Capitolo 22.

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«Ma...ma...lei non era in sovrappeso?» domandai scioccata, mentre avvertii Troy irrigidirsi di lato a me. Ecco che dicevo la prima cosa stupida che mi passava per la testa. «Volevo dire, lei non era...oh Gesù, mi scusi tanto.» sussurrai, finendo per fissarmi i piedi.

Quella era in assoluto la più grande, epica, illegale figura di merda che avessi mai fatto in tutta la mia vita.

Ma qualcuno mi aveva fregato! Insomma, io credevo che il conte fosse...

«Deduco che lei si aspettasse un conte di mezza età, in sovrappeso e ignorante. Sbaglio?» chiese, in tono serio.

Mi ritrovai a scuotere la testa. La serietà nel suo sguardo mi incuteva un certo timore, e non sapevo nemmeno come rivolgermi ad un conte, a quel punto.

Alzò un sopracciglio, spostando il suo sguardo su Troy.

«Signor Ashmore, un'ottima trovata, la sua, riguardo la viticoltura biologica da importazione. Come ben sa, qui in Europa, e soprattutto in Italia, dove sto cercando di portare anche io delle piccole innovazioni nel campo, la viticoltura biologica ancora non è vista nell'ottica giusta.»

Perché diavolo si era messo a parlare di vino, quel dannato conte? Perché non ci aveva cacciati dopo aver scoperto che eravamo andati lì per prenderlo in giro, fingendoci ciò che non eravamo? E perché sembrava così calmo e professionale?

Mi dava ai nervi.

Non capire cosa stesse cercando di fare mi mandava in bestia, perché non capivo a cosa stesse puntando. Ma più di tutto, in quel momento, stavo pensando alla reazione che avrebbe avuto Worley, se le cose fossero peggiorate più di così.

Poi ci pensai, e mi dissi che in fondo, peggio di così non potevano davvero andare. Il conte sapeva la verità. E, nonostante ciò, si era complimentato con Troy. Quindi le cose erano due: o quel bell'uomo si era bevuto il cervello, o stava puntando a qualcosa.

Mentre si gettò in uno sproloquio in un inglese perfetto, riguardo i vari tipi di viticoltura che aveva osservato in quegli ultimi anni in Italia, ci fece dirigere verso un ampio corridoio stracolmo di quadri raffiguranti paesaggi rupestri, uomini e donne nobili, e qualche quadro d'autore. Stava spiegando a Troy alcune delle sue idee per importare il vino californiano anche in Italia, quando venne interrotto da una cameriera per un problema in cucina, e si scusò, facendoci cenno di andare verso un'ampia sala da pranzo alla nostra sinistra, dicendoci di aspettarlo lì.

Quando mi voltai verso Troy per tentare di sdrammatizzare un po' ciò che era successo, lui mi fulminò, imprecando.

«Oh, avanti, dannazione Troy! Non farla più grossa di come non sia in realtà. È andata bene, dopotutto.» tentai, bisbigliando.

Quando i suoi occhi incontrarono i miei, temetti di morire fulminata, tanta era la durezza che leggevo nel suo sguardo. «È andata bene, dici?» ringhiò, a bassa voce. «Il conte non ha accennato ancora a ciò che hai detto, Lily. Siamo su un fottuto campo di guerra, adesso. E se ciò che hai detto lo ha fatto incazzare, fatina, ti informo che non solo non basterà un miracolo per farti tenere il lavoro, ma è meglio se mi girerai alla larga, visto e considerato che questa è la mia fottuta occasione per discutere delle innovazioni del settore.»

Era davvero arrabbiato.

«Dovresti collegare il cervello, prima di aprire quella boccaccia.» continuò. E in quel momento mi feci ancora più piccola di quanto già non lo fossi. Sapevo di meritare quelle parole. Troy aveva ragione. Ero troppo nervosa ed agiata, e avevo iniziato a straparlare, dicendo delle emerite ed assolute idiozie. «Non hai più due anni, devi imparare a controllarti, cazzo.»

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