Alice non era un topo di biblioteca a differenza di Ben che passava la maggior parte del tempo in quel posto, ma quando le capitava di andarci, la bibliotecaria non perdeva occasione di mormorarle quanto dolce ed estremamente educato fosse il piccolo Hanscom ed Alice su questo si era sempre mostrata d'accordo.

«Mi creda signorina Taylor, se quel piccolino pesasse qualcosa di meno e curasse il proprio aspetto, lo guarderebbero in tante!» squittì l'anziana bibliotecaria. Alice sorrise.

«Io trovo che Ben sia piacevole anche così» rispose pacatamente, intenta a firmare sul registro il riporto del titolo di un libro che aveva preso alcune settimane prima.

Erano le prime giornate di giugno e l'anno scolastico stava per volgere al termine, le pagelle erano pronte per essere compilate. La signora Douglas qualche giorno prima aveva fatto un discorso all'intera classe, annunciando chi rischiava debiti e bocciature e, con sua grande sorpresa, Henry Bowers sembrava proiettato verso la promozione ad eccezione della condotta, ma con quella c'era ben poco da fare. Alice non era andata a scuola quel giorno, lo seppe il giorno dopo e quando la signora Douglas la vide entrare in classe, notò che il labbro inferiore presentava un leggero rigonfiamento ed una piccola ferita rossa il cui sangue si era seccato, mentre sul ginocchio destro compariva un ematoma. Indossava degli shorts lunghi fin sopra al ginocchio ed una t-shirt, quindi erano chiaramente ben visibili. La signora Douglas apparve subito preoccupata ed istintivamente girò lo sguardo verso Bowers e Hockstetter, il primo cercava di mantenere un aspetto impassibile, l'altro non alzò nemmeno il capo e continuò a giocherellare pigramente con il righello. 

«Signora Douglas, loro due non c'entrano nulla...» bisbigliò Alice «sono caduta dai pattini». 

Credibile, ma la signora Douglas non sapeva se fidarsi delle sue parole o meno. Durante una delle riunioni tra insegnanti, per confrontarsi sugli alunni e sull'andamento della classe in generale, la Douglas confidò ai suoi colleghi che tra gli alunni Taylor e Bowers si era instaurato un rapporto alquanto discreto, fortunatamente. Alice andò a sedersi, non guardò Henry e non disse niente né a lui né a Patrick, seguì le lezioni in silenzio. Nemmeno durante l'intervallo si girò verso di loro, l'atteggiamento era ricambiato anche da parte dei due.

Quattro giorni prima Alice era tornata a casa intorno alle undici e mezza della notte, il suo coprifuoco serale solitamente girava dalle sette alle dieci e mezza, ma quella volta si trattenne fuori più del solito.

Derry, giugno 1989

Erano le cinque e un quarto del pomeriggio quando presi i mio zainetto e i pattini per uscire. Dentro di me c'è una strana angoscia ultimamente, così ho deciso di fare quello che preferisco quando ho questi momenti: mettere le ali sotto ai piedi e correre. Pattinai per un bel po', percorsi quasi tutta Derry a volte ripetendo gli stessi giri, ma quel pomeriggio fui particolarmente ispirata a restare fuori più a lungo. Era bello vedere i ragazzi e i bambini giocare, ridere insieme, rincorrersi. Era bello, ma poi... mi fermai davanti ad una cabina telefonica dove tra i tanti volantini lì affissi, vidi uno bianco che attirò la mia attenzione: recitava la scomparsa di un bambino, Edward Corcoran di tredici anni, poi ne vidi un altro accanto, era Betty Ripsom. Vedere la sua foto su quel volantino mi fece ritornare quella sgradevole sensazione che da giorni mi angosciava. In questa città quando qualcuno sparisce nessuno se ne preoccupa, nessuno indaga davvero. Fino ad ora non ci avevo dato troppo peso neanche io, soprattutto per il piccolo Corcoran, la sua situazione a scuola era nota, si sapeva che il patrigno gliele suonava di santa ragione a lui e il fratellino. Sgranai gli occhi, mi strinsi nelle braccia e quasi persi l'equilibrio sulle ruote: queste scomparse senza indagini cominciano seriamente a preoccuparmi. Ogni tanto riportano di aver trovato corpi smembrati e orribilmente mutilati. Mi si gela il sangue. Perché nessuno fa niente?

E mentre scriveva, la sua penna si bloccò insieme a tutto il suo corpo, che ora tremava e sudava freddo. All'improvviso le venne in mente un episodio vissuto qualche giorno prima: era mattina, la stessa mattina che non si presentò a scuola.

«Ciao, mia piccola amica. Lascia che mi presenti, sono Pennywise il clown danzante. Cosa c'è? Questa recita la trovi piuttosto raccapricciante? Oh, sapessi cosa c'è, c'è che ti vedo piuttosto tremante.» rise quel maledetto clown, mostrando le lunghe zanne gialle e insanguinate, quel sorriso viscido e disgustoso. 

«Potrei sembrarti un essere borioso, in realtà sono soltanto curioso: lasciati conoscere piccola amica, povera bimba indifesa» il clown sempre più le si avvicinò, passo dopo passo, lento, danzando, meccanicamente muoveva ogni arto. 

«Tentate tutti di scappare, nessuno ha il coraggio di guardare le proprie paure. Ma come? Non ve lo hanno ancora insegnato? Ascolta Pennywise e più non sbaglierai, ah!» balzò avanti lanciandosi dall'alto della cimasa che sporgeva sul cornicione del tetto di una cripta, cadendo in piedi e dritto, proprio davanti a lei. 

Le prese una mano così come si fa quando si invita qualcuno a ballare, raccogliendo anche l'altra. Erano l'uno di fronte all'altra, il clown più alto, pendeva col busto in avanti.

«C'era una volta, una bambina tanto carina, amata dalla sua cara mammina. Un giorno però, un brutto male via gliela portò, e la bambina felice più non si mostrò...» seguitò un'orribile risata, profonda e talmente sgraziata da far pensare che oltre mille voci formassero una corale di demoni nella sua gola. 

Alice era atterrita, quello che vedeva la disgustava, quegli occhi gialli non smettevano di fissare i suoi ed un terrificante ampio ghigno si era inciso sul volto bianco del clown. Prima che le mani di questo potessero saldare la presa sulle sue, si tirò indietro sottraendosi a lui e distanziandosi di qualche metro. Quello rimaneva fermo dov'era a sorriderle perfidamente.

«Tanto se volessi potrei arrivare da te con un salto!» le aveva detto. 

Alice non aveva la forza di replicare, voleva scappare, voleva correre via: emozioni a cui non riusciva a dare una spiegazione la stavano destabilizzando. 

«Dai, scappa. Avanti su. Corri via. Uno...due...» della saliva cominciò a colare dalla bocca tinta di rosso, Alice non ci pensò due volte, si sarebbe messa a correre, ma sul punto di girarsi e scattare vide il clown arrivare verso di lei pronto ad azzannarla. L

a prima reazione fu quella di spostarsi velocemente, molto velocemente e fortunatamente ci riuscì. It indugiò qualche secondo, prima di girare il capo verso di lei: Alice aveva il fiato mozzato, il suo corpo era rigido come un inscalfibile lastra di vetro, ma dentro di lei c'era soltanto la volontà di andare via da lì. Riprese a correre più veloce che poteva, si maledisse perché quel giorno non aveva con sé i suoi pattini, erano rare le volte in cui li lasciava. 

Maledizione! Come vorrei averli ai piedi ora! pensava mentre correva, scavalcando gradini e piccole aiuole contenute in recinsioni di pietra lungo la stradina del cimitero. 

La risata del clown avanzava, era dietro di lei ed anche se il suo passo era piuttosto lento, lei lo sentiva sempre più vicino. 

«Un clown nel cimitero, non si può morire in questo modo!» urlò a sé stessa per darsi coraggio. 

«Tu credi?! Io la penso diversamente!» ed eccolo comparire di nuovo davanti a lei, quasi ci andò a sbattere contro di faccia, ma questi ghermì il suo braccio destro e la scaraventò lontano di alcuni metri, facendola atterrare bruscamente al suolo di schiena. 

Quando Alice riaprì gli occhi, il clown era proprio lì, in piedi accanto a lei: dal suo guanto lacerato fuoriuscivano degli artigli che indirizzò rapidamente verso di lei, intento a sfigurarle il viso, ma ciò non avvenne. Alice teneva gli occhi chiusi per non guardare cosa le sarebbe accaduto in quella frazione di secondo, parandosi il volto con ambedue gli avambracci posti in avanti. Non sentì nulla. Pian piano riaprì gli occhi, guardando davanti a lei, poi sopra, poi ad ambo i lati. Il clown non c'era più, sembrava essere sparito, all'improvviso così come era apparso. Sospettò che potesse nascondersi ancora da quelle parti. Non aspettò un secondo di più, si rimise in piedi e prese a correre, ma con fatica: quella botta presa quando It la scaraventò a terra fu terribile, le avrebbe lasciato un livido grosso e ben visibile per diversi giorni. Qualcosa le bruciava all'altezza del ginocchio ed avvertiva anche un leggero rigonfiamento al labbro inferiore. Certo che quel clown l'aveva conciata per le feste soltanto buttandola a terra con tutta la forza che possedeva in una sola mano. 


"Like lambs to a slaughter..." | IT - 2 0 1 7Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora