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"Oh, Bill, cosa è successo alla tua faccia?" È la rima cosa che Bill Denbrough sente appena apre la porta questo pomeriggio. Georgie Denbrough è seduto sul divano, le lunghe gambe incrociate sotto di esso, il telecomando nelle sue mani puntato verso la tv e occhi spalancati puntati su suo fratello.

"H-ho litigato." Farfuglia Bill. Inizia a camminare oltre a Georgie, che ora ha undici anni ed è ancora troppo ficcanaso per il suo bene, in direzione delle scale. Non vuole nient'altro che crollare nel suo letto, avvolgersi nelle coperte e fare un lungo pisolino.

Da quando Bill ha fatto coming out con i suoi genitori, ha visto suo fratello per un totale di due volte. La prima quando stava andando a lavarsi i denti durante la notte e Georgie era nel bagno. Lui è uscito fuori con della carta igienica attaccata al suo bacino, facendo ridere Bill. È un po' preoccupato, anche se, con il q-tip nelle orecchie, non fa altro è si dirige verso la sua stanza. L'altra volta era mattino, prima di scuola. Bill stava scendendo le scale quasi correndo addosso a Georgie che stava salendo. A Bill manca Georgie, più di quanto gli manchi Stan, più di quanto gli manchi il trucco, più di quanto gli manchi Beverly e i suoi amici. Georgie è sempre stato il suo migliore amico e Bill ha bisogno di lui. E Bill odia i suoi genitori per avergli negato il diritto e fottendogli tutto per il loro figlio.

È circa lo stesso sentimento di quando aveva dodici anni, seduto sul divano accanto a suo padre a urlagli contro per non essere stato con Giorgie durante il temporale. Lo stesso sentimento come quando i poliziotti si sono mostrati sulla porta dei Denbrough , dicendo che era stato trovato l'impermeabile giallo di Georgie per la strada. Bill Denbrough si sente come se avesse perso ancora Georgie, se deve essere onesto, perché è stato strappato dalla sua vita come lo era stato anni prima.

"Con chi?" Domanda Georgie. Bill sente che la tv si spegne e dei passi che lo seguono. I passi sono solo un gradino dopo Bill, mentre sale le scale e si dirige nella sua camera.

"Nessuno, Georgie." Dice Bill, dando un'occhiata alle sue spalla per trovarsi il bambino vicino. È vicino alla spalla di Bill, ma si è fermato un passo prima per poterlo guardare in faccia.

"Sono loro la ragione per cui sei stato così triste ultimamente?" Chiede Georgie. Bill apre la porta della sua stanza, lasciando il suo zainosul pavimento e prendendo posto a sedere sulla scrivania. Torna a guardare il bambino sulla porta.

"Non so di cosa tu stia parlando."

"Bill. Non sono un idiota. Posso vederlo che non sei stato felice." Dice con calma,appoggiandosi allo stipite. "Ti posso sentire piangere, lo sai. Quando pensi che nessuno ti sente o che sia sveglio, io posso sentirti. Mi rende molto triste, ma non so come aiutarti."

"A volte non c'è una cura per questo." Borbotta Bill. "A volte, essere tristi diventa tutto ciò che ti rimane."

***

Il suono della tv di sotto é alto, la luce è brillante e la sua testa martella. La sua mascella è dolorante, il retro della sua testa fa male e un occhio è leggermente più gonfio dell'altro.

Bill Denbrough è accasciato, una mano è appoggiata sulla fronte, l'altra stringe la coperta che lo ricopre. Dell'aria fredda soffia sul braccio esposto e rabbrividisce.

Si é appena svegliato da un pisolino, a quanto pare, basandosi sulla sua sveglia, sono le 18.04. Si è addormentato dopo la sua conversazione con Georgie, finita quando la porta si è aperta e sua madre ha chiamato Georgie al piano di sotto chiedendogli qualcosa. Bill successivamente è collassato nel suo letto con indosso ancora i vestiti di scuola, una maglietta dei Rolling Stones, dei jeans risvoltati e dei calzini fino alla caviglia. Lui ama dormire, ma gli piacerebbe aver spento le luci nella sua camera e aver chiuso la porta, perché soffre per il troppo sovraccarico di problemi e questo non aiuta a uccidere il suo mal di testa

Lancia la sua coperta via, sibilando piano quando la fredda aria lo colpisce. Prende una felpa dal pavimento, probabilmente sporca, ma non gli interessa. Bill abbassa lo sguardo per vedere di che felpa si tratta prima di fare una smorfia.

La felpa appartiene a Stanley Uris, lavava lasciata qui prima che fosse finita. Il giorno che hanno passato bene, nel letto, baciandosi, parlando e guardando un film. Bill giurò di non amare nessun altro di quanto abbia amato Stanley Uris in quel momento. Spera di sbagliarsi ora.

Sfila la felpa dal suo corpo, la sua maglia si alza, esponendo il suo stomaco al freddo. Decide di avvolgersi nella coperta e spostarsi dalla sua camera in cerca di qualcosa per cena, si avvia verso le scale.

"-facile per lui." Dice la voce di Georgie, mentre Bill scende le scale. Sua madre e padre siedono dall'altra parte del divano, sono pallide nel mentre che vedono il ragazzo stanco scendere i gradini.

"Di cosa stai parlando? William sta bene, tesoro." Dice sua madre. Udire il suo nome lo fa bloccare sulle scale, per sentire la conversazione.

"Non è vero." Dice, "Lui è triste e voi ragazzi non siete dei bravi genitori, non ve ne siete nemmeno accorti."

"Georgie!" Sbotta sua madre. Georgie non è uno che perde la pazienza facilmente. È un bambino rispettoso, che segue sempre le regole e obbedisce ai genitori, infatti queste parole da lui pronunciate fanno sorride Bill leggermente.

Voi ragazzi non siete dei bravi genitori, non ve ne siete nemmeno accorti

"Lui è stato picchiato oggi a scuola." Dice " Ha bisogno di genitori che si freghino davvero di lui ora, forse anziché ignorarlo, dovreste mostrargli che non è solo. Ha bisogno di qualcuno, ora, e non posso essere l'unico che si comporta come se esistesse da queste parti."

Sua madre sta per dire qualcosa, ma Bill smette di ascoltare. Risale le scale, ignorando il suo stomaco che brontola e torna a letto. I suoi compiti possono aspettare domani mattina prima di andare a scuola. È stanco delle scuse inutili dei suoi genitori, che non vuole neanche sentire. Vorrebbe solo essere amato di nuovo.

Bill torna a letto, avvolgendosi nella coperta. Sonnecchia, Bill Denbrough si chiede se riavrà ma la sua vita di prima.

Adesso, o dopo, smetterà di cadere a pezzi.

***
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