La mia nuova realtà

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04 Settembre 2015

Il sole era già alto sopra l'accampamento quando mi svegliai.
Ero troppo stanca per lanciarmi immediatamente in un'altra giornata piena di problemi, ma dovevo partecipare ad una riunione ed ero già in ritardo, così mi costrinsi ad alzarmi.
Mi stiracchiai e poggiai i piedi sul pavimento di tessuto della mia stanza nella tenda, era qui che da due anni vivevo con le miei cugine, nascoste e lontane da tutta quella che era stata la nostra vita.
Eravamo dei ricercati, noi ed altre migliaia di persone che erano riuscite a sfuggire alle spire della nuova Signora Oscura.
Il Mondo Magico era di nuovo sotto scacco e noi ci trovavamo ad essere l'unico argine contro questa nuova dittatura.
Ci eravamo organizzati creando degli accampamenti in tutta la Gran Bretagna, zone sicure ed introvabili, dove chiunque scappasse dalla furia di questo nuovo Leviatano potesse nascondersi e sopravvivere.
Eravamo riusciti a creare delle comunità e solo nel mio campo avevamo raccolto più di trecento sopravvissuti, tra cui molti bambini e non potevamo esserne più felici.
Intanto, sempre in questi luoghi, ci si organizzava per resistere e tentare di liberare il nostro mondo dalla minaccia di Delphi.
Una ragazza poco più grande di me, ma molto potente, in grado di utilizzare la Magia Oscura e che si diceva fosse la figlia di Voldemort.
Era stata lei a prendere in mano la guida del Ministero dopo aver distrutto ogni sua componente, aiutata da una folta schiera di sostenitori inebriati dalle parole di quella giovane.
Dopo essermi lavata, indossai una vecchia felpa di Hogwarts appartenuta a James, dei jeans ed un paio di scarponcini e mi decisi ad uscire dalla tenda.
Il famigliare odore di bosco invase le mie narici, insieme al chiasso delle voci dei maghi che portavano avanti i loro compiti giornalieri, senza alcuna parvenza di felicità.
La rassegnazione era l'emozione che si leggeva su ognuno di quei volti, anche i bambini sembravano non avere speranza ed era questa la parte più frustrante.
I più piccoli sono la manifestazione del futuro, la concreta testimonianza che si potrà sempre migliorare e credere in una realtà diversa, ma se sono loro i primi a non confidare in ciò vuol dire che quasi tutto è perduto.
Vivere in mezzo alla guerra è quello che nessuno vorrebbe ritrovarsi a fare, perché non c'è nulla di più orribile e noi lo sapevamo bene, avevamo perso molto in quegli anni.
Zia Audrey, zio Bill, zia Luna, Alice Paciock e molti altri nomi che ogni giorno andavano ad aggiungersi ad un'infinita lista di morte e sofferenza.
Il dolore era diventato un fedele compagno, un'ombra che ti seguiva continuamente e con la quale rischiavi di soffocare.
Questo capitava spesso in una situazione come la nostra, perciò dovevi imparare a lasciare che ti scivolasse addosso.
Sembrerà orribile dirlo, ma l'unica possibilità era capire come chiuderlo in uno spazio del cervello dove sarebbe stato difficile ritrovarlo, per poi dimenticare.
Solo così si poteva sopravvivere a tutto quel male, dovevi ignorare il puzzo di morte ed andare avanti, oppure saresti stato il prossimo.
E non parlo solo di morte fisica, quella sarebbe potuta essere un sollievo in molti momenti, ma di quella mentale: la vera tragedia.
In molti si trascinavano in giro per il campo, completamente apatici ed era la fine peggiore che qualcuno potesse fare.
Zia Fleur ne era l'esempio: dopo la tragica morte dell'amato marito era diventata l'involucro vuoto della potente strega e della donna forte che era stata, ma nessuno poteva farle una colpa del suo dolore e nessuno era stato in grado di aiutarla, l'unica cosa che avevamo potuto fare era stata accettare di vederla trascinarsi in giro senza più la minima parvenza di emozione.
Quindi, eri costretto piangere il lutto il meno possibile e dovevi concentrarti sui vivi, per i morti ci sarebbe stato tempo a libertà  ritrovata o non ne avremmo avuto mai più.
In guerra bisogna cambiare, appuntire ogni angolo del tuo carattere e della tua mente, tentare in ogni modo di sopravvivere e di tenere al sicuro tutti i tuoi cari.
Questo avevo fatto, mi ero adattata alla situazione, non potevo permettermi di diventare uno zombie da viva.
Camminai lungo il prato, scambiando qualche convenevole con le persone lì attorno e mi diressi verso la tenda al centro del campo.
Se prima della guerra non ero mai stata più di una semplice ragazza secchiona ed una buona giocatrice di Quidditch come tante altre, da quando la guerra era iniziata ero divenuta un punto di riferimento per molti, la gente mi guardava con rispetto e si fidava dei miei consigli.
Quel ruolo mi aveva costretto a diventare molto responsabile in poco tempo e mi aveva spinto ad indurire il mio carattere, tanto da rendermi una buona guida.
Raggiunsi la più grande struttura dell'accampamento, quello era il quartier generale, la roccaforte dove la resistenza veniva organizzata e dove le missioni venivano ideate.
All'apparenza poteva sembrare una normale tenda da otto persone, o almeno ad una Babbano sarebbe parsa così, ma al suo interno nascondeva una gigantesca stanza rotonda.
Le pareti erano di una bella fantasia tra l'oro ed il rosso, come i colori di Grifondoro.
Scostai la tenda grigia ed entrai nella grande stanza, il famigliare tavolo rotondo troneggiava in mezzo alla sala ed il fuoco magico scoppiettava nel braciere rendendo l'ambiente caldo e meno rigido rispetto alla brezza autunnale che iniziava ad invadere i boschi.
Albus, James, Fred, Roxanne, Teddy, Lorcan, i miei zii ed i miei genitori erano già disposti intorno al tavolo presi a visionare chissà quale tipo di mappa o progetto.
«Se riuscissimo ad entrare di qua potremmo...» stava spiegando James, prima di accorgersi della mia presenza «Benvenuta tra noi» riprese ironico, lanciandomi un'occhiata al cianuro.
Avevo fatto tardi, molto tardi e sicuramente non avrei potuto pretendere chissà quale calorosa accoglienza.
«Scusate, ma ho dovuto risolvere una piccola questione» dissi, tentando di evitare di dire che mi ero riaddormentata, nonostante fossi consapevole che avrei fatto tardi alla riunione.
Raggiunsi il tavolo e mi affiancai ad Albus e a Lorcan, entrambi mi lanciarono uno sguardo indagatore, ma mi limitai a fare spallucce, per poi iniziare a concentrarmi sulle pergamene sparse sul tavolo.
Una serie di fogli erano rovesciati alla rinfusa sopra ad una cartina, di quello che sembrava un gigantesco edificio, composto da non so quante stanze.
«Che mi sono persa?» domandai con la volontà di aiutare in quella che, probabilmente, sarebbe stata un'impresa molto difficile.
«Ci è arrivata una soffiata da Hogwarts» iniziò zio Harry, fissando la mappa del Castello, massaggiandosi la tempia sinistra con l'indice «I nostri uomini, hanno notato degli strani movimenti all'interno».
Un brivido mi percorse la schiena, il solo sentire il nome di quella scuola mi aveva fatto venire la pelle d'oca, troppi ricordi mi sarebbero passati per la testa se non li avessi subito repressi.
Non potevo ricadere nelle vecchie abitudini, la vecchia Rose era morta insieme alla realtà in cui era vissuta; niente mi avrebbe dovuto legare a quel luogo, eppure quel  posto ed il ragazzo che avevo lasciato al suo interno non mi erano mai usciti dalla testa.
«Che genere di "strani movimenti"?» chiesi, tentando di tenere la voce il più sicura possibile e nascondendo il nervosismo che il solo sentire quel nome mi aveva provocato «E cosa dovremmo fare noi a riguardo?».
«Sembrerebbe che i Mangiamorte stiano cercando di rimpinguare le loro file, marchiando alcuni ragazzi» spiegò mia madre, con voce sconsolata.
Mi sentivo come se fossi stata appena colpita da un tir, avevano appena scoperto quello che io già sapevo da un pezzo.
Il nostro segreto, la mia vergogna, erano diventati di dominio pubblico ed io mi sentivo colpevole di aver omesso una così grande notizia per così tanto tempo, ma ormai non potevo più farci nulla: era finita.
Inspirai profondamente tentando di calmare i nervi, non potevo uscire allo scoperto, mi avrebbero odiato se avessero saputo.
Guardai mia madre cercando un appiglio, qualche informazione in più su quanto stesse accendendo all'interno del Castello, ma rimase in silenzio torturandosi le labbra.
Faceva sempre così quando non riusciva a venire a capo di qualcosa, non avere una soluzione per lei era incredibilmente frustrante, come se sapesse che tutti contavamo sulla sua saggezza e sul suo ingegno.
Effettivamente era vero, Hermione Granger era colei che ideava i piani per i nostri colpi; era pure la mente che si occupava di perfezionare le idee altrui ed era sempre una garanzia di riuscita.
«Questa non è una novità così sconvolgente» commentai tentando di tranquillizzare me stessa, più che chiunque altro.
Per quanto mi potesse dispiacere che molti ragazzi fossero stati inebriati dalle idee repressive di Delphi, non provavo pena per loro e di certo non avrei sprecato tempo ad aiutarli.
Eppure doveva esserci qualcosa di diverso, qualche particolare che mi ero persa durante la mia assenza e che ora non mi permetteva di avere un quadro completo della situazione.
«Cosa c'è di diverso?» domandai, tentando di ricomporre tutti i tasselli in un unico disegno «Dovevamo aspettarcelo» conclusi.
«La differenza sta nel fatto che mai prima d'ora Hogwarts è stata così invasa dai Mangiamorte e stan...» la voce di  Lorcan, si spezzò in un balbettio carico di dispiacere.
«Stanno marchiando dei bambini» concluse, al suo posto, Albus con voce sconsolata e lo sguardo basso.
Sapevo che mio cugino ci stava incredibilmente male.
Durante il suo primo anno il Cappello Parlante lo aveva smistato a Serpeverde e prima che i Mangiamorte tornassero ad inquinare il mondo con il loro morbo ideologico, mio cugino era riuscito a creare delle amicizie o almeno così credeva.
Tanti ragazzi, anche figli di ex tirapiedi di Voldemort, erano diventati suoi amici ed ora di quei giovani non era rimasto quasi più niente; erano marchiati e vittime di un'ideale che non gli apparteneva o almeno non avrebbe dovuto appartenergli.
Ora quegli amici, quei compagni di scuola o nostri coetanei erano i primi a volere le nostre teste su una picca, lo sapevamo bene.
Ma ciò non impediva a mio cugino di sentirsi responsabile per loro, di sentirsi in colpa, per non essersi accorto di quale male si stavano ammalando, di non essere stato in grado di aiutarli.
Ero a conoscenza di tutto questo, Al me ne aveva parlato una notte davanti al fuoco da soli, si era aperto con me e benché lo capissi, non ero riuscita a condividere con lui tutta la mia verità.
Forse, questo contribuiva ad aumentare sempre più il mio senso di colpa.
Anche molti ragazzi di altre case erano stati imbevuti di tutte quelle baggianate sulla purezza del sangue; in molti non ci credevano davvero, lo facevano solo per sopravvivere, mentre la maggior parte dei Serpeverde ne era convinta davvero e questo aveva rischiato di distruggere mio cugino.
Ed ora che la situazione stava peggiorando, ora che stavano marchiando anche i bambini, rischiavo veramente che Albus si lasciasse andare in balia del suo stesso senso di colpa e non potevo permetterlo, era il mio migliore amico.
«Le nostre fonti cosa dicono al riguardo?» domandai di nuovo, cercando di carpire più informazioni possibili «Devono pur sapere qualcosa in più al riguardo» conclusi sconsolata.
«Non riusciamo più a contattarli» affermò immediatamente Fred dal fondo della stanza, era restato in silenzio per tutto il tempo e nel suo sguardo si leggeva un profondo dispiacere, era lui che teneva i contatti con le nostre spie ed il non ricevere notizie da loro non era un buon segno «Non siamo neanche sicuri che siano ancora vivi».
Un brivido freddo mi percorse la schiena, mentre i volti dei ragazzi e delle ragazze che ci facevano da tramite all'interno della scuola mi passavano per la mente, probabilmente erano morti o prigionieri, nel peggiore dei casi stavano subendo le peggiori torture e tutto perché erano stati abbastanza coraggiosi da decidere di aiutarci.
«Dobbiamo entrare ad Hogwarts, vedere con i nostri occhi, raccogliere informazioni» disse mio padre, battendo un pugno forte sul tavolo.
La frustrazione era palpabile nell'aria, dovevamo intervenire e cercare di capire cosa stava accadendo all'interno del Castello.
Da quando la Preside McGranitt era stata trovata misteriosamente morta, per noi era diventato sempre più difficile parlare con i pochi ragazzi nostri alleati nascosti all'interno delle mura, le informazioni arrivavano parziali o quasi del tutto inesistenti; eppure erano sempre arrivate e non averne ci faceva preoccupare tutti per i loro destini.
Il nuovo preside aveva il pugno di ferro, controllava a vista i suoi studenti e la loro corrispondenza.
Ma dovevamo sapere e, forse, un modo per infiltrarsi c'era: Sarebbero bastate delle divise e facilmente ci saremmo potuti intrufolare tra la folla di studenti.
Erano passati tre anni da quando avevo messo piede per l'ultima volta nella scuola, nessuno poteva notarmi facilmente se non davo nell'occhio, con l'aiuto di una Pozione Polisucco o con qualche piccola trasfigurazione ai miei tratti sarebbe stato anche molto più facile passare inosservata.
«Forse ho un'idea» sussurrai, ritrovandomi tutti gli occhi addosso «Potrebbe essere una totale follia» ammisi subito dopo dicendo la verità, benché stessi cercando di sembrare più sicura possibile.
«Siamo talmente disperati che andrebbe bene anche una pazzia» disse James, puntando i suoi occhi castani e brillanti nei miei «Siamo tutto orecchi, principessa».

Amarti mi uccideDove le storie prendono vita. Scoprilo ora