7 - Dolori

22 5 0
                                    

Distrutta. Dolori dappertutto. Sembrava che fosse stata investita da un camion.
Ma soddisfatta.
Si può essere distrutti e soddisfatti contemporaneamente? Due ore di allenamento intenso dopo oltre un mese di inattività, era scontato che si sentisse così.
Senza alcun dubbio avrebbe preso la metropolitana per tornare a casa.
L'accoglienza era stata quasi commovente, sia da parte delle ragazze che da parte di Patty Crawford, la sua insegnante.
L'aveva abbracciata e l'aveva accolta nella sua microscopica stanzetta accanto alla sala. In quel piccolo ambiente trovava spazio l'archivio amministrativo della squadra, con tutti i faldoni riposti in perfetto ordine cronologico in un mobile basso e lungo, la scrivania attorno alla quale erano sedute, e una serie nutrita di coppe e medaglie, praticamente tutti i premi vinti dalla squadra negli ultimi 10 anni nelle varie discipline, accatastate su una serie di vetrinette. Sulle pareti, come al solito i manifesti di Simone Biles, Alexandra Raisman, Morgan Hurd e la foto della squadra olimpica di Rio de Janeiro 2016 al completo. In un angolo, la bandiera americana.
La donna, di corporatura minuta, era ancora un fascio di muscoli; era ancora abbastanza giovane e si teneva in perfetta forma fisica anche se aveva abbandonato la pratica della ginnastica artistica da quasi quindici anni. Da allora si era dedicata all'insegnamento, prima in una palestra di Cold Spring, cittadina in cui era nata e cresciuta, e poi a New York. A New York era arrivata per amore, seguendo il marito che aveva trovato impiego in uno studio di consulenza tributaria nella grande mela.
"Sono contenta di rivederti qui, sono sicura che la scelta migliore per te sia riprendere la tua vita di sempre ed impegnarti in quello che ti piace. La vita è come un esercizio alla trave, non credi? Puoi cadere, anche più di una volta, ma l'esercizio va portato a termine. Non è che te ne puoi andare. E sono sicura che tu hai l'intelligenza per capire cosa devi fare, e la testardaggine per sapere come. Bentornata. Se però non te la senti, non ti senti sicura o motivata, dimmelo subito. Sai quanto può essere pericoloso non mettere il cento per cento in quello che si fa qua dentro. Lo dico per te, per evitare che ti possa fare male."
"Non ci sono problemi, Signora Crawford. Ci ho messo un po' ma voglio assolutamente completare quest'anno. Se riesco, vorrei anche partecipare alle gare di fine anno. So che posso recuperare le lezioni perse."
La Crawford si era dichiarata disponibile a seguirla con una maggiore attenzione nei primi giorni; era sicuramente contenta della determinazione riscontrata nelle parole di Megan.L'aveva congedata con un sorriso invitandola ad infilare il body e a legarsi i capelli.
Era stata dura; si sentiva rigida e scoordinata, ogni movimento richiedeva una maggiore concentrazione, non le veniva naturale. Dopo qualche minuto però si era totalmente immersa nell'attività, tutto il resto era scivolato fuori della sua testa. Non più pensieri, dubbi, tristezza. Il potere della sua passione verso la ginnastica era questo: in qualunque condizione psicologica si era trovata anche in passato, indossato il body e scesa sul tappeto magicamente passava tutto e ritrovava la calma interiore.
Alla fine era stremata ma soddisfatta.
Era seduta nello spogliatoio della palestra e le amiche la circondavano e le parlavano. Un po' per la stanchezza e un po' per i dolori riusciva a capire la metà delle cose che dicevano. Pensò di avere in faccia una espressione assolutamente idiota e sofferente. Si piegò per slacciare la fascia elastica con la quale aveva avvolto la caviglia destra, e sobbalzò. Una fitta di dolore era partita  dalla spalla ed era scesa a tutta velocità attraverso coscia e polpaccio, fino a scaricarsi sulle punte delle dita del piede, doloranti anch'esse. Terminò di srotolare la fascia e con molta prudenza riportò il corpo in posizione eretta.
"Ce la fai?" le chiese Maggie Lawson, una ragazza slavata eternamente pallida, più piccola di un anno, che si era aggregata alla loro squadra solo pochi mesi prima."Ce la faccio, forse " rispose con una smorfia. "Pensavo che la Crawford avesse più compassione per me". Si guardò le mani arrossate, e non aggiunse altro. Lizeth Wright, dall'altra parte della seduta, le tirò in faccia un asciugamano sudato e puzzolente. " Grazie Lizzy... ne sentivo proprio la mancanza. Vuoi che te lo lavo anche, e te lo riporto pulito e profumato?" scherzò, abbozzando un sorriso.
"Te lo meriti, mi hai obbligata a fare gli esercizi per un mese con Maggie!" "E ti lamenti? Lei pesa la metà di me, dovresti ringraziarmi invece di lamentarti, ti ho fatto un favore e prima o poi ti chiederò qualcosa in cambio".
"Tipo? Cosa può interessarti?" Megan le fece la linguaccia. "Tipo non lo so ancora... ma qualcosa mi verrà in mente!"
"Il numero di telefono di Chris, magari?" la stuzzicò Lizzy. Christopher, Chris per gli amici, faceva parte dei ginnasti della palestra ed era indubitabilmente un gran bel ragazzo. Lizzy aveva una cotta per lui e non perdeva occasione per nominarlo. Non era il suo tipo ma il fisico ce lo aveva. Purtroppo ne era così consapevole da risultarle irrimediabilmente antipatico. "Lo sai che non è il mio tipo. Non gli sbavo dietro, io... e poi con uno così di cosa ci parli?" "Non ci devi mica parlare per forza!" intervenì Amelia scoppiando a ridere. Tutte le ragazze presenti si unirono in una risata sguaiata. "Vergognatevi, tutte dalla prima all'ultima" disse Megan ridendo anche lei.
Si appoggiò alla parete e con calma iniziò a rivestirsi. Il clima tra di loro era rilassato, per lo più si conoscevano da molto tempo, fin da quando erano ragazzine, solo Maggie era arrivata da poco prendendo il posto di una di loro,  Dulce, che all'ennesimo problema al ginocchio aveva deciso di dire basta.
"Avete notizie di Dulce?" chiese. Al funerale non l'aveva vista.
"E" passata qualche settimana fa, aveva saputo di te e voleva avere qualche notizia, come stavi. Aveva ancora le stampelle, non poteva appoggiare il ginocchio".
"È stata gentile a passare, nelle sue condizioni. Avrebbe potuto semplicemente scrivere sul gruppo." "Ha detto che le manchiamo e le faceva piacere rivederci. Temo però che non tornerà sulla sua decisione. Magari così avrà più tempo da dedicare alla recitazione".
Dulce alternava i pomeriggi in palestra con la scuola di recitazione Stella Adler, una delle più prestigiose scuole degli Stati Uniti, seconda forse solo alla New York Film Academy. Ma era già dall'anno prima che ragionava sull'idea di dedicarsi completamente alla recitazione, in cui era molto brava.
"Sono d'accordo con la sua scelta" disse Megan. " È veramente molto brava, ve la ricordate nello spettacolo di fine corso, a dicembre? Vale la pena concentrare i propri sforzi su un obiettivo, quando sei così brava. Magari ce la ritroveremo ricca e famosa a qualche serata degli Oscar nei prossimi anni!"
"Jennifer Lawrence aveva si e no diciotto anni quando recitò nel primo film, e prima già faceva televisione" disse Amelia.
"Già, e in Hunger Games quanto aveva? Venti, ventuno anni?" chiese Lizzy.
"Più o meno... e adesso invece, avete visto quanto è bella e sofisticata negli spot di Chanel!"
"E il marito? Lo avete visto?" intervenì Amelia. " Si chiama Cooke e fa il gallerista".
"Chris è molto più bello! " ancora Lizzy.
"Ma la pianti con questo Chris! È un ragazzino!
Gli fischieranno le orecchie!". Le risate riempirono nuovamente lo spogliatoio.
"Ragazze, l'idea di dover tornare domani qui in palestra mi preoccupa... non credo che questi dolori mi passeranno a breve. Lizzy, vieni con me in metro? chiese Megan. "Certamente, così se cadi in terra ti presto soccorso io... sembri provata". "Non sono provata, sono distrutta. Mi fa male tutto."
Raccolse tutte le sue cose e riempì la borsa, che per fortuna non era pesante. Il gruppo si sciolse allegramente.
Era fatta, pensò. Era andato tutto bene. Sembrava come se non fosse successo nulla. Un sapore di normalità che non provava da tempo. Sarebbe salita in casa e avrebbe trovato la mamma ad aspettarla. Immediata, una morsa di tristezza le strinse lo stomaco e si sentì nuovamente colpevole. Quanto sarebbe durata, questa sensazione, per quanto si sarebbe dovuta sentire colpevole di apprezzare una vita normale? Chissà se anche il padre aveva gli stessi problemi?
L'appartamento era buio. La mamma non c'era, il padre non era ancora rincasato. Per sentirsi meno sola accese le luci in tutte le camere e in entrambi i bagni, e fece partire una playlist con le sue canzoni preferite. Alzò il
volume a livelli quasi fastidiosi, da denuncia da parte dei vicini per rumori molesti, così da poter sentire anche dal bagno, e fece la doccia. Mentre era sotto l'acqua le venne in mente un'idea assolutamente irrazionale, quella di utilizzare il sapone per la doccia della mamma. Chiuse il getto d'acqua, si asciugò molto sommariamente per non combinare un disastro sui pavimenti e ancora mezza bagnata raggiunse in qualche modo l'altra stanza da bagno rischiando di scivolare più di una volta. Recuperato il flacone, si rimise nuovamente sotto il getto dell'acqua e aprì il tappo. Il familiare odore le riempì le narici portandole in dono una miriade di ricordi, di felicità, di nostalgia. Pensò che forse anche al padre avrebbe fatto piacere sentire di nuovo quel profumo che faceva pensare alla mamma. Decise che d'ora in poi quello sarebbe stato il suo sapone. Una volta asciugata e vestita, però, lo riportò nel bagno dei genitori avendo cura di rimetterlo nella esatta posizione in cui era prima. Si guardò nello specchio di sfuggita e fu abbastanza soddisfatta; una ragazza dall'espressione determinata la guardava senza dire una parola. Solo una cosa non andava: i capelli erano assolutamente un disastro. Avrebbe avuto bisogno di grande impegno per riportare la situazione ad un livello accettabile.

Tutto il futuro davanti Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora