Esiste un punto nelle relazioni che solitamente sfocia in due scenari opposti: crescita, fine. Questo punto arriva, spesso, con la fine della viziata bolla dell'innamoramento. Significa che finisce l'amore? No. Significa uscire da quel castello drogato da endorfine, storpiato dalla chimica, daltonico in obiettività. Un periodo sconvolgente e sublime, ma drogato. Quando l'amore poi non è sufficiente a mantenere i due drogati, che non accettano di vivere al di fuori di tale carico di alterazione, si parla appunto di drogati, non di innamorati. E la relazione finisce in un modo o nell'altro, che sia uno o che siano entrambi. Quando il sentimento è forte e si autoalimenta nel tempo con adattamento, compromesso, e crescita, si parla di innamorati autentici. Usciti dalla bolla, scoprono la stupenda poesia dell'amore vero, senza filtri.
Claudio e Mario sono due autentici di razza pura.
Due mustang selvaggi che corrono nella radura uno di fianco all'altro.
Forti e deboli allo stesso modo e in modo completamente diverso, quando uno è roccia l'altro è acqua, quando uno è acqua l'altro è roccia.
E poi aria insieme.
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"Dai Mario, suona".
Mario è immobile davanti a quel campanello da almeno dieci minuti.
"Ormai abbiamo fissato, non ti vorrai mica tirare indietro?"
Mario continua a fissare quel cognome come se fosse perso in qualche altro universo, sembra che stia discutendo dentro se stesso, Claudio ne è abbastanza sicuro.
"Mario?"
Le mani di Mario si stringono in pugni. Claudio è appoggiato con la spalla al muro e le mani in tasca che guarda suo marito in preda al panico più totale. Lo osserva paziente da ormai una ventina di minuti.
"Guerriero?"
Lo sguardo di Mario va velocemente su di lui per poi tornare sul campanello. Claudio sospira staccandosi dal muro.
"Va bene, ho capito. Andiamocene".
Si avvia verso la macchina e Mario non lo ferma, rimane lì impalato.
Claudio non lo vuole forzare ma non vuole nemmeno che torni a casa frustrato, nell'indecisione apre la macchina e si siede dalla parte del guidatore richiudendo la portiera. Decide di starsene lì e osservarlo, lo conosce troppo bene, sa che deve fare tutto da solo in momenti come questo.
Mentre gli osserva la schiena, da dentro la macchina, pensa a quanto abbiano lavorato insieme sui loro lati nascosti nel profondo. Gli viene quasi la nausea dal legame che sente con quell'individuo.Perso nei suoi pensieri viene risvegliato da quello che gli sembra essere lo scatto del cancelletto che si apre. Cazzo ha suonato davvero. Si precipita fuori dalla macchina impanicato di non essere di fianco a lui, chiude la macchina cliccando il bottone mentre corre fino a ritrovarsi ad un soffio da Mario. Può recepire la tensione dei suoi nervi come vibrazioni che scuotono anche lui.
Sono fermi lì, uno dopo l'altro, di fronte a quella porta.
L'attesa finisce. La porta si apre. Una donna bellissima dall'aria stanca e vissuta, con addosso una vestaglia di seta turchese a fantasia floreale, e in mano la sigaretta, li fissa con aria indecifrabile.
O forse sta solo guardando dentro suo figlio.
"Rosy"
La voce di Mario è di un tono raro, riservato a quei giorni.
"Figlio"
Si guardano per riconoscersi, Claudio può giurare che ci sia uno specchio tra i due. Rosy fa per voltarsi e finire così gli ossequi familiari ma viene fermata da un colpetto di tosse di Mario. Torna a voltarsi per vedere la mano di Mario che afferra quella di Claudio appena dietro di lui, sa perfettamente dove trovarla, e tirarlo più in avanti per sottolineare la sua presenza.
Vuole che ne venga preso atto.
Rosy squadra i due, fa un tiro di sigaretta, e accenna appena un saluto con la testa, voltandosi ancora. Ma questa volta viene fermata da un
"Mamma".
Che le ferma l'anima. Deve, per forza, voltarsi ancora. Suo figlio è immobile ancora sull'uscio con le sue dita fuse in quelle dell'altro uomo. La guarda tra la supplica e la condanna. E Rosy cede
"Ciao Claudio, entrate".
Mario varca la soglia portandosi dietro Claudio che imbarazzato ma tutto di un pezzo come solo lui sa affrontare queste situazioni, bello dritto, professionale, prestante, ricambia con
"Buonasera Rosy, la trovo bene".
Rosy arrossisce appena. Mario sa che, anche se lei non lo ammetterebbe mai, ha un vero debole per Claudio, lo vede nei suoi occhi. D'altronde è madre sua.
"Volete qualcosa da bere?"
Sempre nella stessa formazione la seguono in cucina.
"No Rosy, stiamo poco".
Mario non regala niente a nessuno, Claudio se lo ricorda ormai solo in queste situazioni talmente è abituato a riceve, invece, ogni cellula che gli appartiene. Prova a smussare un po' gli spigoli.
"Io gradirei un bicchier d'acqua se possibile". Sorride.
Rosy arrossisce ancora e si appresta a preparagli il bicchiere. Il ticchettio dell'orologio scandisce i secondi. Lo sguardo di Mario è lo stesso che aveva di fronte al campanello. E Claudio vorrebbe morire sapendolo così.
Rosy gli porge il bicchiere, fa per prenderlo ma si accorge che la sua mano è ancora incatenata a quella di suo marito. La muove appena per sollecitare Mario ma non vede alcuna intenzione a lasciarla, quindi prende il bicchiere con la sinistra. Preferisce lasciargliela per sempre. Non fa in tempo a ingoiare il primo sorso che l'aria in cucina diventa tutta ad un tratto, se possibile, ancora più pesante.
Bluastra.
La porta che dà sul giardinetto si apre e una presenza imponente entra da essa richiudendosela alle spalle. Mario lascia immediatamente la mano di Claudio, e si raddrizza come se davanti a lui fosse appena apparso una figura illustre e autorevole.
"Ciao... Papà".
Claudio rimane calmo, nota la differenza tra il saluto che riserva alla madre e quello che riserva al padre. Uno da lupo ferito, l'altro da cucciolo impaurito.
Armando, a malapena lo guarda. Prende la cassetta degli attrezzi sotto al lavello.
"Che sei venuto a fare qui?"
Claudio si rimette le mani in tasca, l'unico suo lavoro è non staccare gli occhi di dosso a Mario il quale rimpicciolisce a vista d'occhio.
"Io... Noi... Papà sono venuto ad invitarvi ad una cosa".
Armando non distoglie lo sguardo dai suoi ferri che tira su uno ad uno per strofinarli con un panno sporco.
Rosy sta in disparte, in quel silenzio in cui è rinchiusa da anni. Ogni tanto guarda Claudio imbarazzata ma lui non se ne accorge, non smuove lo sguardo dalla cosa più importante al mondo.
"Che fesseria è questa".
Il panico invade il volto di Mario, il corpo di Claudio si muove spontaneamente verso di lui ma, quello di Mario, al contrario, si allontana. Claudio si ferma, fa tutto quello che vuole.
"No papà, vedrai... Vi piacerà... Io, beh sì insomma, mi danno un premio importante... Vengono giornalisti da tutto il mondo..."
Solo in questo momento Claudio si concede una brevissima pausa per guardare lo sguardo di Rosy. Quello che coglie, ne è sicuro, si chiama orgoglio. Ma poi Armando risponde
"E perché dovrebbe interessarmi?"
E quell'orgoglio viene spento come una tenue candela, tornando al vuoto.
Claudio torna immediatamente su Mario, preoccupato, e può vedere i segni ardenti di un bambino bruciato dalla vita.E Claudio rispetta tutto, tutto, ma non che si ferisca un bambino innocente. Non che si ferisca il suo essere umano.
È l'alce che ha tatuato tra cuore e stomaco. Elegante, fermo, dal petto grande.
"Buonasera Armando, in realtà è stata una mia idea".
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Come balinesi nei giorni di festa
FanfictionSequel di Come zingari nel deserto. COPYRIGHT TUTTI I DIRITTI RISERVATI