Persa

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Sognai molto e molto a lungo.
Scenari diversi si susseguivano nella mia testa e troppo spesso non riuscivo a recepirli e sparivano come erano comparsi, immagini esageratamente veloci per essere ricordate; tante altre restavano impresse nella mia mente e si ripetevano in maniera ciclica, rimanevano come tatuaggi nella mia memoria.
I ricordi vividi e reali si susseguivano dopo immagini terribili di morte e distruzione, come un riassunto di una vita vissuta da qualcun altro, storie che ormai non mi appartenevano più o che non erano mai state mie dall'inizio.

Venni immersa in un ricordo di quando ero bambina, la mia famiglia al completo seduta intorno ad una tavolo al centro del giardino della Tana.
Eravamo tutti lì insieme come ormai non poteva più capitare: zio Bill e zia Fleur, giovani e felici, si tenevano la mano sul tavolo e ridevano con zio Percy ed Audrey, mentre si raccontavano qualcosa; mio padre, mia madre e gli altri miei zii erano seduti di fianco a loro e avevano dei grandi sorrisi stampati sui volti, intanto che ascoltavano gli altri concentrati e divertiti.
C'erano anche i miei nonni, Molly ed Arthur, erano molto anziani ed erano seduti vicini a capotavola, come da tradizione.
Ci guardavano uno ad uno con gli occhi illuminati e felici per averci di nuovo tutti lì, insieme, a condividere le nostre vite e a divertirci; per loro, che erano il collante della famiglia, non ci poteva essere niente di meglio.
I miei nonni erano quelli che ci avevano insegnato a restare tutti uniti, ci avevano spiegato che niente era più importante della famiglia, perché nessuno ti avrebbe mai amato come lo facevano i tuoi parenti.
Senza di Arthur e Molly, un clan grande come il nostro non sarebbe mai stato così unito, niente sarebbe stato lo stesso.
Albus, Dominique ed io eravamo seduti sul dondolo, mentre gli altri stavano buttati più o meno scompostamente intorno a noi, per terra o sulle sedie di nonna Molly.
Avevamo appena finito di giocare una partita di Quidditch ed eravamo stanchissimi, era stata una sfida all'ultimo sangue e si era conclusa solo quando, dopo più di un'ora, James era riuscito ad afferrare il boccino d'oro.

«Pensate che la nostra famiglia potrebbe cambiare un giorno?» chiese proprio quest'ultimo, poco più che tredicenne, guardandoci uno ad uno.

«Che intendi?» domandò Dominique, girandosi verso di lui non comprendendo del tutto la domanda.
Neanche io aveva capito a cosa si stesse riferendo, sembrava una domanda strana ed abbastanza fuori dal mondo, eravamo una famiglia così unita, cosa sarebbe potuto cambiare tra noi?.

«Pensate che tra qualche anno saremo ancora qui a passare i pomeriggi insieme o pian, piano diventeremo degli estranei?» disse, riformulando la domanda di poco prima.

Anche solo il pensiero di non avere più quel gruppo di persone scalmanate, con cui condividevo il sangue, intorno mi sembrava terribile e fuori dal mondo; eppure mi sorpresi ad avere la stessa insicurezza di James: la vita poteva essere piena di sorprese e non era difficile immaginarci divisi e sparsi nel mondo.
Poteva bastare poco: un trasferimento, un'offerta di lavoro lontano da casa e dalla famiglia, la voglia di cambiare, l'innamorarsi e tutto sarebbe stato diverso, facilmente ci saremmo potuti dividere.
Cancellai quel pensiero dalla testa con una passata di spugna e mi voltai decisa verso di loro, pronta a promettere che non ci saremmo mai divisi, nonostante le strade diverse che avremmo potuto prendere.

«Giuriamo che resteremo sempre uniti e che nessuno verrà mai lasciato indietro» proposi, convinta che sarebbe potuto bastare a tenere tutti insieme «Facciamolo e ci ricorderemo per sempre di mantenere questa promessa».

***

Vidi la me undicenne stringere la mano di un bambino biondo e snello, indossava la cravatta verde e argento ed il suo sguardo era diverso da qualsiasi altro avessi mai incontrato nella mia breve vita: i suoi occhi erano profondi, perspicaci e di un colore tra il blu ed il grigio che non avrei saputo classificare.
Al binario, mio padre mi aveva indicato quel ragazzino avvertendomi di non dargli troppa confidenza, mi aveva chiesto di batterlo in tutti gli esami, ma quando i miei occhi si erano posati su di lui l'unica cosa che avevo provato era stata curiosità.
Avrei dovuto disprezzarlo, mio padre mi aveva detto di farlo, ma non ne comprendevo il motivo: sembrava uguale a tutti gli altri e non avrei mai potuto odiare qualcuno per partito preso.
Così, quando sia lui che Albus furono smistati nella stessa casa decisi di conoscerlo.
Sembrava innocuo, forse un po' timido in mezzo a tutti gli altri e questo mi fece chiedere come avrebbe mai potuto farmi di male?.
Perciò, alla fine della cena mi diressi verso mio cugino e lo vidi intento a chiacchierare con alcuni dei suoi nuovi compagni, il bambino che mio padre mi aveva indicato era proprio tra loro e così mi presentai porgendogli la mano.
Ricambiai il sorriso di Scorpius Malfoy, il ragazzino che sarebbe dovuto essere il mio peggiore nemico e che, invece, avevo iniziato a ritenere mio amico.

Amarti mi uccideDove le storie prendono vita. Scoprilo ora