Be Free

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«È proprio sicura della sua scelta?» mi chiese con tono fermo e serio il signor Brinlay, nonché direttore dell'istituto per adolescenti con problemi che frequentavo.

«Sì, ne sono più che certa»affermai con tono sicuro. Erano due anni che vivevo qui, insieme a molti altri adolescenti affetti da vari disturbi quali anoressia, bipolarismo, amnesia globale ecc...

Io soffrivo di depressione. Non so per certo cosa causò questo disturbo, ma fatto sta che la prima cosa che i miei genitori fecero, fu spedirmi qui, per farmi curare. All'inizio non accettai la proposta e ne soffrii molto, ma in seguito riuscii a convincermi del fatto che i miei genitori lo avessero fatto per il mio bene e non per sbarazzarsi di me.

Sono stati anni molto turbolenti, tra psicologi, consulenti psichici e aiutanti. Continuavo i miei studi nelle aule al secondo piano assieme ad altri ragazzi, eravamo divisi a seconda dell'età e delle condizioni psicologiche. Non eravamo dei pazzi certo, solo che c'erano parecchi pazienti che soffrivano di instabilità psichica, alcuni erano davvero pericolosi. Ma io mi sentivo diversa da tutti, loro sono stati obbligati, mentre io ero lì per mia scelta... Sono stata io ad approvare la permanenza prolungata nell'istituto.

Poi la mia situazione era molto particolare. Di norma sono sempre stata una ragazza molto allegra, vivace e combina guai ma ho dei momenti -per la quale mi è stata diagnosticata la patologia- in cui vorrei sparire dalla faccia della terra, momenti in cui piango a dirotto, momenti in cui mi sento appesa ad un filo e capace di crollare da un momento all'altro, momenti in cui mi sento una briciola in mezzo al deserto, momenti in cui vorrei morire. Subisco cambiamenti repentini, arrivo da un estremo all'altro in meno di tre minuti e non capisco più nulla. Parlo al presente, perché non sono sicura della mia completa guarigione, so per certo che i sintomi potrebbero ripresentarsi in qualsiasi momento, ma la differenza, è che ora posso controllarmi.

Non ho più bisogno di tutte quelle attenzioni da parte di gente che si sente obbligata a dovermi aiutare, giusto perché è il loro lavoro.

Ora so come comportarmi e so come prevenire futuri attacchi depressivi, so come poter controllare la mia vita, e lo farò.

«Perfetto, allora mi segua. Dovrà firmare alcuni fogli assieme a sua madre, e poi potrà andarsene quando vorrà» dal viso del direttore non trasparivano emozioni, sembrava indifferente all'abbandono dell'istituto da parte di una paziente. Meglio così, me ne sarei potuta andare senza rimorsi, nonostante non avessi legato con nessuno mi sentivo in debito con tutti qui dentro.

«Ci sono anche i miei genitori?» domandai emozionata all'idea di poterli rivedere e di poter lasciare questo posto con loro.

«Mi pare di aver parlato chiaramente, c'è solo sua madre. Forza scendiamo»rispose atono il direttore. Sorrisi e lo seguii nelle scale che portavano al piano terra, dove si trovava il suo ufficio.

Percorsi le solite scale pulite, se c'era qualcosa che non mancava era la pulizia qui dentro, e arrivai al corridoio principale. Stavo sudando e sentivo di poter scoppiare da un momento all'altro, sarei uscita da lì per sempre e avrei ricominciato a vivere. Arrivammo di fronte alla porta dell'ufficio, il direttore aprì la porta e mi lasciò entrare. Vidi mia madre mordersi le unghie chiaramente nervosa, e non appena incrociai il suo sguardo sorrisi e corsi verso di lei per abbracciarla.

«Mamma, mi sei mancata molto nonostante ti abbia appena vista ieri» esclamai con una nota di ironia.

L'istituto non era una prigione, e nel weekend potevamo benissimo vedere i nostri genitori nella sala incontro e stare con loro per l'intera giornata.

«Anche tu mi sei mancata, non vedo l'ora di portarti a casa» mi rispose con le lacrime agli occhi, non potei non commuovermi e dopo averla riabbracciata una seconda volta il direttore ci interruppe.

«Ehm, non vorrei risultare scortese, ma se vuole che sua figlia esca deve firmare un paio di fogli» sorrisi e indussi mia madre a firmare.

Terminato tutto, il direttore ci disse che sarei potuta ritornare non appena i sintomi depressivi si fossero ripresentati. Lo ringraziai, ma mentalmente pensai che non avrei mai più rimesso piede lì dentro, cascasse il mondo. Dopo aver salutato tutto il personale, i superiori, i cuochi, gli insegnanti, gli psicologi e gli aiutanti, raggiunsi mia madre in macchina e dopo aver caricato la mia piccola valigia mi girai ad osservare l'istituto per l'ultima volta.

Quella costruzione che tanto mi aveva aiutato quanto fatto soffrire, era ormai il passato e promisi a me stessa di non tornarci mai più.
SPAZIO AUTRICE
INIZIO COL DIRVI CHE LA STORIA NON È MIA, E DI UN ALTRA RAGAZZA DA QUI HO AVUTO IL PERMESSO DI POSTARE LA SUA STORIA IN QUESTO SITO, SPERO VI SIA PIACIUTO
BACIONI
-ORESTJA

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