L'agente Nicolas Leone è di pattuglia al confine tra due comuni limitrofi. Quella situazione è nuova per tutti e lo rende nervoso. I suoi colleghi fumano una cicca dietro l'altra, scaldandosi al tiepido sole di un marzo straordinariamente mite. Ma d'altronde il clima è impazzito, si sa da tempo.
La settimana prima Giuseppe Conte, il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, ha annunciato la quarantena per l'Italia intera. I cittadini devono stare a casa, salvo uscire per casi di necessità comprovata ed è diventato proibito anche spostarsi da un comune all'altro. Le forze di polizia sono state spiegate affinché la popolazione rispetti le regole emanate nel decreto. Pena tre mesi di carcere convertibile in ammenda in denaro. Il mondo intero si trova vicinissimo ad una pandemia. Ogni cosa si è arrestata di botto. Viaggi, compravendite, riunioni, eventi. Ogni sorta di assembramento, vietato. È obbligatorio restare ad almeno un metro di distanza, indossare guanti e mascherine con capacità di filtraggio, recanti il codice di fabbricazione FFP3 o FFP2.
Tutto è partito da Wuhan, in Cina, qualche mese prima. Un virus di origini ignote, appartenente alla classe dei coronavirus, ha cominciato a circolare, provocando insolite polmoniti che improvvisamente degenerano fino ad una specie di spegnimento dei polmoni. Apparentemente si presenta come una semplice influenza in un periodo, tra l'altro, in cui essere influenzati è normalissimo. Perciò, sfuggito all'attenzione in un primo momento, ha circolato indisturbato fino a che i reparti di terapia intensiva degli ospedali non si sono ritrovati intasati e totalmente incapaci di far fronte ad un simile numero di contagiati, che a loro volta contagiano alla velocità della luce molte altre persone, in una tremenda catena che si spera di rallentare imponendo la quarantena.
Dall'oggi al domani, l'Italia e il mondo intero sono entrati in guerra contro un nemico comune, alieno.
Microscopico.
Subdolo.
Imprevedibile.
Cresciuto con i film di Spielberg e compagnia, Nicolas ringrazia di essersi potuto preparare in qualche modo a quello che lo aspetta, attraverso la fantasia che ora tanto fantasia non è più.
Lui e i suoi colleghi rimangono tutto il giorno a pattugliare, fermando perlopiù medici e infermieri che vanno a prestare servizio nei vari ospedali. È triste vederli così stanchi, coi visi scavati e le occhiaie profonde di chi non dorme otto ore di fila da almeno un mese e che si porta sulle spalle infinite preoccupazioni e ha negli occhi i visi dei moribondi che soffocano e nelle orecchie i rantoli dei loro polmoni che si spengono... Ma devono anche appioppare qualche multa per contenere i bollenti spiriti di certuni che ridono di tutte quelle precauzioni, credendo il nuovo Coronavirus al pari di una qualunque influenza stagionale.
Nicolas rientra in casa stremato.
Abita in una pianura del Nord Italia che è una specie di terra di nessuno. Pochi casolari isolati, attorniati da campi coltivati a perdita d'occhio e qualche sparuta macchia d'alberi arruffati e selvaggi. Alberi alti e contorti ma dall'aspetto insulso, senza infamia e senza gloria.
Una strada dritta e stretta dall'asfalto pieno di buche, assediata da entrambi i lati da due profondi canali pieni d'acqua, porta al suo cortile. Una cancellata bassa dipinta di verde, uno spiazzo cementato e la casa intonacata di bianco, le imposte verdi, vasi vuoti sui davanzali delle finestre. Era la sua anziana madre che amava occuparsi dei fiori e che si sforzava di ingentilire l'aspetto anonimo del casolare con qualche tocco di colore e di vita. Da quando è morta, l'anno precedente, l'agente Leone è rimasto solo. Perciò, forse, ha trovato il coraggio di fare il grande passo e chiedere a Sara di sposarlo. Stanno insieme da sei anni. Lei è un'infermiera del reparto Malattie Infettive. La data è fissata per il mese di giugno... ma è capitato il Covid-19, parente stretto della Sars.
Si sono conosciuti in chat.
Niente di più incolore.
L'inizio della sua storia con Sara ricorda la macchia d'alberi senza infamia e senza gloria attorcigliati dietro casa sua. Il suo prosieguo, invece, è come quei campi piatti a perdita d'occhio che sfrecciano fuori dai finestrini della sua auto quando rincasa.
