Capitolo 19

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Jane's Pov
Mi trovavo a scuola, ed era deserta e grigia. Ero l'unica presente nel corridoio. Cominciai a camminare per cercare qualcuno, fino a quando non sentii delle voci conosciute provenire dal laboratorio di chimica; mi avvicinai alla porta e sentivo che stavano ridacchiando e uno di loro pronunciò il mio nome. Erano le loro voci. Le avrei riconosciute tra mille. Tirai giù la maniglia e quello che vidi mi fece agghiacciare il sangue. C'erano loro, seduti sui banchi, che ridevano, ridevano di me, insieme a Isabel.
"Hai visto quanto è grossa?!" esclamò ridendo Maudie rivolgendosi a Isabel, che intanto stava ridendo
"Ed è anche stupida. Fa troppo la vittima e si crede migliore degli altri. È solo una sfigata che merita di soffrire!" affermò Andrew
Mi sentivo di star per vomitare da quanto stavo male: non potevo crederci che i miei migliori amici mi avessero voltato le spalle con colei che mi aveva fatto più male, colei che cercava sempre di distruggermi e di umiliarmi. Non potevo crederci, e non ci volevo credere. Entrai dentro, mentre le lacrime mi rigavano il viso, e mi misi di fronte a loro, per cercare di capire il perché del loro crudele gesto, del perché mi avessero voltato le spalle proprio con Isabel.
"Vieni Jane. Stavamo proprio parlando di te." disse malignamente Isabel
"Stavamo dicendo di quanto tu fossi grassa e stupida." affermò tranquillamente Ryan dondolando le gambe mentre era seduto sul banco
"E di quanto tu sia inutile per questo mondo." aggiunse Maudie
Perché mi stavano distruggendo? Cosa gli avevo fatto per meritare il loro odio? Avrei voluto fare tantissime domande, meritavo una spiegazione al loro gesto ignobile, ma l'unica cosa che feci fu piangere, piangere interrottamente come se stessi facendo uscire tutto il dolore che avevo dentro. Non riuscivo a respirare, sentivo un forte dolore alla testa e il cuore battere a mille, mi sembrava di star per crollare da un momento all'altro.
"Perché? Perché mi fate questo?!Voi siete miei amici, non suoi! Perché mi state distruggendo?!" quasi urlai con le lacrime che mi rigavano il viso
"Perché? Perché le cose brutte devono essere distrutte." disse avvicinandosi Isabel
Tremai quando mi sfiorò con un dito il viso. Stavo quasi per svenire da quanto mi sentivo male. Non riuscivo a reggermi in piedi, mi sembrava di star precipitando nel vuoto più totale, il mio vuoto.
"Sai Jane, tu non sarai mai una di noi, non ne sei all'altezza. Noi vogliamo il meglio, e tu non lei, anzi, sei il peggio più totale. Sei solo un disastro che cammina sulla terra." disse Andrew
"Perché non sei nessuno Jane, ricordatelo.  Se vuoi fare qualcosa, fai un piacere a tutti. Muori!"esclamò alla fine Ryan
Rimasi senza parole, non riuscivo a dire niente, ero in uno stato di shock. Avrei voluto fare qualcosa, ma le parole mi morivano in gola; avrei voluto urlare, spaccare qualcosa, ma non feci niente di niente, continuai solamente a piangere. Mi avvicinai a loro e cercai delle parole, di fargli ricordare la nostra amicizia, i momenti che avevamo vissuto insieme, ma niente sembrava smuoverli dai loro pensieri, come se fossero sotto un incantesimo. Mi sentivo di star per morire per davvero in quel momento, come se le loro parole taglienti mi avessero uccisa, come se le loro parole velenose mi avessero distrutto il cuore in mille pezzi. Meritavo di morire, avevano ragione su tutto: ero solo un disastro che non meritava di vivere, che distruggeva ogni cosa che toccava. Ero solo un mostro che rovinava la vita agli altri, e forse io l'avevo rovinata anche a loro.
"Io....mi dispiace, mi dispiace per tutto il male che vi ho fatto, ma so che in fondo mi volete bene, che ancora provate dell'affetto per me." piansi ancora più forte
Scoppiarono tutti a ridere, deridendomi. Non sapevo che fare, come reagire a questa cosa. Sembrava troppo vero per essere un sogno, troppo brutto per essere un incubo. Mi sentivo in trappola, volevo scappare, ma volevo anche rimanere per capire la situazione e cercare di nuovo di fargli cambiare idea su di me.
"Vi prego, so che in fondo vi ricordate di noi." li pregai piangendo disperata
Continuarono a ridere più forte, mentre stavo cadendo a pezzi davanti a loro. Non c'è la faci più, era troppo per me, troppo umiliante per continuare a stare lì davanti, ma era anche troppo continuare a vivere una vita che non sembrava più la mia. Scelsi di scappare via, come un animale in fuga, fuori dall'aula, spaventata da loro e da me stessa. Perché sì, avevo paura di me stessa: ero spaventata da quello che potevo fare, da quello che potevo pensare e dire. Ero come una bestia pericolosa tenuta in catene, e quelle catene le avevo costruite io stessa. Ma come facevo a proteggere gli altri, se non riuscivo a proteggere neanche me stessa? Forse l'unico modo era di farla finita per davvero, interrompere il flusso sanguigno del mio corpo, di liberare la terra da me, il mostro.
"Corri Jane, corri." mi gridò alle spalle Isabel continuando a ridere
Mentre correvo mi sembrava di sentire la terra sciogliersi a ogni mio passo, mi sembrava di correre sulla lava. Continuavo a correre imperterrita, senza alcuna meta, senza alcun obiettivo. Ma forse il mio unico obiettivo era di scappare via da loro, da Isabel, da me stessa, da tutta la mia vita. Stavo scappando da tutto ciò che mi componeva, da tutto ciò che ero. E mentre correvo continuavo sempre di più a destarmi perché avevo perso anche le tracce di me stessa, che cadevano dietro di me come briciole di pane. Continuai a correre finché non caddi nel vuoto più totale; vedevo solo nero e sentivo risate e grida di persone, finché non mi ritrovai in una classe, in piedi davanti alla mia precedente classe. Davanti a me erano tutti a terra, in ginocchio e loro, insieme a Isabel, si trovavano di fronte a me. Erano tutti impauriti, alcuni piangevano e altri cercavano di capire la situazione. Mi avvicinai e tutti fecero un sussulto, e gridarono piangendo. Vidi nei loro occhi la paura più intensa mai vista: avevano le pupille dilatate, il respiro affannoso e la fronte bagnata di sudore. Non capivo il motivo della loro reazione finché non sentii un peso nella mano, guardai e vidi che avevo in mano una pistola. Alla vista mi spaventai e iniziai a tremare. Non capivo perché avessi in mano una pistola e il perché mi trovassi in quella classe, ma sapevo che c'era qualcosa di sinistro in tutto questo. Senza accorgermene puntati la pistola verso loro e rimasi lì ferma ad aspettare, ad attendere qualcosa che mi facesse compiere il gesto più estremo della mia vita che mi avrebbe rovinato per sempre.
"No no!" esclamai terrorizzata
Non volevo sparargli, non potevo, era l'uniche persone che mi conoscevano, che conoscevano la vera Jane. Non potevo ucciderli, io non ero così, io non ero come lei. Isabel sparì dalla mia vista e la ritrovai di fianco a me, come una spettatrice di questo orrore.
"Fallo! Liberati da coloro che ti hanno più ferita, che ti hanno umiliata e distrutta! Uccidili, e finalmente sarai libera." disse Isabel
"No, non posso farlo, gli voglio bene, sono come la mia famiglia per me." dissi piangendo
"E io non sono come te!" aggiunsi furiosa
Vidi che Isabel si stava innervosendo e che muoveva velocemente il piede sinistro sul pavimento. Non capivo il perché volesse che facessi un gesto così estremo verso le persone a cui volevo bene, a cui tenevo di più. Non capivo la situazione e del perché tenessi in mano una pistola.
"Oh si che sei come me, in fondo io e te siamo uguali. Due assassine che farebbero qualsiasi cosa per sopravvivere a questo crudele mondo." disse calma, sorridendomi malignamente
Ero spaventata, anzi terrorizzata da quello che stava per accadere, da quello che avrei potuto fare con quell'arma. Ma io non ero come lei, io aiutavo le persone, non le uccidevo. Ma se invece la verità era che anch'io ero proprio come lei, che anch'io uccidevo le perone per sopravvivere, per nutrimi del loro dolore? Aveva ragione Isabel, io uccidevo gli altri, impedivo a loro di vivere per paura che mi abbandonassero, che potessero trovare qualcuno migliore di me, ecco perché mi attaccavo malsanamente agli altri, solo per sopravvivere al dolore che stavo provando, ed ecco perché tutti si allontanavano da me, perché con il mio affetto malato li consumavo piano piano, come se gli stessi succhiando via la vitalità che gli apparteneva. Ero un mostro che prosciugava le vite altrui per nutrire la propria, e sapevo che voleva dire stare male fino a diventare quel mostro che ti divorava. E per questo che dovevo morire.
"Fallo! Uccidili!" urlò furiosa Isabel
"No! Non posso, non lo farò!" gridai più forte
"Ho detto fallo! Ricordati che ti hanno preso in giro, ti hanno umiliata, meritano di morire!" urlò di nuovo
"No, no." dissi
"Fallo! Stupida balena!" gridò in fine
Alla sue parole, senza accorgermene, premetti con il dito il grilletto e sparai a loro. Vidi i loro corpi cadere a terra come foglie in autunno e il sangue sporcare i loro vestiti.
"Che cosa ho fatto!" sussurrai spaventata
"Che cosa ho fatto!" ripetei tremando
Non ci potevo credere, non ci volevo credere a quello che era successo, a quello che avevo appena fatto. Ero un mostro, non meritavo di vivere dopo quello che avevo fatto, dopo il gesto ignobile che avevo commesso. Avevo ucciso i miei migliori amici, e la colpa non era di Isabel, ma mia, solo e unicamente mia; non sapevo perché avevo premuto il grilletto, non sapevo perché in quel momento non sentivo niente nei loro confronti, anzi aveva sentito una forza istintiva verso di loro. Stavo impazzendo, non potevo averlo fatto, non ci potevo credere, non ci volevo credere.
"No, no, no!" urlai piangendo e piegandomi su me stessa
"Visto, in fondo non siamo così diverse." disse Isabel avvicinandosi a me
"Smettila!" gridai
Mi appoggiai alla cattedra dietro di me, cercando di recuperare lucidità, ma mi era difficile, ero rinchiusa in un vortice di emozioni e di pensieri che mi stavano distruggendo, che mi stavano trascinando verso il baratro della mia stessa mente. Mi girai e vidi Isabel con in mano la pistola puntata verso di me.
"Sei solo una stupida Jane, lo sei sempre stata. Tu non li meritavi. Hai avuto troppo da questa vita, troppo per essere solo un errore da cancellare. Sì, sei da cancellare, perché gli sbagli non devono vivere in questo mondo. E ora farò un piacere a tutti." disse mettendo il dito sul grilletto
"Addio cara Jane." premette sul grilletto e poi fu tutto nero
Mi sveglia di scatto, tutta seduta e tremante, con le lacrime agli occhi. Non potevo credere a quello che avevo sognato e non potevo credere a quello che avevo fatto: li avevo uccisi, avevo ucciso le persone a me più care senza alcun motivo. Forse era un gesto dettato dalla paura, dalla più totale pazzia che adesso mi apparteneva: non ero in me quando l'avevo compiuto, ero in una sorta di balia di emozioni che mi avevano frastornato. Ma se fosse successo veramente? Se fossi stata io a ucciderli e non Isabel? Allora alla fine meritavo di morire per quello che avevo fatto, meritavo di morire per essere il mostro che ero, per essere una persona che uccideva gli altri per il proprio piacere, per nutrire se stessa, per far tacere i propri demoni. Ecco cos'ero: un'assassina. Presi il telefono e guardai l'orario che indicava le tre del mattino, lasciai il telefono sul comodino e mi rimisi a letto cercando di recuperare quel poco di sonno che mi rimaneva, finché non sentii il telefono squillare. Così mi alzai e lo andai a prendere, e il nome che vidi mi fece balzare il cuore. Harry.
"Pronto?" dissi titubante
"Jane..." pronunciò con la sua voce profonda
"Harry."
"È tutto okay?" chiesi non capendo il motivo della sua telefonata
"Non credo." biascicò
"Perché? È successo qualcosa?" domandai preoccupata
"Si, no, non lo so." sbuffò alla fine e potei imaginarlo mettersi la mano tra i capelli
"Puoi solo aprirmi?" continuò stanco
Mi stupii del fatto che si trovava sotto a casa mia, non capivo del perché mi avesse chiamata e che cosa fosse successo. Scesi le scale e andai ad aprirgli.
