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Credo di aver sognato cose che avrei preferito dimenticare.
Beatrice, Trevor e, infine, le statue della morte.

Ho sentito il mio stesso corpo sudare e dimenarsi, insofferente a quella stessa mente che mi tiene imprigionata e mi affligge.
Nemmeno nel sonno posso dirmi salva dal mio passato; nemmeno quando ormai non è rimasta anima viva che possa raccontarlo.

E fa male, molto, sentirsi in questo modo. Sentirsi vittime di un mondo al collasso e dei suoi abitanti che hanno perso la speranza. Vorrei avere qualcuno, vorrei avere un sostegno da poter sentire solo mio, e lo trovo, se pur nei miei desideri profondi, in quella mano che sento accarezzarmi i capelli durante il sonno.

Così, lentamente, mi calmo. Non sono più sola, non devo fingere di essere forte, perché c'è qualcuno proprio qui, al mio fianco, ed è disposto a proteggermi. L'ultima volta che mi sono sentita così, Beatrice era ancora viva.

"Resta."

Non mi sorprendo di non trovarmi in un letto non mio, in una stanza che non riconosco. Daniel è steso al mio fianco e ha gli occhi puntati verso di me mentre continua ad accarezzarmi i capelli.

"Sono qui," ammette, e sono certa che è sincero. "Non vado da nessuna parte."

Continuo a non muovermi, cercando di sopportare il suo sguardo, indubbiamente calmo. Non sembra uno che, dopo avermi promesso di proteggermi, mi ha fatta seguire di nascosto per scoprirmi in una cella intenta a prendere a pugni un vetro infrangibile.
E, comunque, le mani mi fanno male da morire.

"Io...lo sapranno tutti, non è vero?"

Il ragazzo mi studia il volto, accarezzandolo da lontano. Se la mia mente funzionasse ancora, mi domanderei come fosse possibile che un essere come Daniel sia reale: dopo tutti quei giorni, ancora non ha tentato di abbandonarmi, nonostante continui a dargli il peggio di me.

"Le guardie non parleranno e io nemmeno," conferma: "ma dovrai darmi delle spiegazioni, lo sai."

Spiegazioni.
Non mi reputo certo un'esperta in questo: in realtà, tendo ad agire e sperare che le cose abbiano un minimo senso, dopo tutto. Ma con Daniel non può andare così, non posso dargli anche questo dispiacere.
Ed io non posso essere così pessima.

"Mia...mia sorella si chiamava Beatrice. Lei era più grande di un anno ed era perfetta sotto ogni aspetto: intelligente, simpatica e bellissima. Eravamo molto legate e lo eravamo da sempre, sin da quando ne ho memoria: lei era la parte migliore di me ed io, beh, ero la sua tortura quotidiana." Sorrido, ricordando quegli strambi ricordi di una famiglia passata. "Poi, è arrivato l'ultimo anno e, con questo, Evan."

Una smorfia tradisce il mio viso e sospiro, recuperando la mano di Daniel dal mio viso. Non la allontano, come forse crede lui, ma la tengo a me, assecondandone il profilo con le mie dita. La sua pelle profuma di sapone.

"Trevor era il classico bel ragazzo popolare. Giocatore di basket, con una borsa di studio e la maggior parte delle ragazze a sua disposizione. Però, improvvisamente, si è accorto di Beatrice." Un sorriso amaro. "Non c'era motivo di quella attrazione: la voleva e l'ha avuta, stop. Io, però, sapevo che c'era qualcosa che non andava, che non era una persona come le altre o che la loro relazione non fosse normale. Trevor non era costante – vedeva altre ragazze, sparlava di Beatrice alle sue spalle – e, poi, c'ero io."

"Inizialmente era nato come un fastidioso interesse: sapeva che io non lo apprezzavo e per questo mi stuzzicava, sperando di farmi sfigurare davanti a Beatrice. Voleva dividerci, voleva metterci una contro l'altra, fin troppo disgustato dal nostro rapporto. Perciò, le cose sono peggiorate col tempo: prima un litigio, poi una vicinanza sospetta – una volta, restò a dormire da noi, e me lo ritrovai in camera, intento a fissarmi mentre dormivo."

BEFORE DAWN / Daniel SharmanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora