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Chilometri di neve candida intoccata, scintillante sotto la luce del sole di mezzogiorno, si distendevano davanti agli occhi scuri di Jimin e sotto il vento gelido di fine dicembre. Alle sue spalle vi era la porta dalla quale era entrato tante ore prima, ma, davanti a lui, vi era il nulla più assoluto. Sembrava impossibile, ma Jimin era sicuro di sentire l'odore della battaglia nell'aria, così reale, accompagnato da un silenzio che ne preannunciava l'inizio. Non sapeva quando aveva cominciato a credere alle parole dell'elfo - e se mai ci avesse creduto davvero - ma i suoi sforzi per convincerlo a combattere al loro fianco aveva avuto i suoi frutti. Forse era stato il suo pianto senza fine, il suo inginocchiarsi e chiedergli con la disperazione sul volto di aiutarli o, forse, solo l'idea dell'eliminazione del natale da parte del Grinch. Non aveva idea di cosa gli avesse fatto scattare quella scintilla in pieno petto che lo aveva portato ad accettare il suo ruolo di combattente, ma non poteva più tirarsi indietro.

Jimin era inginocchiato dietro ad un cumulo di neve pressata, al suo fianco vi erano due giovani elfi, una ragazzina che - dall'aspetto - sembrava avere una quindicina d'anni e quello che sembrava un bambino, sebbene il suo sguardo fiero e pronto alla battaglia lo invecchiassero di almeno trent'anni. C'era uno strano silenzio; anche il vento sembrava non fischiare più per lasciar loro la possibilità di percepire meglio l'avvicinarsi del nemico. Jimin aveva chiesto un'arma appena arrivato ma gli era stato detto di fare silenzio, che avrebbe avuto tutto chiaro appena l'esercito del Grinch sarebbe arrivato e l'umano si era fidato. Jimin, semplicemente, aspettava. La tensione cresceva così tanto, istante dopo istante, che Jimin si ritrovò a sperare l'arrivo del nemico; fu un pensiero che non avrebbe dovuto fare perché nell'esatto istante in cui si creò nella sua mente, questo, si avverò.

Alla linea dell'orizzonte, sfumati dalla lontananza e luminescenti per il riflesso del sole sulla neve, una distesa lunghissima di figure si materializzò davanti a loro: teste che si alzavano, sembrando quasi venir fuori dalla neve ma in realtà semplicemente in marcia verso di loro, erano troppe da contare, una accanto all'altra per chilometri, da destra a sinistra. Jimin si girò intorno per assicurarsi di non essere circondati, ma quando si rese conto che l'esercito arrivava solo da dove si aspettavano si sentì meglio. Il suono di un corno in lontananza sembrò aprire le danze e la marcia del nemico, ancora tanto lontano da sembrare irriconoscibile, divenne una corsa.

«In posizione!» urlò la voce bambinesca di un elfo. Jimin sentì il cuore battere all'impazzata, confuso da cosa avrebbe dovuto fare; guardò i suoi compagni in battaglia, ancora al suo fianco, ma quando li vide inginocchiati a terra nel creare palle di neve si sentì ancor più confuso.

«Al mio via!» la voce a qualche trincea di distanza diede un altro comando e tutti gli elfi si misero in posizione di lancio, come lanciatori di baseball inginocchiati. Jimin era l'unico che, ancora, si guardava intorno; il suo sguardo confuso venne portato sull'esercito che correva verso di loro e, solo allora, riuscì a sentirne le urla sguainate legate al rumore dei passi veloci sulla neve fresca. Jimin deglutì, aspettò semplicemente insieme agli altri, poi l'esercito arrivò ad una decina di metri da loro. «Ora!»

Una coltre di palle di neve sopra le loro teste sembrò far ombra alle trincee; salirono per metri, sembrarono lanciate con così tanta cura da non colpirsi una con l'altra e quando riscesero sull'esercito nemico sembrarono tanto forti da sembrar cannoni. Le urla doloranti dei combattenti colpiti seguivano i loro corpi caduti nella neve, il resto di loro continuava a correre verso di loro lasciando indietro i caduti. Jimin si rese conto di non essere utile: si inginocchiò a terra e cominciò a creare palle di neve più veloce che poteva, sebbene le sue mani tremassero dall'eccitazione e dalla paura.

I minuti successivi furono veloci e stremanti: Jimin e gli elfi lanciavano palle di neve, quelli che sembravano piccoli yeti - ora che erano abbastanza vicini e le loro armi coprivano il sole li aveva potuti finalmente vedere - cercavano di raggiungerli. L'esercito di Babbo Natale - che ovviamente non era presente, così come nessun'altro se non Jimin e gli elfi - sembrava avere la meglio in quel combattimento; i corpi dei caduti si ammassavano uno sull'altro, crescendo in altezza tanto da essere difficile per il nemico scalarli, rallentandoli e, questo, rendeva i loro colpi più efficaci. Sembrava ormai esserci una linea di corpi inattraversabile, oltre a quella vi era solo la morte. Jimin si chiese quanti altri c'è n'erano, ora che non era più possibile vederli, dietro quel muro di caduti.

«Aspetta...» sussurrò tra sé e sé, illuminato dalle sue stesse domande. «E se...»

Jimin rimase immobile, con il braccio a mezz'aria e un lancio interrotto, completamente sopraffatto dalla sua idea, sperando con tutto sé stesso che fosse sbagliata. Rimase basso, ma cominciò a camminare da una trincea all'altra, finché non raggiunse quell'elfo che aveva dato il via libera all'inizio della guerra con le sue urla, quello che sembrava il capo squadra: «Signore!» lo chiamò, sentendosi stranito dal dare quel nome a una creatura che sembrava avere dieci anni meno di lui.

«Dimmi soldato!» rispose di fretta, mentre continuava a combattere.

«Se fosse una trappola?»

L'elfo smise di lanciare palle di neve, si girò con fronte crucciata verso Jimin: «Spiegati meglio!»

«Continuano a cadere nello stesso punto, i corpi si stanno ammassando tanto da non permetterci di vedere nulla dietro di loro.» gli fece notare indicando la lunga linea di trincea di yeti caduti «E se dietro il muro si stessero organizzando per farci un attacco a sorpresa?»

Il volto dell'elfo da sicuro si trasformò in un solo istante; sembrò bloccarsi come congelato per una manciata di secondi, poi urlò nuovamente: «Tutti fermi! Nessuno lanci più una sola palla di neve». Tornò il silenzio, gli sguardi dei combattenti vennero portati al muro di corpi, non una sola arma venne lanciata, il sole tornò a far brillare l'orizzonte. Gli yeti salivano i corpi, ma nel vedere che non venivano più attaccati, semplicemente, tornavano indietro, senza provare ad attaccare.

Jimin aveva ragione, ma nessuno poteva sapere cosa stava architettando il nemico. Nessuno aveva idea di cosa sarebbe successo, finché dei fischi nel cielo non fece alzare gli sguardi di tutti: una pioggia di stalattiti di ghiaccio, appuntite e brillanti, vennero lanciate insieme verso di loro.

«Giù! State giù!» urlò preso dal panico il capo elfo della milizia. Ogni combattente provò a coprirsi come meglio poteva dietro le trincee ma i colpi parabolici ben studiati facevano piovere pericolose punte di ghiaccio dall'alto e quanto arrivarono a loro le urla disperate riempirono l'aria. Gli elfi venivano colpiti senza potersi difendere, senza scudi o armature che potessero proteggerli, ritrovandosi a terra con schegge di ghiaccio negli occhi e stalattiti affilate come coltelli nella carne. «Ritirata!» fu l'urlo che decretò la loro fine. Gli elfi e Jimin si staccarono dalle trincee e uscirono dai loro fossi, cominciarono a correre verso la porta d'ingresso, ma erano ancora più scoperti. Si ritrovarono a correre sui corpi degli alleati, a scontrarsi uno contro l'altro, a desiderare di avere qualcuno dietro di loro a fargli da scudo, egoisticamente.

Jimin correva spaventato, respirando a fatica, stremato dalla battaglia, con le braccia e le gambe indolenzite, mentre i fischi delle punte di ghiaccio che volavano in picchiata su di loro riempirono l'aria. I suoi occhi erano puntati verso la porta d'ingresso chiusa ma ad una ventina di metri da essa, mentre correva dritto con tutta la forza che aveva, questa si aprì dall'interno: la figura di Yoongi apparve; Jimin fece appena in tempo a gioirsene, riuscì ad urlare il suo nome e a farsi vedere, poi una punta di ghiaccio lo colpì, centrando la sua schiena.

Giusto il tempo di un fiocco di neve - {Yoonmin}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora