28.09 / 21.10.2021
Aleggia un freddo che solo la zona in cui vivo conosce – una città in cui la campagna abbraccia gli edifici, il tramonto spruzza di giallo una coltre di nuvole e l'alba tinge di rosso i volti cadaverici di case tutte uguali, un gelo che penetra nelle ossa e si attorciglia intorno ai nervi in filamenti di brividi, la pelle pizzica e si paralizza. Fa un freddo che mi riporta alla mia infanzia, quando ancora cadeva la neve e i fanali della macchina fendevano il muro di nebbia pressata contro il tappeto di campi vellutati e asfalto pieno di buche e strade sterrate, quando il naso pungeva anche da dietro alla sciarpa e giocavo a sbuffare aliti di nuvole bianche. Fa un freddo incredibile anche oggi, anche se siamo appena alla fine di settembre, e io indosso un paio di scarpe bianche ai piedi. Un tipico paio di scarpe basse da ginnastica, comode per la vita che conduco tutti i giorni. Sarebbe meglio dire, però, che una volta erano bianche: appena comprate splendevano limpide ai miei piedi, intoccate dalla sporcizia del mondo, vergini del peso e del rumore dei miei passi, i lacci immacolati e lunghi annodati in un fiocchetto sul davanti. Ora sarebbe più giusto dire che le mie scarpe sono di un bianco sporco, quasi grigiastro, con pieghe che ne solcano la superficie un tempo compatta lì dove il piede le obbliga ad adattarsi alla forma flessa e arcuata dei movimenti, per assecondare i miei passi. I lacci sono di un colore più scuro, vittime della pessima abitudine che ho di mettere un piede sopra l'altro – vizio da sempre redarguito da mio padre, che insisteva sempre per non farmi comprare scarpe bianche, al fine di evitarne questo triste destino. Eppure adesso ho un paio di scarpe bianche e ne osservo la punta che sporge da sotto l'orlo dei jeans blu scuro, mentre a ritmo serrato percorrono la strada che mi porterà verso qualcosa che conosco e non conosco, sull'orlo del presente, del tempo stesso. Il marciapiede è grigio e pieno di crepe, da cui emergono ciuffetti di erbacce gialle e verdi e d'estate e primavera si arrischiano ad uscire anche gli steli sinuosi di margherite e denti di leone. sono crepe che conosco a meraviglia, come le mie tasche: non passa un giorno senza che io percorra questa strada a testa bassa, lo sguardo fisso tra la punta bianca delle mie scarpe e il cemento luccicante sotto il sole di settembre. Le mani nelle tasche della giacca o del pantalone, gli auricolari nelle orecchie, con il filo lungo che aggroviglia tra i miei vestiti, e dai quali fluisce una musica dal sapore orientale. E forse spero che mi porti via da qui. Via da una strada che fatico a percorrere, passo dopo passo, sotto ad un sole pallidissimo e scarno, mutilato da un freddo acuto, con una giornata di delusioni che grava sulle mie spalle; via da una vita lastricata di delusioni effimere che per me significano la caduta del mondo come lo conosco. Via da una stanchezza ancestrale e diabolica che mi stritola nel suo pugno. Via dal rumore dei miei passi cadenzati, che mi arriva sempre più fioco. Dentro di me combattono il desiderio di fermarsi – che risale, razionale, da un angolo in profondità del mio cervello, e si fa spazio sulla superficie, spintonando ogni cosa possa essergli d'ostacolo – e un naturale istinto di sopravvivenza – che invece mi impone di continuare ad avanzare, senza smettere, come ha sempre fatto, suggerendomi che l'affaticamento che provo, quel formicolio di dolore che si espande in tutto il mio corpo, è solo il segno che sono ancora in vita, e sarà ripagato una volta che arriverò alla mia meta. La mia meta? Che meta? Cosa c'è al di là della porta del mio futuro? E quando provo ad interrogare il mio istinto, ponendogli queste medesime domande, lui mi risponde che qualsiasi cosa sia, varrà la pena di vederlo. Mi sussurra all'orecchio che non c'è altro modo per scoprire le risposte, se non vivere abbastanza a lungo da trovarle da solo. Ha una voce viscida, che si intrufola come un verme nel mio orecchio, e mi fa rabbrividire. Però non posso fare a meno di dargli ascolto – ché forse, sebbene io abbia delle remore ad ammetterlo, ha ragione. Continuo a camminare tra le crepe dell'asfalto.
STAI LEGGENDO
𝗴𝗵𝗼𝘀𝘁𝘀
De Todostorie di persone che si nascondono, storie di persone nascoste. storie di fantasmi del mio passato e del mio presente. storie di fantasmi che aleggiano per le strade della mia mente. perché io, di fantasmi, ne ho visti tanti. © messagegxrl, 201...