"Harry, ma cos-" mi bloccai alla vista di quello che avevo davanti
Harry aveva la maglietta sporca di sangue, le braccia coperte di tagli, le nocche sbucciate e il viso pieno di lividi e di tagli. Mi spaventai alla vista. Non sapevo cosa dire, mi sembrava impossibile vederlo così indifeso e con le difese abbassate. In quel momento, davanti a me, non c'era il solito Harry Styles che tutti conoscevano e temevano, ma solo un semplice ragazzo che aveva bisogno di aiuto.
"Posso entrare, ti prego." mi supplicò
Mi spostai dall'uscio della porta, lo feci entrare e lo condussi in bagno. Arrivati lo feci sedere sul wc e presi tutto l'occorrente per medicarlo. Presi del cotone impregnato nel disinfettante e lo appoggiai delicatamente sui vari tagli che erano presenti sul viso. Sentivo che ogni volta che passavo su un taglio, Harry digrignava i denti dal dolore, e mi dispiaceva molto per questo, anche se cercavo di essere delicata il dolore era inevitabile. Non sapevo che altro fare se non curarlo, anche se avrei voluto riempirlo di domande sul perché del suo stato e sul perché fosse qui da me.
"Ho fatto una rissa." incominciò
"Ed è finita male."
"E non sapevo dove andare, quindi avevo deciso di venire da te." concluse
Ascoltai e basta senza dire niente, cercavo di trovare le parole giuste per rispondergli, però non riuscivo a trovarle. Un silenzio imbarazzante ci avvolse, e per la prima volta volli che Harry continuasse a parlare di qualsiasi cosa.
"Mi dispiace." dissi finalmente dopo poco tempo
Vidi che alzò la testa guardandomi con uno sguardo confuso.
"Per questo." indicai le sue condizioni
"Tranquilla, ci sono abituato." disse semplicemente guardando a terra
Mi stupii della sua affermazione. Sapevo che Harry aveva problemi di rabbia, ma non a tal punto da mettersi in mezzo a delle risse e a finire in quelle condizioni. Mi dispiaceva vederlo in quel modo: avevo l'istinto di abbracciarlo in quel momento, di baciarlo, di farlo sentire al sicuro, protetto, e non sapevo da dove provenissero queste forti emozioni. Feci un respiro profondo e continuai a disinfettarlo senza dire niente, perché mi sembrava che le parole in quel momento fossero di troppo. Sentivo gli occhi di Harry su di me durante quel tempo che sembrava infinito, dirgli qualcosa sembrava impossibile, ogni volta che cercavo di parlare le parole mi morivano in gola. Avrei voluto dirgli qualcosa, ma niente sembrava adatto in quel momento.
"Sei ancora fidanzata?" chiese rompendo il ghiaccio
"Si." affermai stupita dalla sua domanda
Avrei voluto dire no, perché non mi sentivo fidanzata, anzi, quasi intrappolata in una relazione che non era giusta ne per James ne per me. James non meritava una come me, che non lo amava, che stava con lui solo per vederlo felice, meritava molto di più. Ma non era questo l'amore? Rendere felice l'altra persona, renderla viva facendo di tutto per riuscirci. Ma sapevo che in cuor mio non amavo James, ma che provavo solo dell'affetto, e mi dispiaceva illuderlo, di fargli vivere una storia fasulla, illusoria, ma in quel periodo avevo bisogno di sentire qualcosa, di sentire un'altro sentimento oltre che al dolore, che provavo costantemente.
"E se facessi questo..." iniziò
Harry appoggiò le mani sui miei fianchi e mi avvicinò a lui finché i nostri respiri non si scontrarono, sfiorò con le sue labbra le mie e cercò di avvicinarsi di più. Sentivo il suo caldo respiro contro le mie labbra, dei brividi ricoprirmi il corpo e il cuore battere a mille. Non sapevo che cosa fossero queste sensazioni, queste emozioni forti che provavo ogni volta che stavo vicino a lui. Provavo delle sensazioni inebrianti, che mi facevano sentire viva. Harry si avvicinò di più finché le nostre labbra non si sfiorarono, ma lo respinsi, anche se avevo la forte tentazione di baciarlo. Non potevo fare un'altro torto a James, non se lo meritava dopo tutto quello che aveva fatto per me, dopo tutto l'amore che mi aveva concesso. Sentii Harry sbuffare e lo guardai dispiaciuta. Mi dispiaceva vederlo così, ma non potevo sbagliare di nuovo, avevo fatto troppi errori nella mia vita, avevo fatto soffrire troppe persone.
"Mi dispiace." dissi semplicemente non sapendo il perché delle mie scuse
"Lo ami?" mi chiese improvvisamente fissandomi intensamente
Non sapevo se amavo James, ma sapevo che quando stavo con lui mi sentivo bene.
"Sì." dissi titubante
Vedi che aveva per un momento lo sguardo perso nel vuoto mentre stringeva tra i denti il labbro inferiore. Non capivo il perché della sua reazione e del fatto che si stava così tanto innervosendo, e questo mi preoccupò perché volevo sapere, anzi, avevo bisogno di sapere che cosa stava pensando in quel momento.
"Già..." disse semplicemente guardandomi con tristezza
Finito di curarlo, gli misi una benda su un taglio che aveva sul braccio e lo continuai a guardare intensamente, non sapendo che fare in quelle strane circostanze. Ogni cosa che mi passava per la testa mi sembra stupido e fuori luogo, avrei voluto essere quelle ragazze sicure di se che sanno sempre cosa dire, che sanno cosa fare con gli uomini, non una specie di essere vivente che non sapeva neanche tirare fuori qualche stupida parola.
"Quindi..." iniziai non sapendo che dire
"Posso rimanere a dormire?" sputò improvvisamente
Mi stupii della sua richiesta. Non me lo sarei mai aspettata da Harry, nonostante il nostro rapporto fosse cambiato durante quel mese, tra di noi c'erano ancora degli attriti e questioni irrisolte.
"Si." sussurrai
Uscimmo dal bagno e ci infilammo nel letto. Sentii le sue forti e calde braccia cingermi la vita, e una sensazione pacifica e inebriante mi prevalse. Avrei voluto rimanere così per sempre, avrei voluto che il tempo si fermasse in quel momento. Era sbagliato voler una persona talmente tanto da sentirsi male? Talmente tanto da farsi scoppiare il cuore ogni volta che si sentiva solo pronunciare il suo nome. Questo quindi cos'era? Amore? Infatuazione? Attrazione? Cosa mi portava a sentire dei sentimenti così forti per una persona che mi aveva umiliato per anni. Questo era da masochisti oppure una forma malsana di amore che mi apparteneva? Perché alla fine io non avevo mai provato queste sensazioni tranne che con Harry, non aveva mai provato niente di simile tranne che solo sofferenza e un dolore atroce, che mi portava a distruggermi. Ma queste emozioni che provavo con lui mi facevano sentire viva e per un singolo momento pensavo che tutto sarebbe andato bene, che niente mi avrebbe distrutto.
"Buona notte Jane." mi sussurrò all'orecchio lasciandomi un bacio sulla spalla
"Notte Harry." dissi
Quella notte fu la prima in cui non ebbi degli incubi.
Mi ritrovavo nella sala di attesa per aspettare il mio appuntamento, mentre mi torturavo le mani cercando di dissimulare l'agitazione. Dopo la notte trascorsa con Harry, mi risvegliai tranquillamente, senza atti di panico, mi girai e vidi che il lato dove aveva dormito Harry era vuoto, c'era solo il suo profumo che mi ricordava la notte passata insieme. Andai giù dalle scale, per fare colazione, e trovai un bigliettino lasciato sul bancone della cucina
"Grazie di tutto."
Tre semplici parole che ne raccoglievano altre mille. Sorrisi al bigliettino. Non me lo sarei mai aspettava da Harry, anzi, non mi aspettavo proprio niente da lui, e questo mi stupì. Dopo essermi preparata, per poi andare a scuola, andai a fare la mia solita visita da Megan. Quel giorno mi sentivo particolarmente agitata, non capivo da dove provenisse questa agitazione, questa frenesia che mi apparteneva: il fatto era che provavo un senso di angoscia e sofferenza, e non sapevo il perché, ero stata bene nelle ultime ore, ma si sapeva che la tristezza aveva il sonno leggero. Vidi che la portai si aprì e dalla stanza uscì un ragazzo di circa la mia età, molto magro, quasi scheletrico, che indossava dei larghi vestiti con sopra un cappotto marrone scuro più grande di lui. Avevo lo sguardo vuoto, perso completamente nel nulla, sembrava un fantasma; e mi ricordava me in quel momento, era come vedere me stessa allo specchio.
"Jane vieni." mi sentii chiamare da Megan
Entrai e volli subito uscire. Odiavo come cercava di psicanalizzarmi, di entrare nella mia testa, di combattere contro i miei demoni e di farsi spazio tra l'intricante rete di pensieri che avevo in testa. Non la odiavo, ma odiavo il modo in cui cercava di aiutarmi, di salvarmi da me stessa, e il problema era che se avrebbe continuato così si sarebbe fatta del male; perché succedeva questo quando qualcuno mi stava accanto, quando qualcuno cercava di aiutarmi: prosciugavo interamente la sua essenza e lo rendevo vuoto, nullo, quasi il niente. Perché io facevo del male alle persone, le portavo alla disperazione, le uccidevo, le facevo soffrire, e lo facevo solo per sopravvivere a questa vita, solo per nutrire i miei demoni. Mi sedetti e subito cominciò a farmi delle semplici domande sulla mia vita.
"So che odi questa domanda, ma come ti senti? Che cosa provi?" mi domandò fissandomi
Aveva ragione, odiavo quella domanda, perché non sapevo mai come rispondere, cosa dire. Come stavo? Non lo sapevo neanch'io, ero circondata da mille emozioni dolorose che mi facevano crollare ogni giorno, senza mai smettere di distruggermi, di tormentarmi con i ricordi, con i pensieri più peggiori che avessi in mente. Ecco come stavo.
"Non lo so." risposi guardando il pavimento
Continuò a guardarmi senza dire niente, aspettando che io dicessi qualcosa in più per farle capire il mio stato d'animo.
"Non lo so, so solo che cerco di andare avanti." continuai
"Non fingere di star bene quando stai male." disse
Mi stupii della sua frase, ma sapevo anche che racchiudeva tutta la verità. Aveva ragione: fingevo ogni giorno di stare bene, di vivere normalmente la mia vita, di affrontare la vita con coraggio, ma in verità stavo vivendo in sofferenza e continuavo a farlo nonostante il male che provavo. Ogni giorno fingevo di stare bene, di avere solo un piccolo male che mi logorava, ma invece portavo sulle spalle un peso immenso, un peso che mi schiacciava ogni giorno di più, che mi portava a chiedermi se era quella che la vita che volevo vivere, se volevo continuare a vivere una tale vita, se volevo continuare a vivere. Ma alla fine non riuscivo mai a tagliere quel maledetto filo che mi teneva ancora in vita, che mi faceva ancora battere il cuore; non sapevo che cosa mi fermasse, che cosa mi impedisse di compiere quel fatidico gesto che mettesse a tacere tutti i miei mali, ma sapevo che c'era una forza dentro di me che mi impediva di farlo. Ma la parte che voleva farla finita era forte e ossessiva, che mi sussurrava di farlo, di farlo in qualsiasi momento e in qualsiasi modo. Quella parte mi distruggeva ogni giorno, nutriva i miei pensieri malsani e cercava di portarmi via da tutto, ma alla fine era quello che volevo in fondo, quello che avevo sempre voluto dopo quel giorno.
"A che cosa pensi?" chiese risvegliandomi dai miei pensieri
"Niente." scossi la testa
Era difficile per me dire quello che pensavo, perché era tutto un turbine di pensieri senza un filo logico che mi tormentavano, che combattevano contro loro stessi e mi creavano casino in testa.
"Jane...voglio solo aiutarti, e tu non me lo permetti." cercai di ribattere ma mi fermò con una mano
"So che stai male, lo vedo nei tuoi occhi, e lo sento quando entri. Voglio solo sapere che cosa pensi, per poterti capire meglio, per poterti aiutare." continuò dopo essersi tolta gli occhiali
Non sapevo cosa dirle, sapeva più di quanto le dicessi e questo mi metteva a disagio.
"Io sto bene, questo dolore che provo passerà, è solo un dolore passeggero." dissi mentendo di nuovo
"No Jane, non passerà se non lo curi." disse fissandomi
La guardai senza dire niente, non sapevo che dire e fare in quella situazione, mi sentivo nuda davanti a lei. Così iniziai a parlare di altro tra cui la scuola, John, Lindsey e i miei genitori, evitando l'argomento Harry. Harry era un'altro segreto che volevo tenere nascosto, che volevo tenere racchiuso nel mio cuore. Continuammo a parlare finché non finì la seduta, così mi alzai e uscii con un penso sul petto che mi logorava.
"Non rovinarti Jane." disse Megan prima che uscissi
Ma era troppo tardi, ero già rovinata da tempo, e nessuno se ne stava preoccupando, anzi, pensavano che fossi affetta da un male temporaneo, quel male che va via da solo con il tempo, ma non era così. Ero affetta da ben altro: un male irascibile e devastante, che mi portava ogni giorno ad avere incubi, a combattere contro me stessa, ad avere attacchi di panico, ad avere persino paura di me stessa. Era questo la mia "malattia", e la cura era solo la morte per liberarmene. La guardai solamente e uscii con maggiore confusione in testa. Mi recai verso casa facendo la strada più lunga, non volendo tornare subito a casa e intanto che camminavo, riflettevo sulle ultime vicende accadute. Non capivo ancora il perché Harry fosse venuto a casa mia la sera prima, avrei voluto chiederglielo, gli avrei voluto chiedere tante cose, ma avevo sempre paura della sua reazione e di quello che avrebbe potuto dire, di quello che avrebbe potuto fare. Harry era imprevedibile, era come un tornado che ti ribaltava e ti scuoteva cambiando tutti gli eventi, e ti sconvolgeva i propri pensieri. Era questo che mi spaventava di Harry: era l'unica cosa che non era sotto al mio controllo. Io avevo bisogno di controllare ogni singola cosa: quanto mangiavo, quante calorie assumevo, quali voti dovevo prendere in certe materie. Dovevo controllare tutto per non non crollare, ma Harry era la unica crepa che mi destabilizzava. Degli schiamazzi mi risvegliarono dai miei pensieri, così mi girai e quello che vidi mi fece stringere il cuore. C'era Harry con un braccio intorno alle spalle di Jennifer, insieme al loro gruppo, mentre entrambi ridevano e Harry la guardava sorridendo. Sembravano così felici e spensierati, senza alcun problema ad attenderli. Volli quasi piangere in quel momento, non capivo il perché, ma mi diede fastidio quella scelta, mi causò così tanto dolore, che aumentai il passo e mi recai velocemente a casa mentre le lacrime mi bagnavano il viso. Mi sentivo sbagliata e umiliata, e non sapevo il perché, mi sembrava che tutto quello che avevamo vissuto io e Harry si fosse cancellato con un semplice click. Quando arrivai davanti a casa, mi fermai e scoppiai a piangere. Non capivo perché mi sentivo così male dopo aver visto Harry con Jennifer, non capivo perché mi sentissi così, ma sapevo che avrei voluto urlargli contro, dirgli che stavo male per quello che stava facendo, per come si stava comportando, ma avrei fatto solo la figura della pazza. Ma in verità pazza lo ero: ero pazza perché provavo delle strane e forti emozioni per Harry, perché continuavo a torturarmi nonostante tutto, perché mi distruggevo ogni giorno. Entrai in camera e piansi ancora più forte, mentre mi venivano in mente i ricordi della sera prima e mi sembrava di sentire ancora il suo profumo, che mi confondeva di più. Mi stesi sul letto, presi il telefono e lo accesi guardando se c'erano dei messaggi: c'erano alcuni da parte di Lindsey e di John, che mi chiedevano di uscire per cena, uno da James che mi diceva che gli mancavo e nessuno da parte di Harry. Al messaggio di James mi sentii quasi infastidita, irritata, e non sapevo il perché, mi sembrava di non sapere più niente, mi sembrava che il suo messaggio fosse di troppo in quel momento, così lo ignorai e spensi il telefono. Avrei voluto spaccare tutto, urlare, squarciare il silenzio, ma l'unica cosa che feci fu rinchiudermi in me stessa come facevo sempre, per proteggermi dal mondo e da me stessa. Sentii di nuovo le lacrime rigarmi il viso e in quel momento mi lasciai completamente andare, facendo sì che il dolore uscisse fuori e riempisse la stanza.

"Pensare troppo, spesso non risolve i problemi ma li crea"

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