Quando Yoongi, disteso sul divano in cucina, lontano dal letto incriminato, chiuse finalmente gli occhi, il Tanuki aprì i suoi. Seppe che era notte e si domandò come facesse a saperlo, prima di scorgere la luna puntatagli addosso come un riflettore, oltre il rettangolo nitido di una finestra. Una finestra! Il demone cane fu in piedi prima ancora che il cervello prendesse consapevolezza di aver impartito quel movimento; traballò sulle due zampe posteriori (gambe!) così scomode, appoggiando le anteriori sui battenti di vetro che lo separavano dall'esterno. Fece appena in tempo a sentire il freddo sui palmi, poi fu sbalzato via, come se avesse appena ricevuto un pugno invisibile in pieno petto. Arretrando senza volerlo, barcollò su quegli stupidi piedi e inciampò in una catena lunga e sottile come una collana d'argento, fissatagli alla caviglia da un anello altrettanto snello e freddo. Ricadde sul fagotto di coperte da dove si era appena alzato e un dolore lancinante gli attraversò la schiena, diramandosi dalla base della colonna vertebrale, dove il calore gli fece credere di essere appena stato marchiato a fuoco.
Imprecò, prendendosi la testa fra le mani. Era stato protagonista di un balletto ridicolo, eseguito a velocità raddoppiata, e adesso aveva bisogno di ripercorre ogni passo a ritroso. Si sollevò di nuovo, ignorando il tremore alle ginocchia. Intravide, pur senza avvicinarsi, un simbolo ovale intagliato sulla cornice di legno della finestra: un sigillo di Confinamento. Nel guardarlo, la fitta alla schiena tornò e il Tanuki allungò la mano verso il suo epicentro, quasi sperando di afferrare il dolore; toccò invece una cicatrice circolare, poco più piccola del suo pugno, attraversata all'interno da piccole rune pungenti. Un altro sigillo. Il cuore del Tanuki perse un battito, mentre faceva scendere fin troppo lentamente la mano più in basso, terrorizzato da ciò che immaginava non avrebbe trovato. Ma, per fortuna, si sbagliava: la sua coda era ancora lì, orgogliosamente al suo posto, tanto lunga da strofinare sul pavimento. Fu lì che il Tanuki ricadde, stavolta di propria volontà, sospirando di un sollievo rivitalizzante, seppur momentaneo.
"Se non ci fosse stata, l'avrei notato subito. Forse non sarei stato neanche in grado di alzarmi."
La accarezzò leggermente, reprimendo un brivido, per poi chinarsi ad osservarla più da vicino; voleva comprendere la funzione del sigillo che gli era stato imposto sulla schiena. Notò uno strano rigonfiamento dell'aria attorno ai peli fulvi, come se quelli, sospesi nel vuoto, non riuscissero a fenderla. L'assenza di spore sul suo giaciglio lo aiutò a completare il puzzle.
"Davvero ingegnoso."
Sospirò, distendendo stancamente le gambe. L'anello alla caviglia tintinnò e gli ricordò che non aveva più un guinzaglio. Il cuore gli schizzò in gola, dove finirono anche le sue mani, a tastare disperate la pelle ustionata, priva di qualsiasi collare. L'essere stato catturato, imprigionato e adesso sfruttato, come un semplice animale d'allevamento, per quanto lo offendesse, non era niente di straordinario; la sua vita era sempre stata un tentativo di fuga perenne: dalla sua tana nel bosco, dalle trappole trancia tibie tra i cespugli, dalle gabbie nascoste in scantinati tetri, o dalle celle luminose di laboratori accecanti. La sua realtà, l'unica che avesse mai conosciuto, era quella del mondo in movimento attorno a lui, delle zampe veloci sul terriccio umido, dello scorrere dei fiumi insieme a quello delle foglie sulla sua testa, degli anni che lo rafforzavano, rendendo il terrore piacevole, l'ansia adrenalinica, la sopravvivenza una sfida eccitante. Eppure, negli ultimi tempi, il demone aveva scoperto quanto appagante fosse stare fermo; dormire per ore di fila senza rizzare il pelo al minimo rumore; lasciarsi accarezzare da una mano calda senza mai temerla. Sì, fermarsi a volte era la cosa migliore: l'unico vertice di una vita fatta di linee impazzite, di lunghezze e colori diversi, moltiplicabili all'infinito, eppure tutte destinate ad incontrarsi lì, in quel punto più scuro, immobile e per questo rassicurante.
Perciò no, essere di nuovo incatenato e usato per fini a lui sconosciuti non era un gran dramma, perlomeno non era diverso da tutti quelli che in passato aveva brillantemente superato. Ma ritrovarsi senza collare fu come essere derubato del proprio vertice, del centro che tanto aveva faticato a trovare, a costruire, ad amare. Il punto nero era stato cancellato e ogni linea adesso si dirigeva verso il nulla, da sola.
"Non è così grave" il Tanuki dondolò sul posto, gli artigli ancora a sfiorare il collo nudo. "In ogni caso, non avrei potuto rispondere al richiamo. Alla lunga averlo sarebbe stato frustrante."
Ma anche confortante, sentire la pelle bruciare e sapere che qualcuno lo stava cercando. Che loro non l'avrebbero abbandonato. Eppure, in antitesi, sperò che non fossero in pericolo, che non avessero trovato la Pietra...
Tristemente, le unghie del demone corsero alla nuca, dove i fori dell'inibitore erano ancora ben visibili. Provare ad estrarre il chip, senza magia, sarebbe stato doloroso. Gli inibitori subcutanei agivano in profondità e dovevano essere ricaricati circa ogni due giorni, attraverso i buchi causati dalla prima iniezione. L'ibrido pensò che forse sarebbe stato meglio aspettare, magari sperare che il suo rapitore dimenticasse di pungerlo di nuovo, o attaccarlo quando avrebbe riprovato a farlo. Non sembrava un tipo molto sveglio, dopotutto.
"Da un intoccabile, cos'altro potevo aspettarmi?"
Fece vagare lo sguardo nella misera stanzetta in cui era stato rinchiuso: poco più del doppio rispetto alla cabina armadio, mortalmente vuota e impersonale, con un termosifone arrugginito che faceva da piolo alla sua catena, una vecchia scrivania vicino alla porta, e quella finestra, piazzata sulla parete a cui lui stava appoggiato, un pezzo di mondo esibito come insulto della sua prigionia.
Accanto alle coperte, più numerose e più morbide, che adesso gli facevano da letto, era stata adagiata una pila di vestiti, opera orgogliosa di una colf attenta e premurosa.
"Il lupo."
Il Tanuki sbuffò al ricordo del morso che aveva dato all'altro ibrido, suo unico alleato in quella combriccola di sedicenti fuorilegge; poi, esaminò i vestiti: quella pelle priva di peli iniziava a dargli su i nervi. Era evidente che a prepararli fosse stato un altro famiglio: la felpa nera era larga e lunghissima, con uno squarcio dentellato all'altezza dell'attaccatura della coda. Il demone la infilò sulla canotta che aveva già, lanciando poi uno sguardo di disgusto ai jeans; con quelli non ci avrebbe neanche provato. Ai calzettoni di piuma blu, invece, avrebbe dato una chance. Passò i cinque minuti successivi a stracciarsi i collant ormai inutili e decisamente pungenti, per sostituirli con le calze, più calde e alte fino al ginocchio. O meglio, con una calza, perché fu impossibile far passare quella destra attraverso l'anello alla caviglia. Il demone la lasciò perdere, indispettito, prima di accucciarsi tra le coperte con un sospiro. Senza tessuti costrittivi tra le cosce stava molto meglio e la mancanza di frizione garantita dalla felpa lo rilassò. Odiava essere in calore, per così tanti motivi che anche solo elencarli lo stancava: le spore come pioggia costante sulla pelliccia; gli scatti nervosi della mattina e il languore dilaniante della sera; la ricerca spasmodica di un compagno, che diventava prioritaria anche rispetto a quella del cibo; e poi, ovviamente, c'era la coda, così ipersensibile che a volte se la sarebbe volentieri tagliata da solo. Quell'anno l'arrivo del calore l'aveva infastidito anche più del solito: loro non gli impedivano di scorrazzare per la foresta, sulle tracce di Alpha della stessa specie, ma lui detestava l'idea di non potersi rendere utile solo perché afflitto da bisogni sessuali di cui, tra l'altro, tutti erano a conoscenza.
"Essere rinchiuso qui direi che risolve il problema."
Guardò le pareti attorno a lui, scoraggiato. Segregato in una casa meno che umana -da intoccabile!-, attorniato da sputi di incantesimi di terzo livello e tenuto lontano dalla foresta, probabilmente la sua libido si sarebbe ripresentata meno esigente che in passato. Tanto meglio, se questo significava intralciare il piano di raccolta di spore del suo carceriere.
Yoongi.
Se non fosse stato per i suoi amici, il Tanuki era sicuro che quel pomeriggio sarebbe riuscito a sfuggirgli. E magari, anche ad ucciderlo...
"No. Questo non posso farlo. Non devo più farlo."
L'ibrido schioccò la lingua, infastidito. Non sapeva se la legittima difesa fosse un buon motivo per violare un patto stipulato con tante buone intenzioni, così poco tempo prima. Eppure...
"Eppure niente! È solo uno stupido intoccabile, non varrebbe la pena farlo fuori. Probabilmente non capisce neanche ciò che sta facendo. Che mi sta facendo..."
Mise un freno a quelle riflessioni; ammettere l'inferiorità ma anche l'evidente confusione del nemico rischiava di attenuare la sua rabbia e di fargli abbassare troppo la guardia. E se voleva uscire da lì, questo non poteva permetterselo.
"Spero che quell'intoccabile sia di parola, almeno per quanto riguarda il cibo."
I morsi della fame si facevano sentire e gli tennero compagnia nella notte insonne. Per placarli, misurò parecchie volte la sua nuova dimora, gattonando scompostamente da una parete all'altra, annusando ogni angolo, graffiando ogni superfice. Stare a quattro zampe in forma umana era scomodo quanto provare ad alzarsi, ma farlo gli procurava un senso d'intima connessione con la propria identità, una certezza d'appartenenza che neanche l'appartenere a qualcun altro avrebbe potuto scalfire. Così la luna si appannò e il sole corse a sostituirla in cielo. Stanco di gattonare, con le ginocchia arrossate, il Tanuki prese a rosicchiare la sua catenina magica e poi a farla sbattere contro le griglie del termosifone, come un musicista tutto preso da una nuova composizione. Infine, anche il fracasso lo annoiò, quindi tornò al suo giaciglio, punzecchiando i cuscini con gli artigli; in forma umana, anche quelli erano, come il resto del suo corpo, vergognosamente fragili, per questo non provò mai a scavarsi un tunnel nella carne per raggiungere il chip dell'inibitore; per il momento, voleva salvaguardarli, nel caso avesse dovuto usarli contro qualcun altro.
Un qualcun altro che fece la sua comparsa a mattinata inoltrata, aprendo la porta della camera con un piatto in mano.
«Ho fatto tardi» borbottò e poi fece slittare il piatto sul pavimento. Quello si fermò dopo pochi centimetri, per l'attrito con la moquette, come il disco di un mangianastri rotto.
Il Tanuki, che aveva smesso di bucherellare i cuscini, fissò prima la carne fumante e poi il cameriere che gliel'aveva offerta. Il suo rapitore aveva un aspetto miserabile, con jeans larghi e strappati, felpa sgualcita e capellino dalla visiera molle in testa. Il viso, singolarmente appuntito, era bianco come un cencio e ospitava due occhi spenti e lontani. Neanche lui doveva aver dormito molto.
Era una notizia positiva e il demone se ne compiacque abbastanza da non fingere indifferenza per il cibo: si allungò verso il piatto, facendo tintinnare la catena, e mangiò davanti alla porta, a mezzo metro dal suo carceriere.
«Ti sono piaciuti i vestiti» commentò proprio lui, atono, sedendosi sul pavimento. «Niente pantaloni?»
Quei tentativi di familiarizzazione irritavano il detenuto, ma la notte insonne, la fame e tutto il tempo che aveva avuto per valutare i pro e i contro della situazione, lo avevano portato ad una conclusione: il suo rapitore era un inetto. La sua volontà, leggera e cangiante come una bandiera al vento. I suoi rovesci di collera, solo acquazzoni estivi improvvisi. Quindi familiarizzare, fare conoscenza, rendersi umano ai suoi occhi, era una strategia da prendere in considerazione. Decise di metterla alla prova subito dopo aver finito la sua bistecca al sangue.
«Non mi piacciono i pantaloni» rispose. «Voglio delle calze più lunghe. E anche una caviglia senza catene per indossarle, magari.»
«Non resterai qui abbastanza a lungo da aver bisogno di rifarti il guardaroba.»
«Che vuoi dire? Ti sei già stancato della mia compagnia?»
L'ibrido non credeva che avrebbe mai ottenuto una risposta degna di nota e neanche l'intoccabile avrebbe voluto darne una, ma nella sua testa era in corso un conflitto a fuoco. Aveva passato la maggior parte della notte a rigirarsi sul divano, i pensieri offuscati dal mal di testa e il cuore un tamburo d'ansia. Ogni rumore era il Tanuki riuscito ad evadere e pronto ad azzannarlo alla gola; ogni ombra sul balcone era lo stregone suo padrone, venuto a punirlo; ogni vibrazione del telefono era un messaggio di Coole, che gli annunciava che non c'era più tempo, che Domus si era stancato...
Ma la cosa peggiore era la voce di Hope, un'eco saggia e biasimante che gli importunava i pensieri. Per metterla a tacere, l'intoccabile aveva dato fondo a tutti i suoi pacchi di sigarette, studiato un paio di commissioni ottenute per la settimana successiva e poi risvegliato il suo spirito d'iniziativa, mettendosi ai fornelli. Mentiva a se stesso dicendosi che quel pasto non voleva essere un'offerta di pace. E riuscì a convincersi che anche il desiderio di spiegarsi, di essere sincero, non fosse niente più che un dovere nei confronti del suo prigioniero, quando in realtà sarebbe stato più utile a lui, per lenire il suo senso di colpa. Quindi, dopo essersi massaggiato il collo in un gesto di resa, si azzardò a ricambiare lo sguardo degli occhi verdi che lo fissavano.
«La tua compagnia non la vorrei affatto» sputò. «Ma devo tirarmi fuori dal casino in cui mi hai buttato. E dato che è colpa tua, chiederti una mano mi sembra il minimo.»
Il Tanuki sbuffò, stizzito. «Non mi pare che tu abbia chiesto niente. Soprattutto questa.»
Fece ondeggiare elegantemente la coda e Yoongi poté scorgere alcuni granuli dorati ronzargli attorno, prima di essere inghiottiti dalla pellicola permeante di Jin.
«Me ne serve almeno un chilo» sbottò di getto, fattosi prendere dalla frenesia. «Di quanto tempo hai bisogno per un chilo?»
Il Tanuki si pulì le dita artigliate, con cui aveva sminuzzato il pranzo, e poi scoppiò in una risata acuta e sprezzante.
«E come potrei saperlo? Pensi che mi metta a contarle ogni giorno? Certo, rinchiuso qui dentro, potrei anche provarci; saranno sicuramente meno del solito...»
«Meno del solito? Perché dovrebbero essere meno del solito?»
«Non hai mai avuto una compagna?»
Yoongi inarcò un sopracciglio. Il suo progetto di redenzione stava esondando in un territorio decisamente troppo confidenziale.
«Cosa c'entra questo?»
«Umh forse ho sbagliato» il Tanuki leccò il piatto, sogghignando poi amabilmente. «Pensavo che anche nei rituali di accoppiamento umani la presenza di un ipotetico partner aiutasse la spinta ormonale. Vedi, di solito non ho parecchi contatti con altri esemplari della mia specie, ma sicuramente stare chiuso qui non stimola il mio desiderio di ricerca. E quindi neanche la produzione di spore. Tu riusciresti ad attrarre o a sentirti attratto da qualcuno, rimanendo fermo in una stanza vuota?»
Yoongi si concesse un risolino sincero.
«Ho capito. Mi stai dicendo che vorresti essere portato a fare una passeggiata al parco, sperando d'incontrare lì l'amore. Giusto?»
Il riferimento agli animali domestici oltraggiò il demone. Respinse il piatto vuoto verso la porta, tanto forte che l'intoccabile se lo ritrovò tra le gambe.
«Scoprirai che ho ragione» sussurrò, minaccioso, prima di tornarsene tra le coperte gattonando.
Yoongi si rialzò, più contrariato che sollevato dalla pseudo confessione che era riuscito a fare. Quel maledetto ibrido lo mandava nel pallone: la facilità con cui passava dall'odio alla disperazione, dalla reticenza alla socievolezza, lasciavano trasparire un fondo di falsità in ognuno di quei sentimenti, come un pizzico di sale gettato nel vino, di cui si percepisce il sapore, ma la cui esistenza può essere accertata solo una volta che il liquido rosso è scomparso, rivelando un sedimento bianco sul fondo.
Yoongi non poteva rischiare di bere per intero quel bicchiere contraffatto, soprattutto perché era sicuro che al posto del sale, il suo caro famiglio ci avrebbe messo volentieri del veleno. Caduto preda del rimorso, si era dimostrato troppo amichevole, forse abbastanza da essere ritenuto ingenuo, se non debole. Lanciò un'occhiata al Tanuki, accoccolatosi sulle coperte in modo da dargli le spalle.
"Stare il più a lungo possibile fuori di casa sarebbe davvero la cosa migliore da fare."
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Shine on me (completa)
FanfictieIn un mondo in cui la Magia è come l'aria, Yoongi, incapace di usarla, sopravvive ai margini della società, grazie a furti e traffici illeciti. La sua vita cambia quando, nel bel mezzo di un colpo, la refurtiva gli viene sottratta da una strana volp...