L'agente Nicolas Leone è un bell'uomo di trentadue anni, moro, alto, muscoloso, porta i capelli molto corti. Sono rasati, eccetto una lingua più lunga dal centro della testa fino alla fronte. Il suo è un taglio tattico, efficiente. Per farsi una doccia impiega esattamente sette minuti e gli basta un'energica sfregata con l'asciugamano per essere perfettamente asciutto. In casa sua non c'è nemmeno un phon. A meno che Sara non ne abbia dimenticato lì uno da viaggio, minuscolo. Può essere così, ma lui non si è mai preso la briga di controllare nei mobiletti del bagno.
Appena torna a casa si scalda al microonde un piatto pronto surgelato e lo mangia un boccone alla volta, mettendo in pausa la missione di Call of Duty per pochi secondi. Mentre gioca gli vengono dei tic nervosi che gli deformano i lineamenti per tutta la settimana quando è particolarmente stressato.
Sara gli ha proposto di andare a vivere insieme prima di sposarsi, ma per qualche strana ragione lui non se l'è sentita. «Facciamo tutto in una volta» era stata la sua giustificazione e Sara non aveva protestato. D'altronde stava per diventare sua moglie, più di così. Peccato che adesso la quarantena minacci seriamente lo svolgimento regolare delle nozze. Non potrà parteciparvi nessuno. Forse lo Stato impedirà persino un simile assembramento in chiesa (gli sposi, i due testimoni e il prete). È tutto chiuso.
Chissà perché, d'un tratto Nicolas prova il desiderio di andare a Messa. Forse solo perché non può farlo. E lo stesso vale per il cinema, per una birra con i soliti amici al pub. È come essere prigionieri in casa propria. E almeno lui può andare al lavoro, perché la maggior parte o deve rinunciarvi o deve farlo da casa, on-line. Certo, suo nonno e suo bisnonno hanno combattuto al fronte una Guerra Mondiale per uno, mentre lui deve soltanto starsene seduto sul divano, ma fa paura lo stesso. Le pareti di casa sembrano volerlo soffocare, richiudersi sopra di lui come grossi tentacoli di un mostro. L'agente Leone sente come un formicolio sulla nuca, come se fosse circondato dal pericolo. Che assurdità.
Impreca.
Getta il joystick dietro di sé. Lo sente rimbalzare sulla parete imbottita del divano e ricadere dolcemente sulla seduta.
Ha appena perso un'altra volta. Questa partita non riesce proprio a finirla.
È troppo nervoso. Teso e preoccupato. La situazione provocata dal Covid-19 non gli piace per niente. Afferra il cellulare e prova a chiamare Sara. È staccato. Lei è al lavoro, ovviamente. Fa dei turni allucinanti ormai da settimane. Ora non possono nemmeno più incontrarsi.
«Chissà fino a quando...» mormora.
Esce nel cortile e si accende una sigaretta. Un vizio sempre più costoso, il suo. Ma è l'unica cosa che lo calmi, l'unica compagnia cui possa aspirare. E aspira, infatti. Deliziose volute di fumo che gli riempiono i polmoni ancora così ben funzionanti, a differenza di tanti malati ricoverati d'urgenza in quei giorni, in quelle ore, forse proprio in quel momento.
La solitudine è cattiva, stasera. Lo tormenta.
Chiude casa sua e esce dal cancello, dirigendosi nella sterminata pianura che lo attornia.
È buio ma la notte è appena fresca. Niente a che vedere con i rigidi inverni pieni di neve e nebbia che passava da bambino.
Si sente vecchio, stanco. Non vede la fine di quella spianata deserta di campi, proprio come non vede la fine di quel periodo nero che la sua nazione e tutto il mondo stanno attraversando.
Assottiglia gli occhi, guardando in direzione della stazione ferroviaria che si erge solitaria a qualche chilometro da lì. Di solito lo sferragliare dei treni lacera l'aria ad intervalli regolari. Ora invece regna un silenzio stranissimo, irreale, come si sente solo in certe ore delle notti infrasettimanali o nei giorni di neve fitta.
Nessun brusio indistinto e lontano a far da sottofondo ai suoi pensieri. Niente. Nessuna auto che avanza lentamente lungo le strade dissestate dei dintorni.
Niente.
Nessuno.
Tutti a casa.
Persino la sigaretta è finita. Fa per accendersene un'altra, e proseguire un altro po', quando sente un fruscio provenire dalla sparuta macchia d'alberi alla sua destra. D'istinto, afferra la torcia che porta sempre legata alla cintura e la punta contro l'oscurità.
Spera di incrociare qualche capriolo o una volpe, e non un branco di quei cinghiali che da tempo devastano le coltivazioni a loro piacimento, senza che nessuno riesca a contenerli. Grossolani e all'occorrenza aggressivi.
«Aiutami!» grida una voce.
Il tono calmo ma perentorio suona come un ordine più che una richiesta.
L'agente Leone certe cose le ha nel sangue. L'aiutare il prossimo senza esitare è una di queste. Si precipita verso la voce. Gli sembra quella di un ragazzino. Forse è scappato di casa, esasperato dalla quarantena. Non si sa mai, coi ragazzini. E comunque è comprensibile. Lui da bambino non riusciva a stare fermo nemmeno se lo legavano. Colpa di un ematocrito alle stelle, valore che lo rende estremamente reattivo e pronto di riflessi. Grazie a Dio, visto il lavoro che fa.
Trova una figura esile impigliata come non mai in un roveto. Due occhi enormi, le pupille dilatate per lo sforzo di aver cercato di vedere qualcosa nel buio. I capelli lunghi avvoltolati tra le spine. Sembra davvero un piccolo cerbiatto intrappolato.
«Che ti è successo?» domanda l'agente, puntando la torcia ma restando a distanza di sicurezza.
Gli sembra strano che possa rivelarsi una trappola, ma in quei tempi di grande incertezza e paura molti sciacalli ne approfittano già e cercano di entrare nelle case della gente con le peggiori intenzioni, spacciandosi però per operatori sanitari o solo Dio sa cosa.
Magari questa era una nuova trovata. Attirare qualche malcapitato nel bosco, al buio, e farlo fesso con un colpo alla nuca. Per poi ripulirgli le tasche e l'abitazione.
La ragazza sbuffa, cercando inutilmente di divincolarsi dall'intrico di spine che la graffiano.
Geme. Rivoli sottili di sangue le bagnano le gambe e le braccia, lì dove i vestiti impigliati nelle spine gliele hanno lasciate scoperte.
Nicolas si guarda rapidamente intorno, puntando la torcia in tutte le direzioni.
Nessun segno di pneumatici nel prato. Nessun autoveicolo parcheggiato in posti sospetti. Nessuna traccia di un possibile complice.
«Peggiorerai solo la situazione se ti dimeni così» dice dolcemente. «Come ci sei finita lì? Chi sei?»
Lei smette di contorcersi e guarda verso la luce che lui le punta negli occhi, rimanendone accecata.
Ancora quegli occhi enormi e fissi, come quelli di un cerbiatto.
Certo, lei sarebbe un ottimo diversivo, se si vuole fregare qualcuno.
«Mi chiamo Janis» risponde dopo un po'.
Nicolas si schiarisce la voce. Abbassa la torcia. «Janis e poi?»
«Sei uno sbirro?» il suo tono diviene improvvisamente circospetto.
«Dalla punta dell'elmetto a quella delle scarpe. Agente Nicolas Leone» batte i tacchi, per farla ridere, crede.
In genere le ragazze ridono sempre quando lo fa. Questa no. Ma forse è solo perché si trova dolorosamente impigliata in un roveto.
«Allora, mi aiuti o no, agente?» calca sull'ultima parola che suona un po' come un insulto.
Nicolas non se la prende. Anzi non se ne accorge nemmeno, perché si è appena ricordato che in realtà non potrebbe toccarla.
Non la conosce e lei può essere un'infetta di Coronavirus.
«Mi dispiace, no. Non così, almeno. Devo andare a indossare l'equipaggiamento sanitario. Da dove vieni? Non lo sai che l'Italia è blindata? Non si può uscire dal proprio comune.»
«Io non abito in nessun comune, agente» risponde la prigioniera della natura, stizzita e vagamente umiliata.
Nicolas sgrana gli occhi. «Che storia è mai questa?!»
«La mia, signor gendarme. E ora, per favore, puoi tirarmi fuori da qui?!»
STAI LEGGENDO
Lockdown
Short StoryLa vita di un agente di polizia e di una senzatetto, con cagnolina gravida al seguito, che si incrociano nel Nord Italia durante il lockdown imposto per l'emergenza Covid-19.