Capitolo 5.

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Il rumore di un tergicristallo, seguito dal ticchettio della pioggia, mi fece ritornare con i sensi all'allerta.

Ma quando aprii gli occhi, non ero nel mio letto, come mi ero immaginata. Non ero in una stanza. E tantomeno nel mio ufficio, il mio ultimo ricordo.

Ero in una macchina che profumava di nuovo, e di colonia maschile.

Cosa diamine era successo?!

«Ma cosa succede?» bofonchiai, iniziando a tremare per il freddo, nonostante ventate di aria calda uscissero fuori dal riscaldamento dell'auto.

Di lato a me, Troy guidava concentrato. Aveva la mascella serrata, rigida. La barba curata gli conferiva un'aria da duro, in quel momento, e il suo sguardo non era di certo quello premuroso che aveva avuto quella mattina, quando ero in quelle condizioni.

«Troy.»

Non si voltò verso di me, ovviamente. E rimase in silenzio per un po'.

«Ti avevo avvertita di tornare a casa, Lily.» spezzò il silenzio, poco dopo. «Ma sei cocciuta e testarda più di un mulo, e quando ti metti qualcosa in testa non ti smuove neanche Gesù Cristo!» sbottò, facendomi sussultare.

«Ehi, vacci piano, idiota!» mi innervosii. «Mi puoi spiegare cos'è successo, e perché sono nella tua macchina? Mi sono addormentata?»

Gli uscì fuori una risata. E non era una risata simpatica.

«Sì, addormentata. Adesso sì, stavi dormendo. Ma prima, nel tuo ufficio, ti abbiamo trovata svenuta per terra, con i cocci della tazza attorno. Cazzo, sembrava quasi la scena di un omicidio.»

Accidenti. Questa non me l'avrebbe fatta passare, Worley.

«Io avevo...» tentai di giustificarmi.

«Non hai preso nemmeno il tè, cazzo. Ti avevo detto di prenderlo perché avevi il viso più bianco di quello di un fottuto fantasma, porca puttana! Lo sapevo che ti saresti sentita male. Avrei dovuto caricarti prima sulla mia macchina e trascinarti a casa tua di forza. Perché cercare di ragionare con te è come tentare di addomesticare un animale selvatico.»

«Credevo di farcela. Non stavo poi tanto male.» sussurrai, consapevole che quella volta era davvero colpa mia, e della mia testardaggine.

Era davvero furioso, e forse la febbre mi rese più debole, perché non riuscii a gridargli contro neppure per un attimo che me ne sarei potuta tornare anche a casa da sola, volendo. Avevo come l'impressione che se lo avessi fatto, mi avrebbe fatta volare fuori dall'auto, e non avrebbe avuto tutti i torti, in fondo.

«Non stavi tanto male? Mentre eri svenuta ti abbiamo misurato la pressione e la febbre. Vuoi sapere i risultati, fatina

Deglutii a fatica. «Perché sei così furioso?»

«Perché?» inchiodò su una stradina che conduceva ad una fattoria, e mi puntò addosso i suoi occhi scuri profondamenti irritati. «Perché non sono il tuo cazzo di babysitter. Questa mattina avevo un incontro importante con un Wine promoter che io e Worley avevamo adocchiato da un bel po'. Ma indovina un po'? Abbiamo dovuto ritardare tutto perché io dovevo accompagnare te a casa. E tutto per il tuo fottuto orgoglio! Perché sei testarda e presuntuosa, e pur di non ammettere che ho ragione, preferisci perdere i sensi e passare come la vittima della situazione, quando vittima non sei! Sei solo una bambina testarda e cocciuta.»

Dio Santissimo, quella sarebbe stata la volta buona che Worley mi avrebbe fatta fuori.

Presi a mangiucchiarmi un'unghia. Non mi interessavano le parole di Troy.

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