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Mi sono ritrovata a seguire Daniel. Così, come se potessi davvero fidarmi di lui.

Scortata come una bambina per i lunghi corridoio del Rifugio, finisco per ritrovarmi in una piccola stanzetta. Un letto, un armadio e una finestra.

«I bagni sono in comune,» mi informa, restando sull'uscio. «Le docce sono permesse solo prima delle otto di mattina e dopo le nove di sera: al momento, sono libere.»

«Stai forse dicendo che puzzo, Sharman?» Chiedo, sarcastica. Lui accenna ad un sorriso.

«Sei solo particolarmente sporca

Di peso, mi siedo sul letto - così duro da non farmi nemmeno rimbalzare - e incrocio le gambe. Improvvisamente, non riesco più ad essere arrabbiata.

«È passato un anno,» constato, lentamente. «Un anno dall'ultima volta che ho avuto una vera casa in cui passare una notte. Una casa con delle persone vive e senza la paura di essere uccisa.»

Prendo un lungo respiro, e poi sollevo lo sguardo, sorridendo con stanchezza al ragazzo.

«Credi che cederò presto. Lo so - lo vedo nel modo in cui mi guardi,» gli faccio notare, con estrema gentilezza.

«Non lo credo,» si difende lui, ma la speranza è troppo vana.

«Fa lo stesso,» ribatto, sinceramente. «Sono sopravvissuta - l'ho fatto da sola. È giusto che riposi un po'.»

Daniel non sembra convinto - forse è a disagio - e, quasi, mi viene da dispiacermi per lui. Mi chiedo per quale motivo sia costretto a preoccuparsi di qualcuno come me.

Lui potrebbe avere il mondo. Lo ha già.

«Credo che dormirò,» ammetto, sfilandomi il giubbotto e le scarpe.

«Non vuoi mangiare qualcosa? Le cucine sono ancora aperte.»

Lascio cadere a terra lo zaino e poi mi stendo sul lettino, legandomi i capelli. «Buonanotte, Daniel.»

Lui tentenna. Come al solito, è combatte una guerra che non è certo di vincere, quella per me. Per qualche oscura ragione, ha deciso che vuole proteggermi, e può starmi bene, ma ciò non significa che gli sarò grata.
A me non importa di lui.

Comunque, se ne va senza dire nulla, lasciandomi nell'ombra. Io fisso il soffitto, contrita e stanca, e conto i secondi che mi separano dall'arrivo di Morfeo.
Ho compiuto un lungo viaggio - l'ho fatto per sopravvivere - e non mi pento della maggior parte dei crimini che ho dovuto compiere: furti, violenze, vandalismo.
Siamo in tempo di guerra e tutto è permesso, persino l'essere delle creature immaginarie.

Licantropi.

Esistono i licantropi: più ci penso, più mi sento stupida e derisa. Perché a me, cosa ho fatto? Dopo ciò che ho dovuto subire per un'intera vita, ora mi tocca sopportare anche il destino beffardo.
Non voglio, non posso farcela.

Mi tolgo le coperte da dosso, rimettendomi seduta e trovando le mie scarpe. Ho preso una decisione e, ahimé, non posso pentirmene.

I corridoi sono insolitamente vuoti e questo mi da la sicurezza di avventurarmi in questa pazzia. Continuo a pensare che Daniel non è uno sprovveduto e che, certamente, deve aver messo qualche misura di sicurezza al suo regno: solo, nemmeno a cercarle, mi sembra di trovarle.
Ritrovo i passi verso l'uscita e quasi mi metterei a piangere, se non fosse per le guardie.
Mi accuccio contro il muro, nascondendomi alla loro vista, e le osservo da lontano: sono due e non sembrano armate, cosa che mi fa credere che siano licantropi.

Non buono.

Mi mordo le labbra, nervosa, e prendo a guardarmi intorno: devi pensare, Becky, pensa. Poi, il colpo di grazia.
Corrugo la fronte, colpita, e mi drizzo, atterrita dalla vista che mi si pone davanti ai miei occhi: sbarre, una porta con delle sbarre.

Trevor.

Controllo le guardie, occupate sull'esterno, e, immediatamente, le mie mani bruciano. Daniel non manterrà la sua promessa, non lo farà mai: si preoccupa troppo per me.
Come al solito, dovrò fare da sola.

Leggera, striscio verso le prigioni, aprendo lentamente la porta d'acciaio, scivolandomi dentro. Per primo, mi rendo conto che fa buio - terribilmente - e che l'unica luce proviene dalle sei stanze poste sui due lati del corridoio.
Sembrano cubi di metallo e vetro, delle prigioni perfette per un criminale spietato.
E lui è qui, quasi mi pare di sentirlo: la persona che ha rovinato la mia vita.

Stringo i pugni, camminando piano mentre perlustro le celle di volta in volta, controllandole: solo all'ultima, finalmente mi fermo.
Un letto, un gabinetto, un lavandino: così spartano e così fragile. Nella sua bellezza, Trevor non si addice affatto a quella vista spartana.
Sta dormendo - o forse finge - rannicchiato sul pavimento e avvinghiato in una coperta grigia. Di scene come questa, ne ho viste a migliaia, eppure non mi sento pronta.
Vorrei andare da lui, vorrei sfiorare quel suo volto che tanto mi ha fatto sognare e sentire di nuovo la sua voce.
E poi lo vorrei sentire pregare, vorrei sentire il suo sangue colare sulle mie mani mentre gli trancio di netto il collo.

«Trevor.»

Il ragazzo solleva piano il capo biondo, facendo oscillare le belle ciocche lisce. Ci mette un attimo a trovarmi ma, quando mi riconosce, il suo sguardo si illumina come una fiaccola incandescente. 

«Becky Hamilton, santo cielo.»
Veloce, si rimette in piedi, arrivando quasi a toccare il vetro pur di guardarmi per bene. Come al solito, non si lascia sfuggire nemmeno una curva. «Sì, sei proprio tu.»

«Sei disgustoso,» commento, schifata. «Non sei cambiato affatto.»

Trevor sorride. «E tu sei sempre la solita stronza, vedo: forse per questo non mi dovrei sorprendere di trovarti dalla parte sbagliata del vetro.»

«Non ho idea di cosa tu stia parlando,» affermai. «Mi è stato detto che cacci lupi mannari, ora.»

«E tu sei loro amica,» sorrise, furbo: «anche di più, conoscendoti. La piccola Becky vuole sempre più di quello che può avere.»

Le unghie premono sulla mia carne, facendola dolere sino al sangue. Lo vorrei uccidere, ma è più probabile che pianga.

«Tu hai ucciso mia sorella!» Esclamai, sconvolta. «Tu, assassino! Ti ricordi di lei?»

Mi avvicino al vetro, sfidandolo con lo sguardo e non sottraendomi al suo. Sfrontato, abituato a farsi idolatrare: per quanto lo attaccassi, lui restava vittorioso dei suoi crimini.

«Beatrice ti amava.»

Trevor sfiora il vetro, annebbiandolo con il suo respiro. Occhi neri come brace mi rinchiudono nel mio stesso corpo.

«Ma io vi volevo entrambe.»

La rabbia mi fa esplodere il petto. Incontrollata, mi avvento contro il vetro, iniziando a prendere a pugni il suo riflesso come se potessi davvero distruggerlo.
Un pugno per il dolore; uno per la memoria ed uno per il corpo.
Vorrei vederlo scomparire, ma Trevor sorride, sorride e basta.

«Io ti uccido!» Prometto, mentre le nocche della mani sanguinano.
La vista mi si offusca e non mi fermo mai, nemmeno quando un paio di braccia si chiudono intorno al mio petto, assorbendo quel dolore malvagio.
Continuo a colpire, a sputare e urlare, lo faccio finché le forze non mi abbandonano e restano solo le lacrime.
Questa è la mia seconda crisi in appena un giorno; la seconda volta in cui, quando mi risveglio, mi ritrovo fra le braccia dello stesso ragazzo.

«Daniel?» Chiedo, con un soffio di voce. «Perché sei qui?»
Ci sono delle guardie con lui, sono attive su Evan per farlo stare zitto, ma ormai sono troppo stanca per pensarci.

«Stai calma,» dice, e mi stringe a sé, accarezzandomi i capelli. «Ti porto via.»
Per una volta, è facile lasciarmi salvare.

Angolo

E siamo ancora qui😂
Prima o poi riuscirò ad andare d'accordo con questa storia😔 Detto ciò, siamo a metà e ho scritto i capitoli, quindi andrà bene❤️
Voi ci siete ancora?

A presto,
Giulia

BEFORE DAWN / Daniel SharmanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora