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Il secondo attacco di It insegnò ad Alice che la propria vita non è qualcosa con cui giocare, che la vita non è da prendere alla leggera a prescindere dal 'se' si voglia continuare a vivere o meno. Non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua, l'ultima volta che questo antico sentimento le aveva tenuto compagnia fu quando scoprirono della malattia di sua madre e che al tempo non era nemmeno ad uno stadio del tutto avanzato, ma progredì alcuni mesi dopo. 

La donna non visse per più di sei mesi e in quei sei mesi cercò di trascorrere quanto più tempo possibile con i figli. Nell'ultimo mese però le sue condizioni erano peggiorate terribilmente, le metastasi avevano cominciato a consumarla, la signora Taylor si lamentava spesso di quel dolore lancinante che provava, curandosi di non farlo davanti ai figli e ad Alice specialmente, non voleva che sua figlia dodicenne sapesse già quanto è brutto morire in quel modo. Non voleva imprimere nella sua fragile mente l'immagine di una mamma sofferente e al limite delle forze. Alice stava dietro la porta della sua stanza e quando l'orario delle visite terminava, dovevano scollarla a forza dal letto di sua madre, che implicava la figlia di ubbidire. 

"Ci rivedremo domani, Alice " - diceva con voce debole ed il respiro spezzato ed affaticato. 

Veronica Taylor non era più capace nemmeno di bere un piccolo sorso d'acqua, dovevano idratarla con le flebo ed altri tubicini erano collegati ad aghi che si andavano ad infilare sotto la pelle giallastra e cadente, se di pelle ce n'era. Vincent aveva parlato delle condizioni di sua madre con Caleb, ed entrambi erano d'accordo su quanto somigliasse ad un disgraziato del Terzo mondo. Anni dopo, il giornalista Kevin Carter avrebbe ritratto una bambina completamente pelle e ossa rannicchiata e poco più distante da lei, dietro, un avvoltoio pronto a mangiarne i resti quando questa sarebbe morta. Secondo Vincent il ritratto di sua madre era uguale ad una figura del genere. Questa sua osservazione fece storcere il naso ad Alice e non poco, dato che chi in certi contesti moriva di inedia, non era lontanamente paragonabile a chi veniva ucciso da una malattia incurabile. Era sul punto di incazzarsi, così abbandonò la conversazione con i due ed andò a tirare due passi per i corridoi dell'Estern Maine Medical Center.

Due anni dopo, nell'estate dell'ottantanove, era di nuovo lì. Ferma, sull'uscio della stanza numero ventidue. Era vuota la stanza, quell'anno non ci furono molti pazienti ricoverati nel reparto a lunga degenza. Una lacrima scese lungo la guancia, tornare lì era sempre un po' doloroso. I momenti felici sono quelli che si ricordano di meno, durano di meno e non tornano subito. Mentre quelli più dolorosi sono sempre dietro l'angolo, pronti ad afferrare il cuore e a stringerlo, ghermendolo e lacerandolo, fino a farlo esplodere per quanto forte può essere la morsa. 

La sua attenzione venne richiamata dal tocco gelido di una mano la cui pelle era morbida e fredda, chiara e priva di venature. Quando alzò lo sguardo vide una figura longilinea, gli occhi erano vitrei e privi di pupille, i capelli corti e leggermente più chiari dei suoi. Aveva una veste fine e bianca indosso, i piedi scalzi. A ben vederla sembrava una scultura contemporanea, talmente era bianca da potersi confondere con le pareti ed il pavimento dell'ospedale. Il cuore le saltò in gola, quella figura somigliava tantissimo a sua madre ed ora era lì, davanti a lei a qualche centimetro scarso di distanza e questo la spaventò. Realizzò subito che non si trattava della sua vera mamma, qualcuno si stava divertendo a giocare con le sue memorie, qualcuno che era entrato nella sua mente, qualcuno che aveva trovato il modo di accedere a quella sezione del subconscio oltrepassando le labirintiche mura di quella parte di coscienza che si occupava di proteggere i ricordi, pescando i volutamente i più spiacevoli. Alice ritrasse la mano e fece un passo indietro, senza distogliere lo sguardo dalla figura. 

È successo di nuovo! È successo ancora! No! 

Il cuore le batteva all'impazzata. Stava rivivendo lo stesso episodio successo al cimitero qualche mese prima. Il petto le si gonfiava, il respiro divenne poco a poco più affannoso, gocce di sudore imperlavano la fronte. Indietreggiava lentamente, passo dopo passo, finché non si ritrovò con le spalle e la schiena ed il corpo interamente incollato al muro; la figura la guardava, la osservava, gli occhi erano diventati neri e lucidi e dagli stessi quel nero colava lungo il viso marmoreo (il quale cominciava ad avere degli squarci simili a crepe nel muro) come pesante inchiostro. Inclinando leggermente il capo a lato, quell'esser tirò fuori parte della spina dorsale, con movimenti lenti e le orecchie di Alice potevano udire il crepitante rumore delle vertebre ancora intatte e insanguinate; l'essere assunse la posizione di un ragno: inclinò il busto con un movimento netto e secco, sbattendo il petto sul pavimento, poggiò i gomiti a terra e divaricò le gracili gambe, piegandole. La veste bianca si strappò rivelando l'intera rachide che presentava la punta molto più acuminata: al posto del coccige vi era un osso la cui forma ricordava la coda di uno scorpione. La bocca di Alice tremava, la gola era secca, se avesse voluto urlare non avrebbe potuto. Gli occhi erano atterriti come mai prima, quella visione era forse peggio del clown che l'attaccò al cimitero. L'essere non mutava faccia, non presentava espressione. Il viso cominciava a cadergli a pezzi. 

«UOOOOAAAAAAAAAAA!!!» 

Un grido sgraziato e stridulo uscì dall'ampia bocca completamente nera e deforme dell'essere, questi scattò come una vipera nella direzione di Alice con la chiara intenzione di attaccarla. Alice corse via da dove si trovava, gridando disperatamente. I suoi occhi erano rossi e colmi di lacrime, il suo volto aveva un'espressione spaventata. 

Le grida di pietà e di aiuto echeggiavano in tutta l'ala ospedaliera. Corse prima verso un ascensore, premendo insistentemente il pulsante ma non si accendeva, si voltò a guardare indietro, il mostro stava arrivando ed era sempre più vicino. Scattò via da lì e riprese a correre, scendendo le scale per raggiungere il piano sottostante, le scale cedettero e crollarono prima che Alice potesse continuare a scendere. Si fermò in tempo. Volse di nuovo lo sguardo dietro di lei, il mostro era sopra al soffitto e stava camminando nella sua direzione, ponendosi proprio sopra la sua testa e continuando ad urlare. Le orecchie le stridevano, quelle grida erano insopportabili, somigliavano al rumore delle unghie tirate giù per la lavagna o vetri graffiati da una lama acuminata. 

Non poteva fare altro che risalire e mettersi a correre di nuovo, ma non le fu possibile perché il gradino sotto i suoi piedi cedette, Alice però non cadde a terra, bensì in quello che era il groviglio di una ragnatela, una ragnatela fatta di fili spessi ed appiccicosi e che subito mutarono in ossa che ora la stringevano. La rachide del mostro le si stava aggrovigliando attorno al corpo come un constrictor, stringendo sempre più la morsa e se avesse aumentato l'intensità Alice avrebbe cominciato ad accorgersi che le sue ossa si stavano pian piano spezzando. 

Ciò non avvenne, lei non lo sapeva, ma in quel momento l'essere vide qualcosa, un'altra figura che gli somigliava prima che questi mutasse nell'orrido mostro che stava tentando di uccidere la ragazza. 

La sua antagonista, avanzava a piedi nudi, tendendo entrambe le mani verso il volto della giovane e poggiandovele sopra. Il mostro stava scomparendo, dissolvendosi in innumerevoli pezzi che diventarono polvere, liberando così Alice. Il suo corpo giaceva a terra privo di sensi. 

«Hey ragazzina...mi senti?» 

Delle voci rimbombavano sorde attorno a lei, alcuni infermieri erano lì per assisterla. Alice era salva, ma non al sicuro.

A Derry nessuno lo era mai. 

"Like lambs to a slaughter..." | IT - 2 0 1 7Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora