Capitolo 14.

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25 Dicembre

«Spiegami ancora il motivo per cui io devo essere qui a farmi torturare gratuitamente il giorno di Natale, mentre tu te la stai spassando con Evan solo Dio sa dove...» ringhiai al telefono, sorridendo falsamente ad un Wine Promoter dell'Oregon, un certo Fred McPheal.

«Innanzitutto siamo a casa dei suoi genitori con mia madre, quindi non direi proprio che ce la stiamo spassando. E poi una segretaria personale non ha alcuna utilità ad eventi come questi. Strano ma vero, tu stai addirittura sopra di me, Malvin. E dovresti sentirti onorata.»

«Onorata un corno.» bofonchiai, ancora, davanti ad una delle imponenti finestre da pavimento, mentre osservavo il paesaggio davanti a me.

La scalinata in pietre bianche che conduceva ad una delle entrate dell'immensa sala adibita per eventi del genere, elegante e sofisticata, era adornata con delle corone di aghi di pino, dove vi erano intrecciate delle luci dorate e delle bacche rosse. Una cosa che si addiceva poco e niente a quell'ambiente di campagna, ma che allo stesso tempo non stonava affatto.

Nora mi tenne compagnia per qualche minuto, il tempo necessario per aiutarmi a mantenere la calma, in vista della presentazione ufficiale con Gaëtan Renaud e famiglia. Mi parlò per un po' del pranzo di Natale, e del fatto che sua madre, per la prima volta dopo anni, avesse menzionato suo padre.

O donatore di sperma, a seconda dell'umore della mia amica.

Nora non lo aveva mai conosciuto. Era scappato in Messico prima ancora che Kokila, o amichevolemente chiamata Koki, la minuta e dolce madre della mia amica, entrasse nel terzo mese di gestazione.

E così le aveva abbandonate senza niente. Koki era piuttosto giovane, ed era davvero una gran bella donna indiana. Bassa quasi quanto me, capelli corvini, occhi color cioccolato e lineamenti marcati ma affascinanti, Koki era una donna con gli attributi. Aveva cresciuto da sola sua figlia, senza l'aiuto di nessuno.

La sua famiglia era in India, e qui aveva solo un'amica, e l'infido bastardo che se l'era svignata.

Dopo aver chiacchierato per un po' con lei ed Evan, vidi il signor Worley rivolgermi uno sguardo d'intesa.

Renaud era arrivato. E con lui, la mia sentenza a morte.

Mentre mi davo una sistemata nella toletta, Thais mi affiancò, sistemandosi il rossetto marrone opaco, e scompigliandosi un po' i capelli corvini che portava lunghi fino alle spalle.

«Hai incontrato l'uomo del terrore, e ne sei uscita indenne, amica mia. Direi che questo è un buon segno. Abbiamo constatato che non morde, almeno.» mi prese in giro, cambiando tono di voce. Aveva ancora una leggera cadenza spagnola, nonostante fosse in America da quando era appena un'adolescente.

«Non sarò mai pronta a tutto questo.»

Osservai il mio riflesso allo specchio. Avevo legato i capelli in un elegante chignon, per far vedere "il mio collo elegante e sofisticato", come mi diceva sempre Phoebe.

Avevo optato per un trucco leggero, ma elegante. L'unica cosa a renderlo più spinto era il rossetto rosso ciliegia che Ronda aveva insistito che mettessi, perché secondo lei il rosso era assolutamente il mio colore.

Indossavo un abito svasato amaranto, che arrivava sopra il ginocchio. Forse, un po' troppo sopra il ginocchio, per i miei gusti. Di certo se lo avesse visto mio padre, gli sarebbe venuto un colpo.

Le maniche erano trasparenti, in raso, mentre il resto del vestito ricadeva dolcemente, calzandomi abbastanza bene.

Avevo abbinato il tutto con degli stivaletti neri con un tacco piuttosto alto, quanto bastava per farmi avere già delle vesciche dolorose e insopportabili. Non zoppicavo solo per dignità.

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