Penso che se fosse stato per me non avrei mai lasciato New York, nonostante tutti i brutti ricordi che quella città custodiva. Mia madre, tuttavia, non aveva voluto ascoltare le mie lamentele. Non la biasimavo, lei, da quando aveva scoperto la vera natura di mio padre, aveva associato ogni abuso a quel posto. Quando Creig le aveva comunicato il nostro imminente trasferimento a Los Angeles, aveva quasi pianto dalla gioia.
Craig ci aveva aiutate ad uscire dalla povertà in ogni modo possibile, accettando il fatto che mia madre avesse due bambine, e portandoci a vivere con lui. Quell'uomo ci amava come se fossimo sue figlie, ci amava nel modo in cui nostro padre non aveva mai fatto.
Quella mattina decisi di disfare i bagagli che non avevo disfatto la sera prima a causa della stanchezza. Eravamo atterrati a mezzanotte, e non avevo avuto nessuna fantasia di mettere a posto.
Mentre appendevo una delle tante felpe nell'armadio, mia madre entrò in camera dopo aver battuto due volte le nocche sulla porta.
«Ti piace?» Mi chiese guardando la stanza.
«Decisamente meglio di quello che avevamo quando ero bambina» Le risposi con tono amareggiato.
«Non smetterò mai di chiederti scusa, Beth, di non averti trascinata via prima da quel posto»
Feci spallucce.
«Non è colpa tua, non avevamo un posto dove andare, non avevamo scelta» Appesi la stampella e chiusi le ante voltandomi verso la valigia per sistemare le maglie nella cassettiera.
«So che è inutile quello che sto per dire, ma dovresti cercare di andare avanti. La tua vita non è più quella, sono solo ricordi e tuo padre non può più farci del male»
«Lo so questo ma le cicatrici non si cancellano»
«Non devi cancellare le cicatrici, devi cercare di affrontare i ricordi, accettare che sono cose successe ma che non si ripeteranno»
Mi fermo a riflettere qualche istante, decidendo se dire o no quello che sto pensando.
«Tu ci sei riuscita?»
Un silenzio tombale ci avvolge.
«Ci sto provando» Concluse lei «Cambiando discorso, ho notato che ci sono molti negozi carini in zona, dopo se ti va posso darti la carta e vai a cercare le scarpe che ti piacevano»
Annuì semplicemente prima che lei mi desse le spalle e chiudesse la porta.- - - - - - - - - - - - - - -
Decisi di seguire il consiglio di mia madre e andare a fare un giro in città per cercare il paio di scarpe che volevo da tempo.
Ad ogni passo che facevo ricordavo le parole di mia madre poche ore prima: "Ci sto provando". Ci stavo provando anche io con tutta me stessa, ma, nonostante fossimo nella stessa situazione, né io né mia madre sembravamo riuscirci.
Per me, io mio padre condividevamo solo lo stesso cognome e mi rifiutavo di pensare che avessimo lo stesso sangue, anche se ero cosciente del fatto che per metà fosse così. Niente avrebbe cancellato le lacrime di mia madre, o le mie, o quelle di mia sorella. Nessuna villa con giardino, nessuna macchina di lusso, nessun regalo costoso. E, per quanto possa suonare vile da dire, visto ciò che aveva fatto per noi, neanche l'amore di Craig.
Lui ci stava aiutando a riprenderci da quello che avevamo visto e subito, ci stava dando tutto l'affetto che ci era mancato per anni ed anni, ma non sarebbe mai stato nostro padre. Ero sicura che non ci fosse una notte in cui mia madre non desiderasse di aver conosciuto Craig al posto suo.
Cercai di allontanare ogni pensiero negativo con un lungo sospiro rassegnato, prima di entrare all'interno di uno dei tanti negozi di scarpe della zona. Iniziai a guardarmi intorno ma, nonostante il mio sguardo percorresse velocemente i muri con le scarpe esposte, non riuscivo ad individuare il modello che volevo.
Mi soffermai tuttavia su un modello alquanto simile, osservandone i colori bizzarri e tentando di creare a mente una combinazione con una delle felpe nel mio armadio.
«Io dicevo questo paio qua, coglione» Sentì una voce provenire da dietro di me, così mi voltai, ma non appena lo feci mi ritrovai il volto di un moretto a due centimetri dal naso. Lui sembrava non curarsene e continuava ad indicare le scarpe davanti a me guardando i due ragazzi alle nostre spalle.
«Ma quelle già le hai» Commentò uno di loro.
«Infatti parlavo per Josh, vuole comprare per l'ennesima volta delle banali Air Force» Rispose il moro più irritato del dovuto dalla faccenda.
«Non sono banali le Air Force, sono classiche» Gli disse quello che pensai fosse "Josh".
«Quando porti solo delle scarpe classiche diventano banali» Attaccò il difensore del paio di scarpe che stavo osservando.Dovetti ammettere che quella discussione fosse alquanto interessante, forse quasi quanto le lezioni di matematica delle elementari per uno del terzo liceo, ma mi ero stancata di trovarmi in quella situazione disagiante. Decisi di svicolare ma la mia espressione scioccata dal fatto che il ragazzo moro non si fosse neanche curato di dirmi "permesso" non passò inosservata.
«Qualche problema?» Domandò acidamente il ragazzo in questione.
«Come scusa?»
«Hai qualche problema?» Ribadì incenerendomi con lo sguardo.
«No, perché dovrei?»
«A giudicare dall'espressione che avevi a me sembra che tu ne abbia»
Aprì bocca per rispondergli a tono, essendo stufa, ma quando schiusi le labbra il terzo del gruppo intervenne.
«Ti prego scusalo, oggi gli girano le palle»
«Allora mettetegli una museruola perché a quanto pare da solo non sa tenere la bocca chiusa» Andai in tachicardia.
«Che cazzo hai detto?!» Disse facendo un passo verso di me, ma Josh si intromise.
«Ha ragione, vedi di calmarti»
«È lei che dovrebbe tenere la bocca chiusa non io»
«Certo, infatti sono io che dico a chiunque passa che "ha un problema a giudicare dall'espressione"» Tentai di parlare senza farmi tremare la voce, ma forse fallì miseramente.
«Sentite, calmatevi tutti e due, e tu muovi il culo e usciamo, non compro più nulla» Fu Josh a chiudere il discorso, prima di afferrare il braccio del moro e trascinarlo lontano da me.Rimasi sola con il terzo membro del gruppetto, il quale mi guardava in modo strano.
«Che c'è ora?!» Domandai spazientita.
«No, no, niente, è che mi ricordi una persona» Rispose lui arrossendo vagamente.
«Beh, non so di chi tu stia parlando, quindi me ne vado prima che anche tu inizi a dirmi che ho un'espressione sospetta» Tentai di darmela a gambe ma quando mi voltai le sue parole richiamarono la mia attenzione.
«Sei Elizabeth Monroe?»
Mi pietrificai.
«Sì, perché?»
«Ti seguo su instagram»Quell'affermazione mi incuriosì. Avevo abbastanza follower da meritarmi un account verificato, ma mai mi era capitato che uno di questi mi riconoscesse per strada.
«Oh, davvero?»
Lui annuì.
«Tu sei...» Dissi sperando che capisse che gli stavo chiedendo di continuare la frase per me.
«Payton, Payton Moormeier»
«Ricambierò» Gli accennai un sorriso prima di aggiungere: «Posso chiederti chi è il cane rabbioso?»
Gli scappò una vaga risata.
«Si chiama Jaden Hossler»
«Perfetto, così saprò chi non seguire»Uscimmo insieme dal negozio e, con grande delusione di Payton, scoprimmo che Josh e Jaden erano spariti nel nulla.
«Che teste di cazzo» Sussurrò.
«Mi dispiace lasciarti solo ma devo andare»
«Non ti preoccupare, saranno nei paraggi. A proposito, c'è una festa dopodomani a casa nostra, se vuoi venire sei la benvenuta» Disse tutto d'un fiato.
«Va bene, ci penserò»
«Perfetto, scrivimi su instagram per la conferma».Lasciai Payton lì dopo esserci salutati con una proposta in sospeso. Per tutto il tragitto di ritorno pensai solo ed unicamente al carattere di merda di Jaden e a come mi avesse attaccata senza motivo.
Andai in tachicardia di nuovo.
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𝐚𝐧𝐠𝐞𝐥 𝐚𝐧𝐝 𝐝𝐞𝐦𝐨𝐧 | jaden hossler
FanfictionElizabeth Monroe si è trasferita da poco da New York a Los Angeles. Viene da un passato buio e cupo, ma grazie al famoso Payton Moormeier, con cui instaura un rapporto di amicizia, riesce a superare alcune difficoltà. Conoscerà anche alcuni degli am...