||2.||

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Il Sole aranciato del tramonto stava ormai calando lentamente dietro lo skyline di Tokyo, mentre dipingeva una tela di colori pastello nel cielo.
Il vento le sferzava il volto con delicatezza, facendo muovere sinuosamente i capelli color del rame sulla schiena e lasciando che il corpo, ancora vestito della divisa, fosse scosso da qualche brivido di freddo.
Molti pensieri viaggiavano burrascosi nella sua mente, eppure sul viso della ragazza non si notava un briciolo di preoccupazione o tensione.
Sapeva che di certo non fosse una situazione facile e i suoi sentimenti erano tenuti sotto scacco da essa, ma nella sua carriera aveva imparato a non lasciarsi prendere dalle emozioni in pubblico.
Fissava un punto indefinito, tenendosi alla ringhiera della Torre, posta su una collina a sovrastare la metropoli: da quando era bambina, quello era il luogo in cui si isolava dal mondo esterno, a riflettere, e a volte si soffermava per ore a guardare l'orizzonte.
Abitava a pochi minuti da quel piccolo pezzo di paradiso, come lei lo definiva, così sfruttava ogni suo singolo momento per rifugiarsi nel suo 'posto sicuro'.
Fissó l'orologio di pelle che portava al polso, del colore della neve: esso segnava quasi le sette di sera, così decise di incamminarsi tranquillamente verso la sua abitazione; poco prima aveva chiamato Milly, signora anziana ormai sua vicina da parecchi anni, che quando Kathleen era impegnata in missioni a lungo termine si prendeva cura della casa.
La donna le comunicó che le avesse lasciato le chiavi della porta d'entrata sotto lo zerbino di benvenuto e che aveva dato un'ultima controllata all'arredamento poche ore prima.
Seguendo le istruzioni della vicina trovó subito il mazzo di chiavi e attaccato alla maniglia un piccolo pacchettino di dolcetti al limone, accompagnati da un grazioso biglietto di bentornato.
Sorrise alla vista di quel piccolo presente e con esso alla mano varcó la soglia di casa sua dopo mesi di allontanamento.
Inaló il profumo di gelsomino e muschio che lasciava il deodorante per ambienti della signora Milly, segno che era passata lì da non poco.
Senza quella donna, la povera Kathleen non avrebbe saputo a chi affidare la sua villetta.
Posó i dolcetti della vicina sul tavolo del soggiorno e poi salii al piano superiore, entró in camera sua e si spoglió della divisa; la mise dentro un sacco di lino perfettamente piegata, l'avrebbe portata in lavanderia l'indomani.
Proseguendo per il corridoio, ormai in intimo, non ci pensó due volte prima di andare in bagno e farsi una calda doccia rilassante.
L'acqua le scivolava sul corpo formoso e insieme ad essa anche i suoi pensieri e le sue paranoie, che in quel periodo non erano pochi. Sapeva cosa dovesse fare per aiutare chi amava e tenesse davvero, ma allo stesso tempo parti contrastanti del suo subconscio le consigliavano di starsene in disparte e lasciar scorrere la situazione.
Pianse, il nervoso la stava sovrastando, e adesso insieme al bagnoschiuma al cedro gocciolavano anche le sue lacrime, calde e salate.
Le mancava, più di ogni altra cosa, ma sapeva che contro tutto e tutti sarebbe stata un'ardua scelta da fronteggiare.
Quando ormai la sue dita erano cotte dall'acqua bollente, spense lo spruzzino della doccia e uscii, pulendo lo specchio sopra il lavabo dalla condensa.
Non si asciugó nemmeno i capelli e infiló subito una sua maglia, che portava ancora il suo profumo intenso e marcato.
Si mise nel letto in posizione supina e abbracció un cuscino, mentre con la sua chioma bagnava il lenzuolo.
Sapeva che in quel momento se dei suoi sottoposti o l'Ammiraglio l'avessero vista in quelle condizioni avrebbe perso molti punti onorevoli.
Ma infondo, quando si è isolati e solitari l'onore e l'orgoglio non importano così tanto: si sta esclusivamente con se stessi, lasciando da parte la propria identitá morale.
Così, senza pensarci due volte, altre lacrime solcarono il suo viso ancora umido, cadendo poi sulla fodera color crema.
Kathleen comprese che l'onore e l'amore non devono mai essere connessi, che essi insieme avrebbero rischiato di distruggere tutto ció che aveva creato.
Si lasció a quel pianto silenzioso, mentre piano piano e con i segni di esso sul volto, si addormentó, cadendo leggermente tra le braccia di Morfeo.



Oramai il Sole era calato sulla cittadina e presto anche per lui sarebbe arrivata l'ora di rientrare nel suo appartamento.
Stava mentalmente maledicendo chiunque avesse indetto la riunione a così tarda sera, ma finalmente stava giungendo al termine, senza avergli occupato troppo tempo.
Alex Zabel, l'Imperatore del Quinto Settore, sedeva comodamente su un'imponente sedia posta in fondo alla sala; alcuni suoi dipendenti gli mostravano gli ultimi risultati delle partite, esponendo le loro conclusioni.
Rimase attento e pronto a intervenire ad ogni loro commento o affermazione, ma quando il comizio giunse al termine non ci pensó due volte e come una molla si alzó dalla seduta.
Raggiunse il suo secondo, Austin, nel suo ufficio, intento a sistemare alcuni fogli e documenti con enfasi e velocità.

-Eccoti!- esclamó il ragazzo non appena lo vide varcare la soglia. -Ti stavo cercando.-

-Mi hanno trattenuto.- taglió corto l'Imperatore, che altro non era che un attore che recitava una scomoda parte.

-Devo parlarti!- cercó di insistere il sottoposto, mentre si sistemava i suoi capelli color turchese.

-Austin, questa sera sono veramente stanco, quindi...-

-Axel.- colui che fu chiamato quasi saltò non appena sentii il suo nome, il suo vero nome. Il giovane chiuse la porta subito dietro di se e sentii gli occhi dell'altro addosso, ancora sorpreso.
Il ragazzo sapeva che quando Austin insisteva così tanto significava che fosse successo qualcosa, ma di solito il suo comportamento così inusuale non comportava mai nulla di soddisfacente. -Adesso mi ascolti?-

-Cosa ci sarà di così importante da...- il biondo non riuscii nemmeno a finire la frase, che l'altro lo sovrastó.

-Lei è tornata.- silenzio. Axel riuscii a sentire soltanto il battito del suo cuore accelerare per qualche attimo, un'improvviso brivido lo percosse per tutto il corpo.
Subitó penso di star male o di star sognando.
Lei era tornata.
E lui non ne aveva saputo nulla.

-Quando?- chiese secco, riuscendo a non far capire il suo malessere.

-Stamattina, non so altro...- le ultime parole uscirono come un sussurro dalle labbra dell'interlocutore.
L'Imperatore si morse il labbro e si voltó, nascondendosi alla vista dl suo sottoposto e camminando verso la vetrata dell'ufficio, molto lentamente.
Fissó l'orizzonte e lo skyline della città, come era solito fare con la ragazza che le aveva rubato il cuore anni fa, ma che adesso sapeva non avrebbe più potuto fare.
Le emozioni erano contrastanti e i sentimenti molto pesanti da portare; Austin intuii il dolore del compagno e si scusó, congedandosi con un lieve saluto, per poi dispiacersi ancora.
Quando sentii la porta chiudersi nuovamente dietro se', Axel inspirò lentamente, cercando di calmare la grande lotta che avveniva dentro di se'.
Le luci dei grattacieli quasi lo ipnotizzarono, il rumore del traffico era ovattato dai suoi pensieri e così lasció che il mondo si silenziasse per un momento, lasciandolo da solo con la sua mente.
Il perchè si fosse messo in quella situazione neanche lui riusciva a comprenderlo, ma sapeva che per salvare il mondo del calcio quella era l'unica soluzione.
Ma stava perdendo lei? L'avrebbe allontanata sempre di più? E se gli ideali dei suoi ex compagni, che ormai lo avevano scoperto e etichettato come traditore, convincessero anche lei a voltargli le spalle?
Tutto era ormai diventato così confuso e distaccato.
Per salvare il suo onore personale, avrebbe pagato il prezzo di perdere il suo amore?

||Fuoco e Fiamme.|| -Inazuma Eleven GoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora