dreamlike scenarios

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31.01.2020
07.03.2020
fai rumore - diodato

Guardo Andrea ed è bello da morire

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Guardo Andrea ed è bello da morire. Lo osservo più che posso, per imprimere quei piccoli particolari del suo viso nella mia mente. Mi riporta a quello che mi sembra essere successo un secolo fa. I suoi occhi sono le verdi e torbide acque di un rigagnolo, il suo naso costellato di minuscole lentiggini è la lunga autostrada per il mio inferno personale, le sue labbra la sottile divisione fra passione e dolore - la mia vita o la mia morte. Lo guardo di nuovo, finché lui non si accorge del mio sguardo. Annego, i cavalloni della corrente mi trascinano via. Acqua gelata e salmastra mi entra dal naso nei polmoni, e io sto annegando. Il respiro mi si blocca in gola, proprio nel mezzo della trachea. Allungo la mano e gli afferro il braccio, come per cercare di ancorarmi a qualcosa per non affondare ancora di più: il contatto con la sua pelle calda mi dà la sicurezza che necessito fin troppo spesso. È proprio strano averlo di fronte a me, proprio strano - mi sembra così lontano, come se si trovasse oltre l'oceano atlantico, come se fosse in un'altra epoca, bloccato a trent'anni fa, o perso nei meandri dei suoi pensieri. Ma in verità credo di essere io quella distante, bloccata in un limbo eterno tra la realtà e la finzione, rediviva. Sono reale, sono viva; devo ripetermelo almeno dieci volte al secondo, così forse ci crederò. Mi sento persa, fluttuo nel vuoto, senza peso né contorni, svanisco sbiadendomi lentamente. Lui sarà in grado di riportarmi sulla terra?

"... Noemi".

La sua voce mi arriva ovattata, attutita dal rumore stridente dei miei pensieri. Brividi di freddo e paura si rincorrono giù per la mia schiena.

"Eh?"

Ripete il mio nome, e pronunciate da lui anche quelle cinque lettere mi sembrano poesia. Mi chiede se sto bene, ché gli sembro assente. La prima cosa che mi viene in mente è la verità, e cioè che no, non sto bene, come posso se mi sento completamente sottosopra? Ma poi ci ripenso, gli dico che sto bene proprio così, sto bene per davvero, sto bene, non ti devi preoccupare. Stavolta è lui a guardarmi fisso, con quella preoccupazione negli occhi, e allora lì, in poche frazioni di secondo, mi investe la sensazione di dover dire qualcosa: è come se il mondo intero mi stesse lasciando il mio tempo e il mio spazio per parlare senza paure o ripensamenti, come se si aspettasse da me una risposta concreta. Ma le parole faticano a uscirmi di bocca, s'attaccano al palato, s'incastrano fra i denti, rimangono lì, incapaci di venir fuori.

"Sì, è tutto okaay, è solo che..."

Inizia a girarmi la testa e le luci, che prima era d'un pallore soffuso, sembrano adesso accecarmi, disegnando macchie verdi e gialle nel mio campo visivo. Ora che ho iniziato a parlare non posso più rimangiarmi niente... mi guarda ancora, e sul suo volto si dipinge quell'espressione che significa dai, avanti, parla, ti sto aspettando. Ti ascolto. Di nuovo, mi sento persa, colpita in pieno petto dalla marea nei suoi occhi.

"No, non sto bene. Mi sento costantemente a disagio, come se non fossi adatta a stare in nessun luogo. Non riesco a stare da sola perché vengo assalita dai miei demoni e dai miei problemi, ma non mi piace stare in mezzo alla gente perché mi sento sempre estranea, fuori luogo. Mi sento così sola. Però... quando sto con te è un po' diverso. Mi sento comunque uno schifo, ma uno schifo diverso, uno schifo bello. Mi rendi in qualche migliore, non so se ha senso, ma non so più niente ormai. È che sono un disastro, rovino sempre tutto, e la mia testa è un casino, davvero, un casino, ma tu mi piaci davvero e non voglio rovinare anche questo."

Continuo a gesticolare così tanto da attirare l'attenzione di quelli che mi stanno intorno, vorrei essere inghiottita dal suolo in un instante. Cerco di trattenere le lacrime ma inizia a pizzicarmi il retro degli occhi e boccheggio in cerca d'aria. Il respiro mi si blocca in gola e sono sicura di morire. Lui sembra così in imbarazzo, teso in ogni centimetro del suo corpo. Ma prima che possa anche solo aprir bocca per capitombolare in un mare di mi dispiace, lui mi dice: "Anche tu mi piaci molto."

Queste cinque parole mi colpiscono con la forza di un uragano.

"Mi piaci e non m'importa niente se ti senti un casino totale, perché ti assicuro che non lo sei, e non rovinerai niente."

Allora agisco impulsivamente, come al solito mio: prendo il suo viso tra le mie mani e lo bacio, labbra contro labbra, cuore contro cuore - ci muoviamo nella danza irrazionale degli amanti.

Quando ci stacchiamo è come se respirassi per la prima volta, come se mi svegliassi da un dormiveglia infinito. Come se per qualche secondo non fossi stata fuori posto, ma esattamente dove dovevo essere. Per la prima volta mi rendo conto della gente che ci circonda - che è proprio tanta - della musica che indistinta mi arriva alle orecchie. È tutto blu intorno a noi, a partire dalla tovaglia elegantemente ricamata che ricopre il tavolo al quale siamo seduti, poi i piccoli nastri decorativi che ornano ogni cosa, infine anche i nostri vestiti e noi stessi siamo blu. C'è persino un'enorme pista da ballo illuminata da lampadine a led blu, che donano all'atmosfera quella strana sfumatura invernale. Intorno a noi c'è un gruppetto di ragazzi con dei bicchieri di carta in mano, riempiti fino all'orlo di chissà quale bibita al limone, qualche coppia di ragazzi che si tengono per mano e due ragazze che, nel bel mezzo della pista da ballo, danzano come se la musica ce l'avessero nel sangue.

Prendo Andrea per mano e gli chiedo se vuole ballare. "Sì" mi dice e mi sorride e mi ammazza. Lui odia ballare ed io lo so benissimo, eppure mi dice di volerlo fare solo perché sa che a me piace da matti invece. Eppure sceglie di lasciarsi trasportare da me, dal mio amore e dal mio cuore al centro della pista. Decide di amarmi per una sera, forse di più. Decidiamo di credere nell'amore ancora per un altro po'.

 Decidiamo di credere nell'amore ancora per un altro po'

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