31/4. Chiarimenti

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31. Halloween Horror Story - Parte quattro

Chat Noir era impietrito. I loro corpi, vicinissimi, aderivano l’uno all’altro nello spazio ristretto tra l’armadietto e il muro. L’aveva avvolta in un abbraccio, prima, e ora quel contatto le permetteva di avvertire la rigidità dei muscoli di Adrien, quasi fossero stati concretamente raggelati dal freddo e dalla paura. Marinette si ricordò come, un attimo prima, avesse rischiato di segnalare la loro presenza lasciandosi andare a un gemito di terrore. Non se lo poteva permettere, non più. Dovevano rimanere calmi, elaborare un piano e fuggire da lì. Dovevano uscire dalla stanza, recarsi dove la luce artificiale dei lampioni li avrebbe raggiunti, permettendo loro di scrutare il nemico. E, seppur impauriti, non si sarebbero tirati indietro. Dovevano scoprire l’identità della terza persona presente in quella stanza – ammesso che una persona lo fosse davvero. Marinette voleva vederlo, quel volto, imprimerlo bene nella sua mente senza tralasciare nemmeno un dettaglio. Chiunque o qualunque cosa si trovasse in quella stanza, era invischiato in qualche modo nella morte di Lila e di Rose e nella scomparsa di Luka.

«Chaton», soffiò piano sulle labbra, la voce ridotta a un flebile sussurro. Chat Noir deglutì, inspirò due volte, infine chiuse un attimo gli occhi. Quando avvertì i suoi muscoli rilassarsi, Ladybug aggiunse: «Al mio tre.» Eccola, la ragazza di cui si era perdutamente innamorato. Un po’ timida, alle volte goffa, ma anche caparbia, risoluta, perspicace e con un coraggio più grande di lei. La sua voce era tremante, ma non avrebbe ceduto – e lui non sarebbe stato da meno. 

Uno.  

Chat Noir udì il respiro pesante e affannoso del nemico. Il metallo dell’armadietto dietro il quale si erano rifugiati offriva loro un accenno di protezione, sia pur misero che fosse; eppure, il respiro di quell’essere gli sembrò quasi di avvertirlo sulla sua pelle. Si sentì nudo, indifeso. 

Due.

Nell’oscurità straziante e incolmabile della stanza, Adrien cercò il volto della ragazza che amava. Riconobbe le iridi azzurrissime di Ladybug, e il cuore avrebbe potuto piangere di gioia quando riemerse in lui la consapevolezza che erano anche quelle di Marinette. Lei, immobile come una statua, non poteva ricambiare il suo sguardo, perché non aveva nessun tipo di vista notturna. Chat Noir avvertì l’istinto di ricordarle che lui era lì, e lo fece quasi timidamente, carezzandole una guancia con estrema delicatezza, come a temere che i suoi artigli potessero ridurla in mille pezzi. Marinette ricambiò afferrando e stringendo quella mano fino a quasi stritolargliela.  

Tre.

Ladybug urlò quel numero con tutta la grinta che le era rimasta. Insieme, facendo appello a tutte le loro forze, i due spinsero l’armadietto con foga, riuscendo a farlo ribaltare sul nemico, che cedette sotto il peso dell’oggetto.

«Usciamo di qui, presto!» urlò Chat Noir, afferrandola per un braccio e conducendola via dall’oscurità che le impediva di vedere ogni cosa. Una volta fuori, corsero fino a raggiungere il ballatoio del cortile interno dell’istituto, fermandosi, senza rendersene conto, proprio nei pressi dell’esatto punto in cui l’incubo aveva avuto inizio. Lì dove il corpo esanime di Lila era stato abbandonato, la corda aveva segnato la struttura della ringhiera, imprimendovi dei solchi che forse non sarebbero scomparsi mai più – e che, anzi, sarebbero rimasti lì in eterno a ricordare loro quell’atroce avvenimento. Marinette si sforzò di non pensarci.

Si voltò a guardare Chat Noir, che la scrutava con aria preoccupata da sotto i ciuffi biondi e scompigliati. «Sto bene», gli assicurò, calcando appena la voce. «Tu?»

Writober - Miraculous Challenge 2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora