Capitolo 11.

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«Stai guidando da più di venti minuti e ancora non mi hai detto cosa diamine è successo, e soprattutto, perché Phoebe e suo padre non sono al corrente dei guai in cui si caccia quella testa calda di Braiden! Non avrà mica ucciso qualcuno?»

Lo guardai di sfuggita con la coda dell'occhio. Rimase serio, composto, con lo sguardo vigile sulla strada.

«Troy Ashmore ti ho fatto una domanda!» sbuffai, seccata.

«Adesso datti una calmata, fatina. Capirai tutto quando arriveremo.»

«Ascolta, ammasso di muscoli: mi hai coinvolta in tutto questo casino, perché diamine, già me lo sento che questo sarà un enorme, gigantesco casino, contro la mia volontà. E per di più, mi stai facendo mentire alla mia migliore amica e a suo padre, che sarebbe un po' come un secondo papà per me. E questo è scorretto. Non posso farlo. Semplicemente non posso farlo. Non mi piace mentire.»

Alzò un sopracciglio. Il suo pomo d'Adamo scendeva e risaliva lentamente, mentre le sue mani scorrevano sul volante, imboccando un quartiere tranquillo del Westside.

La sua risata risuonò nell'abitacolo, facendomi trattenere il respiro.

Perché cavolo quella risata mi mandava gli ormoni in tilt? E perché avevo voglia di farlo star zitto a suon di baci?

Avevo sostituito la voglia di vedere il suo setto nasale rotto, con quello delle sue labbra sulle mie, e quello poteva essere un bel problema. Un gran bel problema.

«Lily Malvin, non fingerti una brava ragazza, perché con me non attacca, ricordi, no?»

«E questo cosa c'entra, adesso?» replicai duramente.

«Che dire le bugie è la tua qualità numero uno. Sei un'ottima attrice, e sai ingannare anche piuttosto bene le persone. Hai come una sorta di talento naturale, anche se a prima vista non si direbbe. Hai il viso d'angelo, e l'anima da tentatrice.»

Mi voltai come una lince. «Tu non sai niente di me. E due fottuti baci non ti danno il diritto di sparare sentenze su chi io sia, okay?»

«Non è forse quello che hai fatto tu con me fin dall'inizio? Oh, ma aspetta, tu hai iniziato a lanciare sentenza ancor prima che ti baciassi dentro quel cottage di campagna. Quindi direi che siamo pari.»

Accidenti, non aveva tutti i torti.

«Stai tenendo il conto o cosa?» risposi, incerta.

«Siamo quasi arrivati. Quindi adesso ascoltami, e lascia perdere tutte le cazzate che ti racconti. E fammi aggiungere che te ne racconti davvero molte.»

Guardai fuori dal finestrino per la prima volta, perché fino ad allora ero stata troppo presa dal qui presente per potervi prestare la giusta attenzione. «Troy, cosa ci facciamo qui?»

E mentre osservavo un capannone in acciaio, circondato da una fitta distesa di alberi ricoperti di neve, e attorno, completamente buio, qualcosa dentro di me mi fece capire che quel giorno Braiden non si era solo procurato un po' di erba da qualche teppistello del quartiere.

E nemmeno che aveva piantato una rissa con dei ragazzi per colpa di una ragazza, come di consuetudine.

No.

Il mio presentimento mi suggeriva che quella volta, Braiden Butler, stava combinando qualcosa di molto, molto più grave.

Troy accostò di fronte ad un'abitazione un po' ammaccata, e si guardò attorno prima di spegnere i fari.

«D'accordo, adesso ascoltami bene e apri le orecchie, perché non c'è altro tempo da perdere: lì dentro c'è Braiden.»

«Ma non mi dire.» scoccai le dita.

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