Capitolo 6.

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«Devi denunciare, Lily.» mi ripeté Camden per l'ennesima volta, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. «È l'unica soluzione. Queste cose vanno per le lunghe, e finiscono male, proprio perché c'è chi perde del tempo prezioso cercando di capire se è giusto o sbagliato farlo. Quindi o ci vai tu, o ti ci porto io.»

«Phoebe, spiegagli gentilmente il motivo per cui io non posso denunciare, accidenti.» mi rivolsi alla mia migliore amica, che spostava lo sguardo da me al suo fidanzato con aria rassegnata.

Quello scambio andava avanti da più di mezz'ora, e non eravamo arrivati a nessuna conclusione, se non che quello non era un buon segnale.

Camden prese a fare avanti e indietro nel salone di casa sua, mentre Phoebe mi guardava preoccupata, osservando Camden, come se un momento all'altro potesse trovare la soluzione a tutti i miei problemi.

Non appena era arrivato quel messaggio, non avevo resistito. Soprattutto, non dopo il discorso che avevo fatto poco prima con mia madre.

Avevo chiamato Phoebe in lacrime, e si era presentata dieci minuti dopo davanti casa mia.

Lui era qui. Lui sarebbe stato libero di lì a poco, le avevo urlato al telefono.

E sebbene Phoebe non fosse a conoscenza del dettaglio fondamentale di quella storia, aveva deciso di aiutarmi, senza fare domande. Sapevo che dubitava, come tutti, che in quella storia ci fosse qualcosa di strano, come di irrisolto. Ed era così.

Sapeva che qualsiasi cosa riguardasse me e Vicky era preziosa, e non si sarebbe mai intromessa facendo domande scomode. Soprattutto perché non era me che avrei messo in pericolo, parlando.

Camden, però, la pensava diversamente, continuando a lamentarsi di quella situazione "non abbastanza chiara". Ma non potevo aspettarmi diversamente. Lui non sapeva.

Non c'era stato in quei momenti, e non sapeva cos'avevo dovuto passare.

Phoebe lo fece ammutolire con un'occhiataccia, poi si appoggiò con la testa sulla spalliera del divano, e chiuse gli occhi.

Era il suo modo per farmi capire che stava riflettendo.

«La cosa più intelligente da fare, sarebbe mettere il tuo telefono sotto controllo, per capire chi è che manda questi messaggi, e soprattutto, qual è lo scopo. Dalla galera di certo i messaggi non si possono mandare.» si portò le mani alla bocca, e sospirò. «Quel lurido verme bastardo. Chissà chi avrà corrotto.»

Io, sfortunatamente, lo conoscevo bene lo scopo del bastardo.

E per raggiungerlo, doveva per forza arrivare a me.

Non avrei potuto mettere in pericolo quel segreto. Piuttosto avrei messo in pericolo la mia stessa vita.

«Deve esserci una soluzione che non includa la polizia.» sospirai in tono supplicante, guardando Phoebe. «Sai che non posso farlo. Non adesso.»

«Ascolta, Lily. Io ho molta stima di te. So che sei una ragazza intelligente, con la testa sulle spalle...e che quella testa la vuoi ancora sul collo, quindi ascolta bene: dei messaggi minatori che provengono da una persona che sta ancora in galera vogliono dire solo guai. Solo guai. E se sei così terrorizzata, vuol dire che di questo ne sei consapevole anche tu.» mi disse Camden, inginocchiandosi davanti me e Phoebe. «Quindi, se questa persona arriva a voler rischiare così tanto, mandandoti dei messaggi minatori dalla prigione, vuol dire che è un fottuto cazzone privo di neuroni, e con delle cattive intenzioni. Quindi ti chiedo per favore, se non vuoi farlo per me, fallo per chi ti vuole bene, fallo per Phoebe. Prendi dei provvedimenti, perché a me non sembra una situazione da prendere sottobraccio così facilmente. La gente è malata, Lily. Non voglio spaventarti, ma mi sento di dirti queste cose in quanto...fidanzato di Phoebe, e tuo amico. Credimi, voglio solo proteggerti.»

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