Capitolo 3. Dieci secondi

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La terza settimana dall'arrivo di Charles passò in un baleno, tant'è che le giornate mi sembravano durare poco e le cose da fare troppe. 

Avevamo stretto uno strano accordo per il quale, io lo accompagnavo in palestra in scooter (guidando sempre io), mentre lui dopo mi offriva il gelato e mi ascoltava parlare dei libri che leggevo. Sapevo non gliene importasse niente, eppure mi ascoltava. Alcune volte lo faceva per ore, forse nel mentre si addormentava, ma non m'importava.

Era venerdì pomeriggio e il tempo rispecchiava alla perfezione il mio stato d'animo. Le nuvole che prometteva pioggia mi ricordavano quanto poteva far schifo essere adolescenti. Margherita purtroppo aveva sempre avuto ragione su Leonardo, quindi non si sorprese affatto quando, quella stessa mattina, le dissi che mi aveva mandato un messaggio con il quale mi lasciava. A detta sua era troppo difficile sopportare la distanza. Secondo la mia amica invece era troppo difficile fare a meno del cazzo.

Anche se non dovevo, ci stavo male. Non ero innamorato di Leonardo, non ancora almeno, però i sentimenti che provavo per lui erano sempre stati forti. Non sapevo come avrei reagito quando lo avrei rivisto a settembre, una volta ricominciata la scuola. Anche se volevo far credere di essere forte, quasi cinico in alcuni momenti, non lo ero affatto ed il fatto che continuassi a pensare a lui ne era la prova. Il braccialetto che mi aveva regalato, ancora stretto attorno al mio posto, mi riportava alla mente il fine settimana che avevamo passato al mare. Forse avrei dovuto toglierlo.

Mia madre era uscita per andare a fare la spesa. Per cena avremo avuto ospiti quella sera e lei voleva cucinare a tutti i costi. Non era una cosa che le riusciva molto bene, ma mi dispiaceva farle sapere che le sue pietanze erano pessime. Nella calma del giardino di casa mia, mentre io ero seduto in maniera scomposta sul dondolo, Charles arrivò come un uragano, sedendosi vicino a me e muovendo tutto.

«Andiamo in palestra?» chiese, facendoci dondolare avanti e indietro. Io scossi la testa, abbassando subito dopo lo sguardo sul libro. Ma durò solo un secondo; Charles mi prese il libro, chiudendolo, così da poter leggere il titolo. «Mi stai dicendo che preferisce Ken Follett alla palestra?». Sbuffai, mettendomi composto. Ero stato nella stessa posizione per ore e mi sentivo la schiena intorpidita.

Leggere è sempre stato un rifugio sicuro, da ogni male. Anche in quel momento stavo trovando conforto nella lettura, quindi no, non mi andava di fare altro.

«Già, incredibile ma vero!» risposi. «Oggi non mi va di venire in palestra. Mi fanno male le gambe, credo di aver esagerato un po' con la cyclette», dissi ed ero sincero. La cyclette era l'unica cosa che facevo, un po' perché la trovavo, forse un po' troppo ingenuamente, semplice e poco impegnativa. Un po' perché da lì, con totale discrezione, potevo osservare ogni cosa che Charles faceva. I suoi allenamenti erano assurdi, non capivo come facesse.

In maniera del tutto inaspettata, Charles mi prese per una gamba, tirandola fino a farmi quasi sdraiare sul dondolo. Sentii le sue mani sul polpaccio, tastare proprio dove mi faceva male. 

«Hai tutti i muscoli tesi», mi disse toccando nel mentre un punto che mi fece gemere dal dolore. «Forse hai ragione, per questa settimana basta palestra». Annuii, rimanendo a guardarlo mentre continuava a massaggiarmi i polpacci, salendo in maniera quasi automatica verso le cosce. 

«Devo...devo andare a preparare la crema per il tiramisù di mia mad-ah, smettila mi fai male!» mi lamentai, cercando di sfuggire dalla sua stretta, senza però riuscirci. Mi sollevai, spostandomi in avanti tanto quanto bastava per trovarmi ad un palmo di distanza da Charles. Mi sorrise, ma non mi lasciò andare per altri dieci secondi buoni. Dieci secondi durante i quelli mi passò per la testa qualsiasi pensiero o forse nessuno. Fatto sta, che quando mi lasciò andare avevo il cuore a mille.

Serendipity in Love || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora