Capitolo 20

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Harry's Pov
Mi svegliai con un mal di testa terribile. La sera prima ero uscito con i ragazzi ed eravamo andati a casa di Louis a bere e a giocare alla play station. Come al solito avevo bevuto molto e mi ero ritrovato con una testa pulsante e una forte nausea che mi impediva di alzarmi dal letto. Avrei voluto rigettare tutto: l' alcool, i ricordi, le parole. Avevo bisogno di rigettare fuori tutto quello che avevo dentro per liberarmi dal male che mi consumava. Mi alzai con fatica dal letto e mi guardai allo specchio: sembravo uno spettro senza anima e senza cuore. Ero vuoto, privo di ogni sentimento e di emozione. Ero un morto che vagava per la città senza alcuno scopo, perché tutti i miei scopi erano morti insieme a Kimberly. Pensavo ai miei sogni infranti distrutti da qualcuno, ai progetti che avevo, alle ambizioni che puntavo. Ma adesso che mi guardavo indietro vedovo solo del fumo. Ora mi trovavo solo e non c'era nessuno, nessuno al mondo, a combattere contro me stesso una battaglia che sicuramente avrei perso contro i miei demoni; perché si, alla fine perdevo sempre qualcosa nella mia vita: da Kimberly a me stesso. Ero talmente abituato a perdere che perdere un'altra parte di me, non mi avrebbe distrutto più di quanto lo fossi già. La mia vita era come una tragedia greca che si ripeteva continuamente, creando sempre di più dei dolorosi ricordi e del dolore insostenibile; ma l'unica soluzione a tutto questo dolore era togliermi la vita, un colpo alla testa e tutto sarebbe finito, tutto il dolore che provavo, la sofferenza che mi consumava fino alle ossa, sarebbero finiti con un semplice click. Ma alla fine che senso aveva la vita, che senso aveva vivere una vita che portava solo del dolore e nessuna gioia, che portava via ogni minimo spiraglio di luce che c'era, che riusciva a spegnere la felicità in ogni singolo momento. Che senso aveva tutto questo. Che senso aveva continuare così, a trascinarsi un macigno per tutta la vita senza avere alcuno scopo, a portare dietro di se i propri demoni e i propri ricordi peggiori. Niente aveva senso: ne la mia vita, ne io. E questo mi portava sempre di più a cadere in un oblio in cui l'unica cosa che facevo era auto infliggermi del dolore per sopravvivere e per ricordarmi che era tutta colpa mia se lei non c'era più, se lei non mi amava più. Andai in bagno e feci una doccia fredda cercando di scrollarmi di dosso tutte le cazzate che avevo fatto, tutta la merda che avevo ingerito. Dopo essermi fatto la doccia, uscii dal bagno e mi vestii velocemente; scesi le scale e senza salutare nessuno uscii da casa. L'aria fredda di Londra mi colpì il viso facendomi stringere nel mio cappotto scuro, mi diressi velocemente verso la mia macchina e salii dentro. Sfregai rapidamente le mani cercando di creare un po' di calore e feci partire l'auto, dirigendomi verso scuola. Quando arrivai, parcheggiai e scesi dall'auto, dirigendomi verso i ragazzi che si trovavano di fianco alla porta di ingresso. Mentre mi incamminavo notai Jane recarsi verso la porta di ingresso: aveva lo sguardo basso, rivolto, come sempre, a terra. Indossava una felpa nera molto più grande di lei, che le arrivava fino alle ginocchia e che le copriva tutta il corpo, nascondendo le sue forme, che in quel momento desideravo ardentemente vedere. Vidi che quando arrivarono John e Lindsey, alzò il viso e gli rivolse un piccolo e semplice sorriso.

Mi accorgo che sei triste anche quando sorridi

Vedevo molto spesso che fingeva il suo sorriso, che cercava di far vedere alla gente che lei stava bene e che era felice. Ma io sapevo la verità, sapevo che lei stava male, che c'era qualcosa che la consumava, un ricordo che la tormentava. E io avrei dovuto scoprirlo. Continuai il mio cammino verso i ragazzi finché non mi trovai davanti a loro. Rimasi lì, a fissare Jane, senza ascoltare i ragazzi che stavano parlando di qualcosa riguardante una festa. Notavo che c'era qualcosa di strano in Jane, come se avesse paura del mondo stesso, come se qualcosa la stesse perseguitando. Si torturava le mani e continuava a rivolgere lo sguardo al terreno, senza dare attenzione a quello che le dicevano i suoi amici, finché John non le scosse un braccio e in quel momento mi venne l'istinto di ucciderlo per averla solamente toccata. Non capivo perché sentivo quel sentimento così forte e vivido, ma sapevo che dentro di me stava nascendo un istinto quasi feroce in quel momento nei confronti di John. Mossi un passo verso di loro per cercare di avvicinarmi, quando Louis mi richiamò, distaccandomi dalla falsa realtà in cui mi trovavo in quel momento.
"Hazza ci sarai, allora?" mi chiese
"Dove?" lo guardai confuso cercando di capire di che cosa stesse parlando
"Alla festa di questo sabato." disse con ovvietà
Continuai a guardare Jane, John e Lindsey che si stavano dirigendo dentro alla scuola, mentre Louis mi fissava aspettando un mio segnale che confermava che lo stessi ascoltando. Louis seguì il mio sguardo e capì che stavo fissando intensamente Jane.
"Perché non invitiamo anche lei?" mi guardò con un sorriso maligno
In quel momento ebbi l'istinto di tirargli un pugno al suo viso. Come si permetteva di parlare di lei in quel modo così viscido e velenoso. Sentii una forte rabbia colpirmi appieno, così strinsi in un pugno la mano e guardai in malo modo Louis, però Liam mi risvegliò appieno da quel sentimento così forte che stavo provando toccandomi la spalla, e tanto che mi calmai.
"Certo, perché no? Così ci divertiremo di più." gli rivolsi un finto sorriso
"Ottimo." rispose Louis sorridendomi
Notai che Zayn mi stava con uno sguardo strano ma non ci feci caso, anche se aveva timore che avesse capito qualcosa di quello che mi stava accadendo. Suonò la campanella e ci dirigemmo tutti dentro; salutai i ragazzi, e insieme a Niall, ci recammo a lezione di matematica. La giornata passò lentamente, i secondi sembrano che diventassero minuti, i minuti le ore e le ore dei giorni. Sembrava che tutto stesse rallentando, come la mia vita; mi appariva che ogni giorno fosse più lento dell'altro, come se la vita volesse farmi assaporare lentamente il dolore che stavo provando, come se volesse farmelo sentire fino alle viscere, per farmi capire che meritavo di morire dopo quello che era successo a Kimberly. Come ogni giorno continuavo a ripetere che fosse colpa mia del fatto che lei fosse morta, insistevo col dirmi che meritavo di morire io quella sera e non lei, che la mia vita era solo un insulso incubo durato troppo per essere vissuto a lungo. Intanto che mi dirigevo verso la palestra per l'allenamento, sentii due voci familiari nella classe di filosofia, così mi diressi verso quelle voci e quello che vidi mi fece infuriare come un animale. Il professore James era molto vicino al viso di Jane, forse troppo vicino per parlare a una studentessa, alzò una mano e le accarezzò il viso delicatamente. A quel gesto mi infuriai di più. Come si permetteva di toccarla? Come osava toccare quello che era mio? E soprattutto perché la stava toccando in quel schifoso modo? Mi avvicinai di più cercando di capire meglio cosa stava per succedere, anche se non capivo molto quello che si dicevano a causa delle voci provenienti dalle altre classi. Notai che Jane era ferma, immobile come una statua mentre quel depravato del nostro professore continuava ad accarezzarla e a guardarla con occhi luminosi, pieni di amore. Mi ricordava me quando guardavo Kimberly. A quel ricordo strinsi la mano in un pugno e digrignai i denti dalla feroce rabbia che stava crescendo dentro di me. Il professore si avvicinò sempre di più a Jane, finché non posò le sue labbra sulle sue baciandola lentamente. A quella vista tirai un pugno al muro e soffocai un urlo che mi partiva dalla gola e che se fosse uscito avrebbe distrutto tutta la scuola. Provavo un senso di rabbia che mi stava lacerando dentro, era come un'onda che mi aveva investito e adesso mi stava portando giù nei fondali più profondi della pazzia più malsana. Avrei voluto entrare e uccidere entrambi, avrei voluto fare del male sopratutto a Jane per farle capire come mi sentivo in quel momento, come era riuscita a spezzarmi con un semplice gesto. Sentivo il cuore spezzato a metà, come se un macigno me lo avesse distrutto. Avrei voluto urlare, spaccare tutto, ma l'unica cosa che feci fu dirigermi con furia verso gli spogliatoi per l'allenamento. Non capivo il perché quella lurida, puttana grassa mi avesse mentito, mi avesse nascosto il fatto che andava a letto con il nostro professore. Avevo mille domande in testa, infiniti punti interrogativi che mi stavano facendo impazzire, che mi fecero ancor di più infuriare portandomi a sfogarmi in campo contro i miei compagni e facendomi quasi fare a botte con uno di loro. Ecco cosa mi faceva Jane, mi mandava fuori di testa, mi distruggeva con le sue parole, con i suoi gesti, con il suo corpo. Tutto di lei mi distruggeva e mi guariva allo stesso tempo, ma adesso provavo solo odio verso i suoi confronti, più di quanto provassi prima verso di lei. Avevo bisogno di sfogarmi, di lasciare andare via tutta questa rabbia che mi stava uccidendo, così, quando finì l'allenamento, andai subito a farmi la doccia e quando uscii dallo spogliatoio mi recai verso l'uscita. Avevo bisogno di uscire da quel posto, mi stava soffocando e avevo solo brutti ricordi. Mentre camminavo vidi l'ultima persona che volevo vedere in quel momento: Jane. Stava camminando lentamente a testa bassa dirigendosi anche lei verso l'uscita. Chissà perché era rimasta fino al pomeriggio. Probabilmente per scoparsi quello stronzo del nostro professore di filosofia. Aumentai il passo finché non la raggiunsi e le afferrai il braccio facendola voltare.
"Oh, Harry." disse spaventata dal gesto inaspettato
Vidi che mi guardava con quei occhi innocenti e profondi, cercando di capire il perché l'avessi fermata in quel modo.
"Sei solo una puttana!" sussurrai con rabbia
"Cosa?" disse spaventata e incosciente di quello che sapevo su di lei
"Sei solo una stupida puttana!" affermai più forte stringendole il braccio
"Mi stai facendo male Harry." piagnucolò
Non me ne importai, in quel momento mi importava solo di sfogare tutta la mia frustrazione e rabbia su di lei.
"Sei solo una stupida, grassa puttana. Ecco perché sei così brava in filosofia, perché ti sbatti il professore." dissi rabbioso
Mi guardò con occhi spaventati e feriti, ma non me importai, era solo uno stupido errore e io glielo avrei fatto capirei.
"Non è vero, non è come pensi." si difese quasi piangendo per la forza che stavo mettendo nel tenerla lì con me
Alla sua affermazione una rabbia ceca mi colpì appieno, così la trascinai in uno sgabuzzino e la sbattei contro il muro, mentre cercava di liberarsi dalla mia forte presa. Sentii dei singhiozzi uscire dalla sua bocca quando fummo dentro, così bloccai la porta con una grande scatola di metallo contenente delle vecchie palle da basket e mi avvicinai a lei, rabbioso più che mai. Sembravamo il leone e l'antilope: affamato di rabbia e voglioso di lei in quel momento.
"Harry ti prego, lasciami andare." mi pregò piangendo
Potevo odorare la sua paura, potevo sentire il suo cuore battere a mille contro il petto che si muoveva su e giù velocemente a causa dei battiti.
"Mi fai schifo. E io credevo che fossi una ragazza per bene, e invece sei proprio una puttana, che si scopa il proprio professore per avere voti più alti."
"Harry non è vero, te lo giuro, non è come credi." mi disse fissandomi spaventata
Avrei voluto ucciderla in quel momento, come poteva mentirmi dopo quello che avevo visto, come poteva dopo che avevo visto che il professore le avevo infilato la lingua in gola.
"Smettila! Vi ho visto prima baciarvi in classe!" urlai
Notai che mi guardò scioccata e cercò di avvicinarsi a me, ma mi allontanai. Mi faceva ribrezzo.
"Io...doveva essere un segreto la nostra relazione. Avrei dovuto dirtelo, mi dispiace."
"Ti dispiace eh?! Tu mi fai schifo! Baci me e poi lui! Sei solo una lurida puttana da quattro soldi!" urlai sempre più forte avvicinandomi a lei
"Harry, mi dispiace, davvero. Perdonami, ti prego." continuò a piangere e in quel momento avrei voluto ucciderla con le miei stesse mani
"Avevo ragione, sei solo un errore e meriti di essere cancellata." sputai velenosamente
Mi guardò con gli occhi spaventati e impauriti; mi avvicinai a lei finché i nostri respiri non si scontrarono, le afferrai i polsi e li strinsi fortemente in una mano, con un piede le allargai le gambe e mi misi in mezzo tra loro.
"Ti odio! Ti odio un sacco! Mi fai vomitare!" dissi
Le strinsi i polsi fino a farla piangere e iniziai a strusciarmi fortemente su di lei, facendole sentire quanto mi eccitava, quanto in quel momento avevo bisogno di lei, quanto il suo corpo era stato il soggetto durante la mia masturbazione. Lei era diventata la mia ossessione, la mia droga, il mio veleno, e questo mi uccideva sempre di più. Continuai a strusciarmi, cercando di trattenere i gemiti, e intanto la sentivo piangere e dimenarsi, cercando di uscire dalla mia folle rabbia.
"Harry, ti prego, smettila." pianse sempre di più
Al suo della sua voce, schiacciai sempre di più il mio corpo contro il suo e mi sfregai più velocemente contro la sua intimità.
"So che lo vuoi puttana, dimmelo che lo vuoi." dissi a denti stretti
Il piacere era inevitabile, stavo per venire da quanto ero eccitato, da quanto la sua essenza mi faceva impazzire.
"Sei solo mia, ricordatelo, mia!"
"Harry smettila!" cercò di liberarsi mai ero molto più forte di lei
"Mi stai facendo male." continuò a lamentarsi e questo mi incentivò di più a sfregarmi più forte e più velocemente su di lei
Mi sembrava di aver sentito un piccolo gemito uscire dalla sua bocca, e questo mi incentivò di più a continuare a muovermi. Mi sembrava di essere come un animale liberato dopo essere stato lasciato troppo tempo chiuso in gabbia. La mia eccitazione era alle stelle, stavo quasi per raggiungere il culmine quando Jane pronunciò quella frase che mi risvegliò dallo stato in cui mi trovavo.
"Mi stai uccidendo Harry."pianse
A quelle maledette e dolorose parole, le liberai i polsi e mi allontanai dandole dello spazio. Continuai a fissarla intensamente, mentre cercava di prendere fiato e di riprendere coscienza della realtà. Avevo ancora una grossa erezione che mi pulsava tra le gambe, che cercava di richiamarmi alle sue attenzioni, ma la ignorai, continuavo semplicemente a guardare la creatura che si trovava davanti a me, che in quel momento era spaventata e intimorita da me.
"Harry..."sospirò e basta
"Tu mi hai ucciso Jane, ricordatelo. Mi hai mentito." dissi
"Mi fai schifo." sussurrai
"Meriti di morire." aggiunsi prima di andarmene, lasciandola lì da sola come una vittima della mia furiosa malata
Quando tornai a casa mi sentivo sporco per quello che le avevo fatto, mi sentivo come Nicolas quando aveva provato a violentarla. Un conato di vomito mi colpì appieno, così corsi verso il bagno e quando arrivai, rigettai tutto lo schifo che avevo in corpo: da quello che avevo mangiato a pranzo a tutta la mia vita. Mi sentivo uno schifo, un mostro che aveva ucciso un'altra persona solo per il gusto di farlo, solo per nutrirsi della sua essenza. Come avevo potuto farle una cosa del genere? Cosa mi stava capitando? Avevo il buco nel cuore profondo un cratere, perché quello che avevo fatto non aveva cuore, non aveva emozione e sentimento, ma solo odio. Non capivo perché provavo delle forte emozioni verso Jane che mi facevano impazzire, che mi portavano a compiere pazzie per cercare di non essere sopraffatto da essi. Dopo essermi pulito la bocca, andai in camera mia e presi l'unica cosa che poteva purificarmi in quel momento: aprii la bottiglia di vodka e iniziai a berla senza ritegno, come se avessi sete di essa, ed era così. Avevo bisogno che quel liquido bruciasse tutti i miei peccati, tutti gli sbagli fatti, tutti gli errori compiuti, ma invece me li riportava ancora di più a galla devastandomi interamente. Presi la bottiglia e la tirai contro il muro urlando ferocemente come un animale. Mi sentivo un animale: feroce e instabile, agile e incontrollabile, forte e fugace. L'animale che ero, prima era uscito fuori e aveva sbranato una persona, l'aveva resa il suo pasto, la sua carne preferita, un accumulo di ossa. Avevo ridotto Jane un ammasso di cenere, un fantasma che vagava per le strade della città. Da una parte mi dispiaceva averla distrutta, dall'altra parte lei se lo meritava quello che le avevo fatto: lei era mia, solo mia e nessuno poteva toccarla, guardarla o baciarla. Nessuno. Non capivo come aveva potuto mentirmi dopo averle confidato il mio peggior segreto, dopo essermi aperto con lei, dopo averle donato una parte di me. Non riuscivo a trovare dei motivi del perché non mi avesse detto la verità, del perché mi avesse tenuto all'oscuro. Mi sembrava di star per impazzire, avevo mille domande in testa e nessuna risposta. Mi sentivo di star per esplodere, come se fossi una miccia pronta a distruggere tutto. Presi il telefono e cercai di comporre il numero di Jane, ma l'alcool iniziava a fare effetto e la rabbia ritornò con ancora più forza, così sbagliai un paio di volte finché non presi il telefono e lo lanciai per terra rompendolo. Mi accasciai a terra e iniziai a ridere, ridere come se non lo avessi mai fatto, come se avessi trattenuto le risate per tutta la vita. Continuai a ridere imperterrito mettendo le mani tra i capelli, finché non mi stesi a terra e cominciai a piangere silenziosamente, sentendo le lacrime bruciarmi il volto. Era da tanto che non piangevo, che non mi lasciavo andare al dolore, ma quello non era il giorno giusto per farlo. Non potevo lasciarmi andare, non volevo e non potevo. Non volevo, perché non volevo lasciare andare il dolore che provavo, non volevo che mi invadesse come un fiume in piena. Non potevo perché era una cosa che il mondo non mi permetteva di fare. Mi alzai da terra e mi diressi verso il comodino, presi una sigaretta e l'accesi. Quando inspirai la nicotina sentii la tensione scivolarmi dalle spalle, tutti i problemi dissolversi come il fumo. E rimasi lì, steso sul letto come un animale ferito, mentre sentivo tutte le sensazioni cadermi a terra e rompersi in mille pezzi come se fossero di cristallo. Non mi ricordo per quanto rimasi steso immobile, ma mi ricordo che l'ultima cosa che feci fu sussurrare il suo nome.
"Jane."

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