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Lo sconosciuto bloccò il movimento delle mani che sfioravano la carta, spalancò gli occhi, guardando un punto a caso a terra, digrignò i denti: «Cazzo.» sussurrò a fil di voce.

«Ho chiesto chi sei!» ripeté Jimin. Il moro era terrorizzato, sentiva ogni parte del suo corpo tremare, il suo battito cardiaco martellare così forte da fargli pulsare la gola e le tempie. Jimin avrebbe voluto solo scappare, ma il pensiero che sua sorella potesse tornare da un momento all'altro o che il ladro potesse salire e trovare i suoi genitori, mantennero calma la sua voce che, stranamente, sembrò sicura e arrabbiata.

Lo sconosciuto, ancora inginocchiato a terra, girò lentamente il volto, provando a guardare chi lo avesse beccato, ma la voce di Jimin lo intimò a fermarsi: «FERMO!» urlò, sperando un istante dopo di non aver svegliato i suoi, non voleva che si spaventassero «Non ti muovere se non vuoi che ti fracassi il cranio».

Il ladro sospirò e alzò gli occhi al soffitto: «Aggressivo, mi piace.» commentò ironico, aggiungendo subito dopo un ancor più ironico «Forse un po' cliché, insomma, neanche nei film dicono cose come ti fracasserò il cranio».

Jimin si trovò a boccheggiare, preso alla sprovvista; strinse le dita ancor di più intorno al mattarello: «Questa è casa nostra, vattene subito o chiamerò la polizia».

Lo sconosciuto vestito di rosso sospirò: «Posso finire prima?» chiese, ancora con ironia nella voce, alzando le braccia come se un poliziotto lo stesse puntando con una pistola «Ho le mani libere, non ho armi, visto?» mosse le dita in aria.

«No che non puoi finire!» rispose Jimin assolutamente sconcertato dalla sua richiesta «Non puoi venire qui a rubare!» strinse più forte il mattarello, deglutì e crucciò la fronte.

La persona vestita di rosso, ancora a terra e ancora con le spalle rivolte a Jimin, sospirò stanco, piegando la testa di lato: «Non devo rubare niente, devo portarvi dei fottutissimi regali.» disse in modo scocciato «Ma se non li vuoi fanculo, posso pure andarmene e basta sai?»

Jimin rimase immobile, in silenzio, senza capire bene che fare, senza capire bene le parole che stava dicendo il ladro o il pazzo che fosse, poi gli venne in mente una cosa importante: «Stai fermo, immobile, chiaro?» Il tizio semplicemente annuì, rimanendo con le mani alzate e la testa piegata; Jimin camminò all'indietro, in ansia, facendo più in fretta che poteva, finché non arrivò alla lampada a fianco al divano, accendendola.

Nell'esatto momento in cui la accese le luci dell'albero si spensero. Jimin tirò un sospiro di sollievo. Lo sconosciuto sospirò: «Meno male, mi stavo stancando».

«Non parlare!» lo intimò Jimin, riavvicinandosi per tenerlo sotto controllo «Ora alzati lentamente.» dicendo in modo stranamente lento lui stesso quell'ultima parola.

Lo sconosciuto si alzò, piano, facendo forza sulle ginocchia, mostrandosi in tutta la sua media altezza: qualche centimetro in più di Jimin, corpo esile, gambe strette, una tuta da Babbo Natale fin troppo larga per la sua corporatura.

«Okay, ladro, ora girati e fatti vedere.» chiese Jimin, spaventato. Se avesse avuto una maschera sarebbe riuscito a levargliela senza tremare? Se avesse avuto una faccia spaventosa o uno sguardo inquietante sarebbe riuscito a tenergli testa?

Lo sconosciuto si girò, piano, mostrandogli un viso che era tutto fuorché inquietante. I suoi occhi avevano un qualcosa di profondo, ma erano freddi e annoiati, di un azzurro acceso tanto chiaro da assomigliare al bianco; Jimin immaginò subito avesse delle lenti a contatto, ma non ne capì il motivo. Il suo viso era chiarissimo, ancor più chiaro al riflesso della lampada, magro e dai tratti delicati. Sembrava avere più o meno l'età di Jimin, forse qualche anno in più, ma non troppi.

Giusto il tempo di un fiocco di neve - {Yoonmin}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora