Capitolo terzo

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Fin dall'infanzia non mi hanno mai spiegato cosa fosse l'amore, la virtù o l'orrore per il vizio. 

"Sarai felice se praticherai virtù morali o cristiane" mi dicevano. Si dice che il vizio attiri il disprezzo. Ma non fu nel mio caso. Ho seguito questi esempi, si fa per dire, fino ai venticinque anni. Ma alla fine il piacere la ebbe meglio. 

Sono nata a Milano. Mio padre era un buon borghese, proprietario di un negozio di stoffe e di scampoli. Gioia e galanteria erano sinonimi di felicità mediocre e falsa. Si ama ciò che si pensa. E del resto fu così. Mio padre aveva l'obbligo di sostenere me e la sua giovane amante mentre mia madre era mantenuta dal suo amante. Dopo dieci anni di azioni smaliziate restò incinta e mi diede alla luce. 

La mia nascita portò tanto di quel scompiglio a quel ménage che nemmeno io seppi dare un giudizio. Per mia madre quello significava morte allo stato puro e fine dei lunghi piaceri. Strano ma vero mia madre passò da uno stato di puro liberalismo a uno stato di devozione mistica. Voleva solo avere l'amicizia del padre cappuccino D. e si liberò del Marchese di Z. senza troppi complimenti. E così il fondo di tenerezza di mia madre non fece cambiare il suo oggetto preferito ma lo donò a Dio più per necessità che per piacere o temperamento. 

Mio padre morì quando ero in culla. E mia madre di giorno in giorno diventava sempre più saggia e devota. E per me quello sarebbe stato il mio inferno personale. Come poteva considerarsi devota e casta se prima della mia nascita il Piacere era il suo pensiero fisso? Mi avrebbe visto forse come rivale? O sarei stata la sua "servetta" per darle soddisfazione della sua becera bellezza? 

Non ci potevo credere di quello che avrebbe fatto su di me. Tutto per colpa di frate cappuccino pieno di lussuria. Ma quello sarebbe stato l'inizio della mia vita complicata che tanto piaceva a Dio. 

Jacopla Filosofa - Storia di un erotismoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora