4) Ritorno a casa.

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Non era certo che la meta del trio fosse proprio il campo Lehigh, dopotutto Wheaton era una cittadina abbastanza grande, eppure Elaine e Steve sapevano che centrava qualcosa: una strana sensazione viscerale suggeriva loro che avevano ancora un conto in sospeso con quel passato che mai sarebbero riusciti ad accantonare definitivamente e, per quanto assurdo, non vedevano l'ora di poterlo affrontare.
«Siamo arrivati!» esclamò Natasha, ora molto più a suo agio rispetto all'incontro avuto in ospedale. Si poteva ben dire che il viaggio in auto fu illuminante sotto diversi punti di vista: oltre a esplorare un po' più a fondo il passato nell'esercito dei due "fossili" - così, ormai, li aveva soprannominati la rossa -, s'erano fatte varie speculazioni riguardo un possibile scontro con il Soldato d'Inverno e come poterne uscire vivi, magari prendendolo pure in custodia.
Per precauzione, avevano deciso di parcheggiare a poco meno di mezzo chilometro dal punto esatto indicato dalla mappa sullo smartphone di Natasha e di farsi la strada a piedi: era stata una decisione del capitano, questa, e le insistenti richieste di spiegazioni le accantonò con un movimento spazientito della mano destra mentre camminava spedito verso quella che sapeva essere la loro meta.
«E lo scudo?» chiese Elaine, picchiettando le nocche sulla superficie fredda dell'oggetto mollemente assicurato sull'avambraccio sinistro di Steve. «Mica stiamo andando in battaglia!»
«È questo ciò che ti preoccupa adesso?» la rimbrottò lui con un'alzata di occhi al cielo. Forse l'idea di tornare al campo Lehigh lo stava rendendo più paranoico del dovuto eppure c'era una strana sensazione a gravargli sulle spalle, quasi una vocina maligna che gli suggeriva di tenere gli occhi aperti perché il pericolo, la maggior parte delle volte, è ben nascosto.
Elaine gli fece una linguaccia annoiata, incrociò le braccia al petto e accelerò il passo per raggiungere Natasha, per un attimo ferita dalla risposta quasi aggressiva ricevuta da Steve.
Non si meritava quel trattamento distaccato, ne era più che convinta, ma la voglia di mettersi a discutere rasentava lo zero: la recinzione del vecchio campo Lehigh si stagliava con timida alterigia sul trio, proiettando sulle loro teste l'ombra del filo spinato arrugginito, e il cancello socchiuso sembrava invitarli a entrare, a recuperare quei ricordi seppelliti sotto i detriti abbandonati degli edifici.
«Il segnale viene da qui» parlò infine Natasha, confermando le supposizioni dei supersoldati.
«Così come noi due» precisò Steve con lo sguardo perso oltre il perimetro della zona militare ormai bonificata. La rossa lo guardò perplessa, non riuscendo a capire a cosa si riferisse l'amico, ma non le fu data alcuna spiegazione. Nemmeno da parte di Elaine. «Andiamo.»
«Non ci sono fonti di calore o particolari segnali, chiunque abbia scritto il programma deve aver utilizzato un router per deviare i sospetti» ragionò Natasha ad alta voce, accantonando la punta di risentimento nata dall'esser stata ignorata. Lo schermo dello smartphone indicava soltanto tre puntini rossi affiancanti nel raggio di 500 metri e corrispondevano a loro, quindi arrivare fin lì era stato un vero buco nell'acqua e un'ottima occasione per finire nella trappola di ciò che rimaneva dello S.H.I.E.L.D.
Non fecero in tempo a muoversi di qualche metro sul terreno quasi sabbioso del campo che i due supersoldati si bloccarono di colpo, lo sguardo fisso su un particolare edificio dalla tenuta nettamente migliore degli altri. Era più moderno, senza finestre ad altezza uomo e con una porta d'acciaio pesante ben sigillata. «Quello è nel posto sbagliato» disse infatti Steve, indicando l'oggetto di tanto interesse.
«Ovvero?» chiese Natasha.
«Sembrerebbe un deposito di munizioni e non lo si può costruire così vicino alla caserma» spiegò con attenzione il biondo, stringendosi nelle spalle come se avesse detto qualcosa di troppo. Raggiunse poi l'entrata dell'edificio, strinse la presa sullo scudo e colpì con più forza possibile i chiavistelli che chiudevano la porta: per quanto assurdo potesse sembrare, bastarono un paio di colpi ben assestati a ognuno per farli cedere. «Visto che lo scudo serviva?» borbottò ironico verso Elaine, facendole poi cenno di precederlo dentro il deposito.
«Molto simpatico, sì» rispose lei, alzando gli occhi al cielo con un piccolo sorriso divertito. Diede un delicato spintone a Steve per poter entrare per prima e a tentoni cercò l'interruttore della luce sulla parete di sinistra, rimase notevolmente stupita quando i lampadari sul soffitto spoglio illuminarono il simbolo dello S.H.I.E.L.D. dipinto sul muro di fondo della piccola stanza atta ad atrio.
Elaine non aveva certo il livello necessario per conosce le informazioni più importanti - e segrete - dell'organizzazione per cui lavorava, eppure questa scoperta la lasciò con l'amaro in bocca: per quale ragione c'era un loro ufficio nel bel mezzo del campo Lehigh, ma soprattutto perché aveva la sensazione di essere appena finita in un guaio più grande di lei?
«Questo posto è proprietà dello S.H.I.E.L.D.» constatò anche Natasha, portando involontariamente una mano alla pistola che teneva nella cintola. «Ma sembra vecchio di almeno cinquant'anni.»
Avanzarono verso il fondo della stanza a piccoli passi, osservando con un'attenzione maniacale l'ambiente circostante nel tentativo di prevenire qualsiasi attacco improvviso, e con la stessa cura ispezionarono i locali successivi. Non servirono parole né sguardi particolari agli agenti perché si mettessero a indagare, tutti e tre consapevoli di star giocando con il fuoco ora che avevano lo S.H.I.E.L.D. corrotto con il fiato sul collo.
«Oh! Steve, guarda, è Howard!» esclamò all'improvviso Elaine, puntando il dito contro una fotografia appesa sul muro Nord della stanza in cui erano appena entrati. Lo sguardo cadde poi sulla cornice poco più accanto dove c'era un'immagine di Peggy, il sorriso che l'era spuntato sul viso si spense appena nel vederla, ma si obbligò ad accantonare i sentimenti contrastanti per ricordare soltanto quanto fosse stata utile nel progettare tutte le incursioni dei supersoldati.
«Chi è la donna?» domandò Natasha al capitano, notando l'espressione nostalgica che gli era comparsa improvvisamente in viso dopo aver appurato la presenza della giovane agente a lei sconosciuta. Lui non rispose e proseguì verso la stanza successiva; la rossa si sorprese nel sentirsi delusa dal distacco improvviso dell'uomo, ma ignorò con forza il sentimento quando vide Elaine farle cenno di lasciar perdere per poi sussurrarle che le avrebbe spiegato tutto più tardi.
«Ho trovato qualcosa» parlò Steve, attirando l'attenzione delle due donne rimaste indietro. S'erano scritti libri su libri riguardo le imprese militari del capitano, racconti incentrati soltanto sulla prestanza fisica di quel soldato eccezionale, e mai nessuno aveva provato ad andare oltre quell'apparenza perfetta, magari cercando di comprendere la persona che vi si nascondeva dietro. Perché Steve Rogers possedeva un intelletto vivace e la sua ultima scoperta era l'ennesima prova: spostando una biblioteca ricolma di libri aveva rivelato la presenza di un ascensore da cui arrivava qualche spiffero d'aria e non c'era alcuna ragione valida per tenerlo nascosto.
«Sei un genio!» esclamò tutta contenta Elaine, sorridendo così gioiosamente da pensare fosse stata lei a fare la scoperta quando in verità era soltanto felice di rivedere il vecchio Steve.
Lasciò che i due Avengers la precedessero per poter controllare un'ultima volta l'ambiente che stavano abbandonando: c'era qualcosa in quelle pareti sbiadite che la turbava, rivedere il volto sorridente di Howard e del colonnello Phillips le aveva fatto venire la pelle d'oca, per poi lasciarla con i nervi a fior di pelle tanta era la tensione che provava.
Elaine non aveva paura - ormai erano poche le cose che riuscivano a farla gelare sul posto - eppure quando le porte dell'ascensore malandato le si chiusero davanti agli occhi, la mano destra scivolò verso la fidata pistola infilata nei pantaloni per poi chiudersi sul telaio gelido.
Il trio sbucò in un seminterrato grande quasi quanto l'intero piano terra appena esplorato dove v'erano almeno una quindicina di vecchi computer accompagnati da svariati componenti esterni a cui i due supersoldati non avrebbero mai saputo dare un nome.
A parte una leggera umidità, l'aria era fin troppo respirabile per essere un sotterraneo abbandonato e privo di evidenti sbocchi con l'esterno.
«Questa tecnologia è troppo vecchia per essere l'origine del programma» constatò Natasha, avvicinandosi con fare circospetto a quello che sembrava il tavolo di lavoro principale.
Steve inclinò appena la testa di lato a quest'affermazione mentre i pensieri correvano veloci nel tentativo di unire anche quel pezzo di puzzle, ma c'era sempre un qualcosa che gli impediva di vedere il piano nella sua interezza, un dettaglio inafferrabile in quel momento.
Un gridolino, però, fece voltare di scatto i due Avengers.
Elaine, rimasta indietro, aveva deviato in un'altra stanza - nettamente più piccola e spoglia di quella stipata di computer - e con la sua ormai tipica curiosità s'era messa ad aprire mobili e cassetti alla ricerca di qualsiasi documento utile per poter scoprire qualcosa di più sullo S.H.I.E.L.D. Di certo non si aspettava di trovare il suo vecchio scudo sul fondo di un armadio mangiato dai tarli e reprimere un'esclamazione sorpresa fu impossibile: sfiorò la superficie liscia e incredibilmente gelida come se avesse il timore di vederla sgretolarsi, la vernice scura s'era rivelata resistente al tempo oltre che ai colpi dei nemici e rifletteva in modo sinistro la debole luce del lampadario.
«Cos'è successo?» quasi sbraitò Steve, entrando in fretta e furia nella stanza solo per trovare Elaine con il sedere all'aria mentre ammirava il suo tesoro.
«Guarda cos'ho trovato!» esclamò lei tutta contenta, alzando lo scudo in aria come fosse un trofeo da mostrare a chiunque. «È proprio lui! Ci sono ancora le mie iniziali sul cuoio!»
L'espressione contrita sul volto del capitano si rilassò all'istante nel vedere la felicità con cui la sua partner si rigirava in mano lo scudo, per un istante gli sembrò d'esser tornato al giorno in cui Howard aveva regalato loro quell'arma un po' fuori dal comune, ma poi Natasha urlò di raggiungerla e il ricordo perse consistenza.
«Bentornata, Patriot» la prese bonariamente in giro la rossa, facendo un cenno con il capo verso lo scudo ben stretto sul braccio sinistro di Elaine. «Strano abbinamento di colori per essere una patriota.»
«Lasciamo perdere, Romanoff. Qualche novità?» tagliò corto la sergente con una scrollata di spalle, per poi puntare lo sguardo sullo schermo del computer centrale in cui era da poco comparsa una scritta: "avviare il sistema?". Natasha digitò velocemente un sì sulla tastiera e bastarono pochi secondi perché Elaine avesse la sua risposta.
Purtroppo per loro, s'erano appena fatti scoprire.
«Rogers, Steven. Nato nel 1918. Collins, Elaine. Nata nel 1918. Romanoff, Natalia Alianovna. Nata nel 1984» parlò d'improvviso una voce dal forte accento tedesco e una telecamera di almeno cinquant'anni prima si mosse per poter inquadrare bene gli agenti che fissavano attoniti lo schermo illuminato da quello che sembrava un volto umano fatto di pixel.
«È una registrazione?» chiese la russa, lanciando un'occhiata ai due compagni.
«Non sono una registrazione, Fräulein! Potrei non sembrare l'uomo che ero quando il Capitano mi prese prigioniero nel 1945, ma lo sono» fu la risposta quasi seccata di Arnim Zola.
«Conosci questo coso?» domandò ancora Natasha, guardando esterrefatta Steve.
Elaine ascoltò a malapena lo scambio di battute tra i tre - sempre che Zola lo si potesse considerare come persona attiva nel dialogo -, era troppo concentrata a imprimersi a fuoco nella memoria quel volto fatto di grossi pixel verdi per cui sapeva d'aver perso James: ci provava, lei, a dimenticarsi il sergente Barnes, a ignorare il vuoto allo stomaco che avvertiva ogni qual volta passava davanti al Muro del Valore nel quartier generale dello S.H.I.E.L.D., eppure era difficile abbandonare una delle poche certezze che aveva avuto negli anni di guerra.
Se fosse andata anche lei in missione, forse James non sarebbe morto e lei non avrebbe mai rischiato la vita, finendo nei ghiacci dell'Artico.
«È impossibile, lo S.H.I.E.L.D. vi avrebbe fermati!» esclamò Natasha con una rabbia nella voce di cui lei stessa si stupì. Non aveva alcuna intenzione di credere a una cosa simile: l'organizzazione che l'aveva strappata via dalla sua vecchia vita era davvero così corrotta? Non voleva crederci, era assurdo!
«Ci furono degli incidenti» continuò mellifluo Zola, come se stesse spiegando una cosa proprio basilare a degli interlocutori un po' duri di comprendonio. Sullo schermo passarono velocemente le immagini della morte di Howard e Maria Stark, seguite subito dopo da quella di Fury ed Elaine non riuscì più a vederci dalla rabbia: strinse la presa sulla cinghia di cuoio dello scudo e distrusse il monitor con un colpo secco, veloce, che quasi la fece sorridere dalla soddisfazione.
«Come stavo dicendo...» tentò di riprendere il controllo Zola, ma Elaine fu svelta a interromperlo di nuovo. «Cosa c'è nel drive?»
«Il Progetto Insight necessita di intuizione. Quindi ho scritto un algoritmo.»
«Che genere di algoritmo? Cosa fa?» insistette Natasha, cercando di ottenere quante più informazione possibili per riuscire ad avere una visione più completa della situazione.
«La risposta alla tua domanda è affascinante. Sfortunatamente, sarete troppo morti per ascoltarla.»
Le uniche due porte della stanza cominciarono a chiudersi non appena lo scienziato svizzero ebbe terminato la frase e un'allarmata Natasha s'affrettò a comunicare ai supersoldati l'arrivo pressoché imminente di un missile a corto raggio dello S.H.I.E.L.D.
Non c'era più tempo da perdere, avevano pochi secondi a disposizione e nessuna via di fuga.
Alla fine dei conti, la russa era stata l'unica a intuire la possibilità d'essere finiti in una trappola, ma, per una volta, aveva scelto di accantonare le sue paranoie, per fidarsi senza riserve di quei due agenti fuori dal tempo. Peccato si fosse rivelata l'occasione sbagliata per abbandonare le vecchie abitudini.
«Muovetevi, seguitemi!» sbraitò Elaine, attirando l'attenzione degli altri due su un'apertura nel pavimento. Senza guardarsi indietro e sperando con tutto il cuore d'essere degna di almeno un po' della loro fiducia, la giovane s'infilò dentro la botola e camminò accucciata con lo scudo sopra la testa per proteggersi dai detriti che sapeva sarebbero arrivati nel giro di pochi secondi.
Steve e Natasha fecero appena in tempo a imitarla che il bunker esplose, rendendo l'aria satura di polvere e sabbia.
Per aprire una via di fuga i due supersoldati impiegarono tutte le forze che avevano in corpo, riuscendo infine a scappare dall'edificio crollato praticamente senza un graffio, mentre l'unità STRIKE era già sul posto per i primi sopralluoghi.
Brock Rumlow osservò i tre sparire dietro un imponente detrito di cemento armato e una strana malinconia arrivò a pesargli sulle spalle, rendendolo fin troppo consapevole d'aver appena lasciato scappare i ricercati. Tra loro c'era Elaine però, non voleva che le fosse fatto alcun male... eppure prima o poi l'avrebbero presa e uccisa comunque. Non poteva farci nulla.
«Sono fuggiti, sapete chi chiamare.»




┉┉┉
Ehilà!
Sono viva, sì. Ho ancora due esami da dare (di cui uno a settembre, quindi ben lontano) e spero di avere a breve un po' di tempo in più per scrivere.
Grazie mille per il costante supporto!

PS. non mi ero accorta questo capitolo fosse tornato in bozze, provvederò quanto prima a rimettere l'intestazione.

Senza paura »Bucky Barnes [sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora