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Nicolas rientra a casa con il cuore in gola. Ha paura che la ragazza se ne sia andata chissà dove, e la cosa lo riempie di apprensione.
La luce della dependance è accesa.
Tira un sospiro di sollievo e fa ricadere la testa all'indietro sul sedile.
Scende dall'auto e si sente di colpo distrutto. Le gambe a pezzi e affamato.
Si avvicina alla finestra e quello che vede gli stringe il cuore. Janis sta cucinando con addosso una delle sue vecchie tute, trovata in qualche scatolone abbandonato lì. Ha acceso una radio che Leone non sapeva nemmeno funzionasse ancora, e canta a squarciagola un vecchio pezzo anni '70. In un angolo vicino alla stufa, dentro una valigia giallo limone, c'è una bellissima cagnolina rossa, larga come un bidone, visibilmente incinta.
Nicolas non può credere ai suoi occhi. Proprio quella mattina aveva pensato di prendersi un cane, ed eccone un'intera carrellata.
La cagnolina raspa ossessivamente nella valigia, scombinando il grosso lenzuolo di flanella del corredo di nozze di sua madre. Con il muso lo sistema come vuole lei, fa un giro su sé stessa e ci si sdraia sopra con un gemito.
In quel momento Janis si accorge di lui, ancora imbambolato fuori dalla finestra e gli rivolge un sorriso radioso. Corre ad aprirla e un'ondata di calore proveniente dall'interno e un profumino delizioso lo investono, facendogli brontolare lo stomaco.
«È pronto! È pasta al ragù, ma una ricetta speciale. Me l'hanno insegnata al ristorante. Vieni? Stiamo lontani, lo prometto...»
«Ma a cucinare sei stata attenta? Oppure hai messo in bocca il mestolo? O hai starnutito sopra il sugo? Cantavi come Janis Joplin, poco fa. Ti ho vista. Che ne sai che non ti è partito uno sputazzo?» l'agente è di pessimo umore e tira un pugno al muro.
Detesta quella situazione. Ha una fame che l'acceca e una voglia matta di uscire a farsi una birra al pub, sentire Sara. Entrare in quella dependance e mangiare fino a scoppiare. Ma non è prudente. Chi diavolo è quella ragazza? Magari è stata a letto con un contagiato... il virus può avere un'incubazione di quattordici giorni.
Gira sui tacchi ed entra in casa sbattendo la porta.
Accende la playstation e intanto si scalda una pizza surgelata. Si fa una doccia di sette minuti e maledice il mondo intero.
Dopo aver mangiato e aver perso ancora e ancora la stessa partita, prova a dormire, ma il letto gli sembra una sabbia mobile.
Esce a fumare una sigaretta in cortile e studia la situazione. Ormai è notte fonda e dalla dependance non si ode altro che un raspare intermittente. Si avvicina piano alla finestra e, alla luce della stufa, vede che la Rossa ha già partorito due cuccioli.
Sorride meravigliato, suo malgrado. Lui vorrebbe tanto un maschio. Chissà se c'è, tra quei topolini che pigolano come uccellini.
Un fagotto scuro si muove, proprio lì accanto, e Nicolas vede Janis alzarsi e mettere altra legna nella stufa. Ha gli occhi gonfi, come di chi ha pianto tanto. O forse è perché si è svegliata nel cuore della notte. Eppure la coscienza di Nicolas rimorde.
Bussa piano sul vetro e le sorride. Lei lo guarda confusa, per un attimo sembra non riconoscerlo. Poi gli sorride. Un sorriso luminoso ma un po' colpevole e spaventato.
«Sono bellissimi» dice lui, indicando i piccoli.
In quel momento ne sta nascendo un altro e Janis e Nicolas osservano la scena, rapiti. La Rossa lo accudisce subito, ma sembra molto stressata. Non capisce bene che cosa le stia succedendo. Sembra trarre conforto dalla presenza di Janis, che la accarezza dietro le orecchie.
Nicolas si accende un'altra sigaretta e osserva. Si sente come il maschio di guardia alla tana, tenuto a debita distanza dalla femmina al suo interno. Ma è tutto sbagliato. Tutto assurdo. Vorrebbe poter cambiare canale e vedere un altro film, ma invece è la maledetta realtà, quella lì. Non può cambiare canale.
Getta la sigaretta e fa per aprire la porta, ma all'ultimo ci ripensa. Frustrato, torna alla finestra.
«Ti serve qualcosa?» chiede attraverso il vetro.
Lei non risponde, lo guarda e basta.
«Mi dispiace...» dice lui, e abbassa le spalle, avvilito.
Lei socchiude la finestra. «Dispiace anche a me, Nico... ma grazie che fai stare qui me e la Rossa. Cercherò di non infastidirti più, io volevo solo...»
«Anch'io! Anch'io lo volevo... lo volevo tantissimo... ma non si può... è pericoloso... è...» si prende la faccia tra le mani. «È allucinante! Non è nemmeno una vita, questa!»
«È solo per un po'...»
«Macché! Durerà molto di più. Durerà anni... ma forse tra me e te non sarà sempre così... passato il periodo di criticità, quello in cui tu potresti essere infetta e contagiosa, potremo avvicinarci di più, condividere le cose... mi dispiace di non aver pensato che non c'era cibo... sono un vero disastro, io...ma è successo tutto così in fretta...»
«Non preoccuparti... avevo dei soldi con me... e il tuo amico poliziotto è stato gentile...»
«Sì, lui sì... ma altri non lo sono altrettanto. Devi stare più attenta, Janis» tende una mano, istintivamente.
In un'altra epoca gliel'avrebbe appoggiata sulla spalla, o su una guancia. Adesso la richiude a pugno, la ritira, se la caccia in tasca. Vorrebbe gridare.
In casa ha una piccola palestra. Ci rientra come una furia e comincia a prendere a pugni il punching ball come se fosse il Covid-19.
Si risveglia tutto indolenzito, a mattina già inoltrata. È domenica, ma non si sente suonare nessuna campana.
Il silenzio là fuori è impressionante.
Nicolas si gratta la testa, sbadiglia. Non ha voglia di alzarsi.
Poi gli viene in mente quel lavoretto nel garage che rimanda dai tempi in cui era ancora viva sua madre.
Potrebbe anche finire di dipingere il cancello.
E spaccare della legna.
E ricaricare il liquido dei tergicristalli alla sua macchina.
Prepara una moka di caffè, fa colazione ed esce. Il cielo è di un azzurro abbagliante.
Mentre attraversa il cortile, ascolta un audio di Sara che gli ha mandato su Whatsapp durante la notte.
"Ciao tesoro, come stai? Sono in pausa cinque minuti... qui il lavoro è massacrante..." lunga scarica di tosse. "Scusami, amore, ho messo l'automatico e non sono riuscita a chiudere il messaggio mentre tossivo. Non sto un granché in effetti, ma devono essere questi turni infiniti. Quando torno a casa non mi ricordo nemmeno più che faccia ho. Mi manchi."
Nicolas si incupisce. La tosse di Sara lo preoccupa. Il virus uccide solo gli anziani, si ripete per convincersi, ma la paura gli attanaglia lo stomaco. Sara non è l'amore travolgente che ha visto in certi film, non è la luce dei suoi occhi e da lei non dipende la sua felicità. Tuttavia le vuole un gran bene, è la sua rassicurante abitudine, è una certezza, calma piatta in un mondo di caos.
Non sa perché, ma all'idea di ammalarsi anche lui, preferisce non vederla per altri sei mesi. Sì, è un vigliacco, si rende conto. Un egoista infame. Però tant'è.
Le risponde con un audio in cui le chiede notizie sulla sua salute e se possono farle un tampone, anche se conosce già la risposta.
Forse poco prima ha esagerato. Se perdesse Sara, come farebbe? Non ricorda una vita diversa da quella passata ad essere il suo uomo. Non saprebbe più come comportarsi per tenersi una ragazza. Perché trovarla non è difficile, ma è il tenersela il problema.
Sopra pensiero com'è, entra nella dependance senza precauzioni sanitarie. In realtà la mascherina che usa sul lavoro è frusta e ormai completamente inutile. In servizio lui e i colleghi la indossano per dare il buon esempio, ma andrebbe sostituita ogni tre o quattro giorni. Figuriamoci! Le produzioni sono a secco ancora da febbraio. Adesso dicono che la mascherina è inutile se non si è contagiosi. Serve solo a chi è infetto, ma l'agente è sicuro che siano tutte scuse per non scatenare il panico nei cittadini. Persino sui guanti i virologi sono in disaccordo. Qualcuno sostiene che siano solo un ricettacolo di batteri, e che sia molto più salutare lavarsi bene le mani per sessanta secondi, cantando il ritornello di qualche canzone famosa per scandire il tempo giusto.
E lui intende fare proprio così, infatti, da lì in poi. Ha in mente di fare quei lavori di manutenzione nel garage e vuole prendere alcuni dei suoi vecchi vestiti per non rovinare quelli che ha addosso, ed è talmente assorto che non bussa nemmeno.
Dopo pochi metri, però, un odore acre e pungente gli fa lacrimare gli occhi e salire un conato di vomito.
Confuso, distingue la Rossa, i suoi cuccioli, le lochiazioni verdastre sparse su tutto il pavimento. Janis dorme sul divano, una mano sotto una guancia, così immobile che non sembra nemmeno respiri.
La Rossa scodinzola nervosamente quando lo vede, producendo un suono ondeggiante contro il pavimento. Lui accenna un mezzo passo e lei scopre i denti. Avvolge i cuccioli con il suo corpo, sedendocisi sopra.
Quelli di colpo cominciano a pigolare forte, facendo un chiasso impensabile in degli esserini tanto piccoli.
Janis apre gli occhi di colpo e guarda in direzione della valigia gialla che funge da cassa parto. In un balzo scende dal divano e controlla i piccoli e la sua Rossa. La rassicura con parole dolci, nella sua lingua natale. Poi segue lo sguardo della cagnolina e si accorge di Nicolas, ancora in piedi come un allocco davanti alla porta.
«Mi...mi dispiace, io... io ero sovrappensiero e...» farfuglia, indicando a gesti sé stesso, il garage, l'armadio della madre.
Infine lascia ricadere le braccia lungo i fianchi, arreso.
«Qui dentro è un macello» commenta.
Janis accenna un sorriso, che però è simile al ringhio che la Rossa gli ha rivolto poco prima.
Nicolas indietreggia, spaesato. «Mi servono dei vestiti che sono di là» si riprende subito dopo, dirigendosi in camera da letto.
Sembra che lì Janis non ci abbia mai dormito, come aveva preannunciato la sera del suo arrivo. Troppo spazio, aveva detto. Nicolas prende dei vecchi jeans già strappati e una camicia di flanella a scacchi che era ancora di suo padre. Si cambia in fretta, arrotolandosi le maniche.
«Come è andata stanotte? Quanti cuccioli sono nati?» si informa, facendo capolino in cucina.
Janis ha spalancato la finestra e sta pulendo per terra con dello scottex e del detersivo di Marsiglia. «Ne sono nati sei. Cinque maschi e una femmina. È andato tutto alla grande.»
«Fiuuu, però. Cinque maschi! Posso guardarli?»
Janis smette di concentrarsi sul pavimento e lo osserva, da sotto in su, incuriosita. «E la distanza? La quarantena?» gli domanda, ma senza acrimonia.
«Sì, bè... non toccherò niente. Ti starò lontano. E poi mi disinfetterò con Amuchina a go go.»
Janis fa spallucce e si va a mettere in un angolo.
Ma la Rossa non è remissiva come lei. Schizza come una furia incontro a Nicolas, mordendo e abbaiando.
Janis si lancia in avanti d'istinto, abbracciando la sua cagnolina e finendo dritta contro il torace del poliziotto, che si sbilancia, scivola sul pavimento bagnato e saponato e cade come un bamboccio, rovinando su una sedia di formica rossa, coordinata con il tavolo, e sbattendo il culo per terra.
La Rossa gli vola addosso, decisa ad azzannarlo e a tenerlo lontano dalla sua prole. Janis la richiama, ma non ottenendo risultati, si ributta su di lei, sollevandola di peso e riportandola nella valigia.
La Rossa trema, ha i denti scoperti e la lingua che saetta tra i canini, pronta a riprovarci.
L'agente Leone è sconvolto. Non tanto dalla reazione comprensibile della cagnolina, quanto dalla propria goffaggine e stupidità.
«Mi dispiace» ansima Janis. «Ma ti lascerà avvicinare solo se ci sono io, vicino a te.»
Nicolas la guarda. Ha le guance arrossate e gli occhi che brillano. I capelli sul viso ne nascondono un po' l'espressione, ma Leone ci potrebbe giurare. La ragazza non vede l'ora di essere sola per abbandonarsi ad una sonora risata liberatoria alle sue spalle.
Che figura barbina! 

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