1) Colpo di fulmine e gelosia.

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New York, febbraio 1943.

Guerra, guerra e solo guerra. Ovunque ci si voltasse, in quel febbraio più gelido del solito, si potevano incontrare uomini in divisa, camionette militari a passo lento e normali cittadini che, oramai, non si fidavano più a trascorrere troppo tempo nelle strade e s'affrettavano a concludere alla svelta le proprie commissioni.
L'intero mondo aveva sperato ardentemente che dopo la Grande Guerra si riuscisse a raggiungere una pace perpetua per restaurare ciò che era andato distrutto - fosse l'architettura o l'ordine sociale, poco cambiava -, ma la rapida ascesa dell'Asse aveva mandato tutto in fumo e il nuovo conflitto necessitava di tutte le reclute possibili. Ciò includeva pure le donne.
Elaine ed Elizabeth, amiche da poco più di quattro anni ma confidenti come si conoscessero da sempre, erano l'esempio più lampante di come il binomio "femmina-esercito" non fosse da considerarsi impensabile. Entrambe provenivano da famiglie in cui da generazioni i figli entravano tra le fila delle forze armate americane, aumentando sempre più il lustro del proprio cognome, e nemmeno loro si erano tirate indietro.
Se Elizabeth s'era trovata la strada spianata fin da subito grazie alla nonna materna già soldato, Elaine aveva dovuto affrontare il malcontento della madre che proprio non voleva saperne di lasciare la sua adorata primogenita tra le grinfie di tutti quegli uomini senza scrupoli.
C'erano voluti un anno di duri allenamenti fisici e un diploma da infermiera per permetterle di vedere un piccolo spiraglio di luce nel 1938, quando riuscì a entrare nel Corpo d'Infermeria d'istanza a New York: così facendo, poté mantenere contatti diretti con la famiglia, mostrando quanto l'attività militare le giovasse, nonostante si limitasse a prendersi cura dei feriti.
Il suo obiettivo, però, era seguire le orme del padre e del fratello minore e ne ebbe la possibilità soltanto quattro anni dopo quando l'esercito americano decise di istituire un corpo esclusivamente femminile.
Ora, Elaine poteva considerarsi senza troppe remore un'antesignana della lotta femminista nell'esercito.
«Un po' mi sento in colpa a passare ogni giovedì sera qua» parlò all'improvviso Elizabeth, dopo una lunga sorsata del suo drink rigorosamente analcolico, e lanciò un'occhiata all'ambiente circostante, abbracciando con lo sguardo le persone presenti che si godevano una serata in tranquillità e le pareti di legno scuro con appese foto sfocate di soldati in guerra o intenti nelle più disparate attività.
«Dici per le altre?» indagò Elaine, alludendo alle compagne di squadrone che si ostinavano a non volerle seguire nella loro uscita intrasettimanale - chi per non distrarsi troppo dall'attività giornaliera e chi perché preferiva frequentare il bar solo il sabato sera, nella speranza di divertirsi un po'. La compagna annuì, confermando i suoi dubbi. «Be', affari loro. Di certo non siamo noi a tornare distrutte in caserma.»
La frecciatina alle condizioni non sempre ottimali di certe colleghe non andò a vuoto ed Elizabeth scoppiò in una fragorosa risata che attirò l'attenzione di tre uomini piuttosto giovani che potevano sembrare tutto tranne che frequentatori assidui di quel bar dimenticato da Dio, ma non dai militari fuori servizio.
Ci volle ben poco perché il più sfrontato decidesse di prendere in mano la situazione per avvicinarsi alle due donne, assurdamente convinto che la loro presenza lì non poteva che essere imputata a un solo motivo per nulla dignitoso secondo le opinioni della maggior parte del popolo.
«Cosa ci fanno qui due belle signorine come voi?» domandò il giovane, la voce appena strascicata come se avesse alzato un po' troppo il gomito quando invece cercava soltanto di fare un po' di pietà così da svegliare quell'animo da crocerossina che era convinto tutte le donne possedessero.
Elaine continuò a sorseggiare il the ormai raffreddato mentre aspettava che l'amica formulasse una delle sue solite risposte taglienti capaci di allontanare anche l'uomo più insistente e osservò con attenzioni i tre sconosciuti che le avevano approcciate: se il più basso dalla lingua un po' troppo lunga non l'aveva proprio impressionata, gli altri due erano piuttosto carini e sicuramente soldati d'alto rango data la divisa impeccabile. Uno in particolare, quello con un sorrisetto ammiccante stampato in viso e gli occhi azzurri, aveva attirato la sua attenzione e, in tutta sincerità, un po' se ne vergognava dato che, da poco, si frequentava con un compagno d'armi... eppure non poté fare a meno di ricambiare il sorriso appena incrociarono lo sguardo.
«I fatti loro, ecco cosa fanno. Semmai, è la presenza di tre signorotti dalla divisa troppo pulita a stupirmi» sibilò Elizabeth, stringendo le labbra in una linea sottile. Questa volta, la sua frecciatina s'era spinta un po' oltre dato che aveva velatamente suggerito la possibilità che i gradi acquisiti non fossero stati davvero guadagnati - come si suol dire - con sangue e sudore, bensì con del banale denaro.
Elaine trattenne a stento una risata divertita nel vedere le espressioni stupite sui volti degli sconosciuti, ma si rese conto ben presto che non avevano colto l'infamante dubbio dato che le inutili chiacchiere continuarono.
«Mi pare proprio strano che due donne frequentino un bar di militari senza secondi fini...» insistette il più basso, passandosi una mano sul petto all'altezza delle placchette di metallo come se dovesse pulirle da della polvere inesistente. O mettere in risalto i suoi riconoscimenti.
"Un bassotto, ecco cosa sembra" si ritrovò a pensare Elaine mentre continuava a squadrarlo dalla testa ai piedi come si fa con una preda allettante. "Solo molto meno carino".
«Strano, dici?» s'intromise lei, sistemandosi il colletto della divisa in modo tale da mettere in bella vista la Pallade Atena, simbolo ufficiale delle WAC. «Siamo soldati pure noi e abbiamo ogni diritto di stare qui senza passare per delle scostumate come stai velatamente suggerendo.»
La sicurezza nei volti dei tre uomini vacillò appena e ognuno ne trasse la propria conclusione: quello dalla lingua lunga scoppiò in una fragorosa risata con tanto di braccia strette attorno alla vita, l'altro dai corti capelli biondissimi - sembrava così tanto un tedesco che spesso la gente comune gli lanciava occhiate sprezzanti - si limitò a un sorrisetto divertito, come se avesse già saputo tutto, e il moro dagli occhi azzurri che tanto aveva colpito Elaine la guardò intensamente finché le guance della donna non si tinsero di rosso per il disagio.
«Ti prego, servono dieci di voialtre per fare uno di noi» sbottò sempre lo stesso, dopo aver terminato la sua risata canzonatoria.
«John sei imbarazzante, chiudi la bocca una volta ogni tanto» disse il biondo, dando una pacca sulla spalla al compare, per poi rifilargli uno sguardo di fuoco che avrebbe fatto impallidire qualsiasi nemico. «Scusatelo, le sue manie di protagonismo hanno spesso la meglio su quel poco di cervello che gli è rimasto.»
Elaine scoppiò a ridere di gusto, fin troppo divertita da quella presa in giro per nulla innocua. In tutta sincerità, ricordava a malapena l'ultima volta in cui non si era sentita a disagio insieme a degli uomini, soprattutto se soldati, dato che questi - come la madre le aveva sempre detto - assomigliavano più ad animali senza scrupoli che a normali persone nel fiore della vita. In questo caso, nonostante l'approccio altamente maschilista di quel pervertito di John, Elaine s'era sentita al sicuro, tranquilla, e non aveva pensato neanche per un istante di tirargli uno schiaffo in pieno viso, cosa di per sé molto frequente nella sua testa da venticinquenne degli anni Quaranta.
«E voi due avete approfittato di lui per farvi avanti, non siete tanto diversi» puntualizzò Elizabeth, alternando lo sguardo tra il biondo e il moro che stavano ai lati di John come dovessero fargli da supporto.
Era in situazioni come queste che usciva tutta l'inadeguatezza di Elizabeth nel fare il soldato: per quanto le WAC fossero donne orgogliose e fiere del loro mestiere - per la maggior parte femministe fino al midollo -, avevano capito fin troppo presto che alzare la voce contro un collega maschio avrebbe portato soltanto grossi guai che spaziavano dal licenziamento in tronco alle mani alzate nei momenti meno opportuni. L'unica che sembrava non aver recepito il messaggio sembrava essere, per l'appunto, Elizabeth.
Fu solo per miracolo se nessuno se la prese. O forse si doveva ringraziare il giovane dagli occhi azzurri che, presentandosi, deviò l'attenzione su tutt'altro argomento.
«James Barnes» disse con un gran sorriso in viso, focalizzando poi lo sguardo su Elaine. Per quanto cercasse di non essere troppo esplicito, non riusciva proprio a levarle gli occhi di dosso: i pochi ciuffi scuri sfuggiti dallo chignon le incorniciavano il viso dalle guance arrossate appena paffute, la divisa le stava davvero a pennello e, per suo modestissimo parere, avrebbe tranquillamente accorciato la gonna di qualche centimetro... però era un gentiluomo e non si sarebbe mai azzardato a fare qualcosa di diverso dal guardarla adorante.
Era scattato il colpo di fulmine, non si poteva proprio negarlo.
«Adrian Weber» lo seguì a ruota il biondo e accennò un inchino canzonatorio, aspettando che le giovani si presentassero prima di procedere con il consueto baciamano.
Quasi per sbaglio, Elaine spostò lo sguardo verso l'entrata del bar più affollato del solito e incrociò altri due occhi blu che aveva imparato a conoscere molto bene, solo che questa volta sembravano molto più diffidenti del solito.
Benjamin, il suo fidanzatino da poco meno di due mesi, era seduto al tavolo più vicino all'uscita da ormai svariati minuti e gli era bastata un'occhiata distratta ai soldati per individuare la sua newyorkese preferita intenta a chiacchierare con degli uomini che lui non aveva mai visto prima. E questo non gli piaceva affatto.
«Scusatemi, ma devo scappare» parlò Elaine, dopo un attimo di sgomento. Fece capire all'amica cosa stava succedendo con un cenno della testa verso il compagno ed Elizabeth annuì appena, forse un po' annoiata per la presenza di Benjamin.
La maggiore dei Collins non s'azzardò neanche a lanciare un'ultima occhiata a James prima di dirigersi a lunghe falcate verso l'uscita del bar, più che certa che il fidanzato l'avrebbe seguita nel giro di pochi istanti.

«Adesso mi dai una spiegazione, giusto?» chiese subito Benjamin, appena si ritrovò fianco a fianco con la compagna. Per quanto cercasse di non fare movimenti violenti, il tono della voce tradiva tutto il suo nervosismo che di lì a poco, se non avesse ricevuto le risposte che voleva, si sarebbe trasformato in quella rabbia gelosa tipica delle persone insicure e dalla coscienza sporca.
Lui adorava troppo la sua Elaine. Amici fin dall'infanzia, erano cresciuti come fossero fratello e sorella e la loro novella storia d'amore non aveva stupito pressoché nessuno della loro cerchia di conoscenze: certo, qualcuno c'era stato a sollevare l'ipotesi che non sarebbero durati tanto a causa del forte legame fraterno, ma era subito stato messo a tacere da chi accusava d'essere solo invidiosi.
A Benjamin era servito quasi un anno di corteggiamento per riuscire a fare breccia nel cuore di Elaine ed era rimasto oltremodo scontento quando lei, alla sua richiesta di abbandonare la divisa per evitargli troppe preoccupazione, rispose con un sonoro no.
Eppure, nonostante i molteplici campanelli d'allarme, Elaine si lasciò conquistare dai modi gentili del compagno che solo ogni tanto sfociavano in attacchi di gelosia.
«Non è successo niente di particolare, quei tre si sono avvicinati ed Elizabeth li ha rimessi al loro posto. Stavano per andarsene quando mi sono alzata» mentì la giovane, stringendosi meglio nel pesante cappotto che ben poco serviva contro quel freddo gelido di New York.
Le salì un groppo in gola quando ripensò agli sguardi scambiati con James e un'ondata di vergogna le fece accelerare il battito cardiaco, facendole desiderare di poter scomparire da lì all'istante.
«Mh, certo. Spero di non doverti ricordare che, prima o poi, vengo a scoprire tutto.»
«Puoi stare tranquillo, davvero» insistette Elaine, stringendogli una mano con fare rassicurante. Gli carezzò con delicatezza il dorso della mano, ben consapevole che ciò l'avrebbe calmato un po', e fu con un sorriso smagliante che si voltò verso di lui. «Ti va di venire a salutare mia mamma? Sono sicura sarebbe felicissima di rivederti!»
Benjamin tentennò appena, troppo concentrato nelle delicate carezze per riuscire a formulare una risposta pertinente, e fu solo quando Elaine si azzardò a strattonarlo che tornò alla realtà, ormai convinto dell'innocenza della compagna.
Ecco, gli serviva ben poco per accantonare la sua bruciante gelosia, ma altrettanto poco bastava per farlo uscire di testa.
«Non vorrei essere di disturbo... dopotutto tuo padre è da poco tornato.»
«Oh, non devi preoccuparti! Vieni dai, per dieci minuti nessuno si lamenterà!» lo spronò Elaine, allungando il passo nella direzione di casa, e accolse con sollievo il leggero bacio sulla fronte che ricevette in risposta.
"Anche questa è passata", riflettè lei, dopo un impercettibile sospiro di sollievo. "L'importante è non farsi trovare impreparata".
Ed era vero: per quanto Elaine fosse una ragazza diligente e molto sveglia, peccava in tutto ciò che riguardava la sfera sentimentale e inventarsi qualche bugia non l'avrebbe aiutata ancora a lungo, non con un fidanzatino così protettivo.





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Ehilà, belle personcine!
Lo so, gli aggiornamenti dovevano cominciare da febbraio, ma ho finito gli esami (speriamo bene lol) e avevo voglia di farmi un regalino.
Ebbene, sono consapevole di come questo inizio possa sembrare banale, ma mette in gioco varie "cose importanti" per la nostra protagonista e mi piace proprio così com'è - stranamente!
Non trucidatemi se ho usato in modo scorretto la terza persona: è tipo la prima volta che la uso in cinque anni che scrivo, sto davvero battendo terra sconosciuta!

Per qualsiasi commento, critica o domanda, sapete dove trovarmi: qui (e questo mi par ovvio) e su Instagram come svnset_wp.

Senza paura »Bucky Barnes [sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora