il fratello è innegabile, l'atteggiamento sciancato e stanco gli ricorda proprio Louis dopo la prima lezione di danza classica.
"Harry." Commenta quando si rende conto che continuare a strofinarsi gli occhi non rivelerà una persona diversa sul piccolo porticato di casa. Lottie non appare essere totalmente disgustata dalla sua presenza ma la reticenza che sta dimostrando gli fa ben capire come non fosse più il benvenuto in casa.
"Lottie, ehi." La saluta educatamente. "So che non è un buon orario, ma devo parlare con tuo fratello."
La ragazza lo guarda con sospetto. Non può farlo entrare in casa una seconda volta, per giunta senza permesso.
"Questo l'avevo capito." Risponde prontamente. "Sono dieci minuti che continui a battere contro la porta." Harry si gratta la nuca, dissimulando il chiaro imbarazzo che sta provando. La vergogna gli tinge di rosso persino le orecchie. Non credeva che qualcuno al di fuori di Louis gli potesse aprire la porta e si aspettava un'accoglienza diversa – magari un pugno, o un insulto.
"Quindi, puoi capire l'urgenza. Devo davvero parlargli."
Charlotte ha la mano sul pomello della porta ed Harry già capisce che deve aver fatto la sua scelta, sarebbe stata sempre la stessa a priori di qualsiasi cosa lui potesse dire per cercare di farle cambiare idea.
"Harry, ti prego, vai via." Charlotte non vorrebbe cacciarlo, ma Louis non la perdonerebbe.
"Rimarrò qui fin quando tuo fratello non verrà a parlarmi."
"Torna a casa." Glielo dice con un sorriso comprensivo e appare improvvisamente molto più vecchia di quanto appare. Dodici, tredici anni? Con quell'espressione triste e le occhiaie sotto gli occhi acquista almeno tre, quattro anni in più.
Gli chiude la porta in faccia e gira la chiave nella toppa, con un peso in più sul cuore.
Harry sbuffa ed estrae il cellulare dalla tasca, scorre nella sua rubrica ed è indeciso, meglio un messaggio o una chiamata? Decide di aprire il contatto whatsapp di Louis e esci da casa tua, ora, suona irremovibile e lo è, non sarà di certo una dodicenne a farlo desistere dal suo proposito. È urgente, cazzo. Aggiunge, sperando di far leva almeno sul senso di preoccupazione che dovrebbe ancora nutrire nei suoi confronti.
A quel punto, decide di sedersi di nuovo per terra e non gli rimane che aspettare. Che Louis gli risponda e scenda, o lo visualizzi.
Guarda l'andirivieni delle macchine, le persone che camminano strette uno accanto all'altra parlottando del più e del meno – non può essere certo dei loro discorsi ma Harry non è un tipo che giudica dalla copertina. Immerso nei suoi pensieri non nota un uomo, avvicinarsi.
Quando ci fa caso, Harry si raddrizza dalla sua posizione gobba.
Chiunque sia, non è stabile. Cammina trascinandosi i piedi dietro come se camminare fosse uno sforzo eccessivo, il suo corpo balla a destra e sinistra, l'equilibrio deve essere andato a farsi benedire già da un po' a giudicare dall'incapacità di rimanere fermo su entrambi i piedi.
Un ubriaco, niente di più. Ne vede a bizzeffe anche nella New York per bene, questa è la definizione dei più ma ad Harry non piace utilizzarla.
Un campanello d'allarme s'innesta nel riccio quando vede l'uomo camminare verso casa Tomlinson. Da vicino, Harry constata come le sue pupille siano abbastanza dilatate e gli occhi siano indubbiamente il tratto distintivo di quella casa.
"Ti conosco?" Gli punta un dito contro, avvicinandosi. Harry scuote il capo in segno di diniego, non sa neanche come comportarsi – gli ubriachi non dovrebbero essere pericolosi, giusto? Taylor quando è ubriaca diventa una delle persone più recessive che abbia mai conosciuto. Si rende conto di come quell'esempio non fosse valido, soprattutto perché l'uomo di fronte a lui non pesa cinquanta chili e non ha una parrucca bionda in testa.
"Che ci fai qui? A casa mia!" Quasi ringhia come uno dei peggiori cani tenuto in cattività per mesi. Harry alza le mani in segno di resa, volendogli far capire di non essere una minaccia.
"Sono un amico di Louis, suo figlio?" Tenta la fortuna, anche se ne è sicuro all'ottanta per cento. Buon sangue, non mente. E per quanto i tratti di Louis appaiano più delicati e femminili, il solco delle sopracciglia e l'espressione contrariata sono pressoché identiche.
Il Signor Tomlinson sbuffa e parla tra sé e sé, di qualcosa di poco chiaro alle orecchie del riccio.
"Ah, sei tu il frocio che si inchiappetta mio figlio?" Sputa con odio quelle parole, guardandolo con gli occhi colorati di disgusto. Harry si trova incastrato, ora, in una situazione poco piacevole e non riesce nemmeno a mascherare l'orrore che prova nei confronti di quell'uomo.
"Rispondimi!" Lo spintona lontano dalla porta d'ingresso di casa, già disgustato al solo pensiero di avere uno come lui troppo vicino alla sua famiglia.
"Non sono il fidanzato di suo figlio, Signor Tomlinson." Parla educatamente, forse fin troppo alle orecchie di quell'ubriaco che a grandi falcate lo raggiunge stringendolo per la maglia.
"Però sei finocchio, no? Dillo, dai" pronuncia quelle parole con la voglia di picchiarlo e lo farebbe, anzi il pugno è già lì pronto a imbattersi con violenza sul volto di Harry se solo Louis non avesse avuto l'accortezza di visualizzare quei messaggi.
Louis ha aperto la porta di casa sua, immaginandosi di trovare un'Harry incazzato sull'uscio per chissà quale dannata ragione e invece, vede suo padre con le mani intorno al maglioncino del ragazzo.
"Sono gay, sì, ma-" La volontà di picchiarlo scompare quando sente quelle parole uscire di bocca dal riccio, lo spinge via con forza disgustato ed Harry cade per terra. Louis è già su suo padre volendolo tirare con forza dentro casa, quando per caso i suoi occhi azzurri cadono sui palmi della mano di Harry e vede del sangue.
"Ah, lo difendi? Cristo, avrei desiderato tutto nella vita meno che un figlio frocio"
Era un uomo violento, abusivo ed Harry se ne rende conto quella notte quando vede Louis parlargli con lentezza, come si fa con gli animali fuori controllo. E cosa si fa con gli animali fuori dalla gabbia quando non si riesce a placarli? O li si abbatte o ci si fa uccidere.
"Hai già dato spettacolo, stai zitto" e si limita a tirargli un pugno dritto sul naso. Quello sembra destabilizzarlo momentaneamente, il padre si tiene il naso sanguinante con un mano e balbetta frasi incomprensibili camminando alla cieca.
Louis lo lascia entrare in casa barcollante e poi guarda Harry, che si è rialzato da terra e minimizza il danno strofinandosi le mani sul pantalone scuro. Il riccio gli si avvicina e la rabbia non c'è, negli occhi verdi legge solo tanta apprensione.
"Non saresti dovuto venire qui." Louis non avrebbe mai voluto incontrasse la sua famiglia e se mai fosse capitato, avrebbe gradito – e sta anche esagerando – solo la presenza della madre. Ha sempre voluto fosse così perché non vuole la pena di nessuno ed ora Harry lo sta guardando e già sa cosa sta per dirgli.
"Non potete rimanere in casa, con lui!" Sbraita Harry indicando la porta spalancata. "C'è tua sorella in casa, Louis, per l'amore del cielo!" Fosse per lui, ospiterebbe tutti da lui e sarebbero al sicuro.
Quel commento, se possibile, stuzzica ancor di più la rabbia di Louis che sbatte la porta alle sue spalle e si avvicina ad Harry sistemandogli il maglioncino con lentezza, lisciandogli le pieghe date dalla caduta al suolo.
"Ascoltami bene, Harry. Ora tu te ne torni a casa tua, nella tua perfetta vita, e te ne stai tranquillo lontano da questo fottuto casino. Non pensare alla mia vita, non pensare a quello che hai visto stanotte. Vattene e non tornare più, sono stato chiaro?" E poi lancia un fischio, sapendo che di taxi quella zona fosse piena.
Harry rimane a guardare fisso la porta oltre la quale Louis è stato inghiottito e prega, prega di vederlo l'indomani alla Maryland.

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