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Nicolas bussa alla dependance. Indossa il giubbotto sopra una tuta di felpa grigia.
«È aperto.»
Lo accoglie un invitante odore di cibo. La Rossa sta allattando dentro la valigia gialla, e finalmente l'agente vede il colore dei cuccioli. Ce ne sono cinque neri tricolore, e uno bianco con delle chiazze nere sulla schiena.
Tra loro ne spicca uno grassissimo, quasi tutto nero. Nicolas avvicina un dito al suo musetto e questo glielo succhia delicatamente.
La Rossa si è fatta attenta vedendo l'agente mettere una mano dentro la valigia, ma la vicinanza di Janis la fa desistere dall'attaccare. Scodinzola, ansiosa, e poco dopo si alza, fa un giro su sé stessa e si siede sui piccoli.
Nicolas sorride e si allontana, sedendosi al tavolo apparecchiato. Lui e Janis mangiano ai due capi opposti del tavolo e finalmente l'agente assaggia la sua cucina.
Spazzola due piatti di pizzoccheri e ne chiede un terzo, ma poi ne avanza metà. 
Gli sembra di non mangiare una cosa che non sappia di cartongesso da cento anni.
«Come passi le tue giornate qui, Janis?» le chiede a pancia piena.
«Ho tutto quello che mi occorre. Non mi lamento. Magari se smette di nevicare potrei fare qualche lavoretto in giardino...»
«Vorresti piantare dei fiori?»
«Oh no, non so nulla di roba verde, ma ho visto che hai un vecchio pollaio dietro casa. Vorrei metterci dentro delle galline.»
«E dove pensi che potremmo procurarcele? Non sono beni di prima necessità, perciò non le vende nessuno.»
«Ci sono quelle del tuo vicino. Quello che si chiama Tobia Ambrosi.»
«Ma quelle sono le sue, di galline. Non ce le darà mai.»
«Lo hanno portato via ieri pomeriggio, dopo pranzo...»
Nicolas strabuzza gli occhi. «Che cosa?! Hanno portato via il vecchio Tobia?»
«Crisi respiratoria acuta... mi dispiace... era un tuo amico, immagino...»
«Era il mio vicino di casa da quando sono nato. Mi regalava sempre dei gattini e ci portava le uova quando ne aveva in più... è un brav'uomo. Non puoi prendere le sue galline, Janis. Sarebbe come rubargliele.»
«Nico, ho controllato. Nessuno dà loro da mangiare. Oggi ho portato loro del pane secco, ma avevano ancora fame. Moriranno se non le portiamo via da lì.»
Leone rimane pensieroso per un bel po'.
È vero, il vecchio Tobia è vedovo da molti anni e abita solo nella sua cascina. I figli vivono lontani, non sa bene dove, ma di certo non nello stesso comune del padre. Bisogna salvare le galline. Se mai uscirà dall'ospedale, allora gliele restituiranno. Intanto potrebbero lasciare un biglietto infilandolo sotto la porta d'ingresso. Il buon Tobia gliene sarebbe senz'altro grato.
L'agente sbatte le mani sul bordo del tavolo. «E sia! Andiamo a prendere le galline.»
«Adesso?»
«Certo. Adesso che è notte. Meno gente vede, meglio è. Hai carta e penna? Anzi no, lascia perdere... c'è sempre il pericolo del contagio. Vado di là un momento, tu fatti trovare pronta tra dieci minuti.»
Quando Janis esce nel cortile sente che l'agente armeggia dentro al garage. Il portone è aperto e lui impreca sottovoce. Poi riemerge da una pila di roba accatastata reggendo tra le dita qualche scatolone ripiegato, che carica in macchina schiaffandolo nel bagagliaio, senza tante cerimonie.
«Tieni» porge a Janis una mascherina e dei guanti. «Sali dietro» le ordina e lei obbedisce senza fiatare, emozionata per quella spedizione notturna del tutto inaspettata.
Nicolas guida piano sulla lunga strada grigia, dritta come una corda di chitarra tesa in mezzo ai campi piatti e resi lucidi dalla neve già sciolta.
La radio è spenta ma nessuno dei due sente il bisogno di colmare il silenzio con qualche discorso.
Janis guarda fuori e resiste alla tentazione di scrivere qualcosa sul finestrino appannato dalla condensa con il dito.
Sa già che lui la odierebbe per questo.
È il classico tipo che tiene l'automobile lustra e immacolata, quelle che a salirci sopra puoi inalare in una volta sola tutti i profumi arborei delle foreste del mondo, con quel retrogusto di chimico e mentolo.
In macchina ci mettono due minuti scarsi, andando piano, quando a piedi Janis impiega un quarto d'ora buono solo ad arrivare.
L'agente parcheggia il più vicino possibile al portone della stalla. Sa che le galline sono lì dentro, Janis le ha viste attraverso una finestra. Grazie ad una porticina laterale, possono uscire ed entrare durante il giorno, ed è rimasta aperta perché Tobia non ha avuto il tempo di chiuderla. Le galline però sono dentro, e nessuna volpe le ha ancora scovate.
Anche il portone della stalla ha il chiavistello tirato ma con il lucchetto aperto. Dalla stalla si può accedere al pollaio tramite una porta normale, a misura d'uomo. Nicolas sospira sollevato. All'idea di passare per la porticina dei polli gli si rivolta lo stomaco.
Una volta dentro accende la luce e scopre che ci sono anche due caprette, mamma e figlia, rannicchiate sul fieno.
Janis è entusiasta.
«Userò il loro latte per svezzare i cuccioli.»
«Ma perché, sai mungerle? Guarda che quelle scalciano di brutto.»
«Certo che so mungerle. All'orfanotrofio avevamo gli animali e a turno dovevamo occuparcene.»
Nicolas fa spallucce. «Di erba ne avranno quanta ne vogliono. E poi le metteremo a dormire nel capanno degli attrezzi, tanto lo usava solo mia madre per le sue piante.»
Si sente contento. Forse è perché accoglie con gioia qualsiasi cosa che lo possa distrarre dal pensiero di Sara in rianimazione... scaccia via un brivido di angoscia, e poi sente la mano azzurra di Janis posarsi sul suo braccio.
È un gesto istintivo, presa dal momento ha dimenticato la faccenda del metro di distanza. Vuole solo fargli presente che non sa come trasportarle, due capre sulla sua berlina che sembra una cristalleria mobile.
Ed è così che Janis avverte il suo brivido e gli rivolge un'occhiata interrogativa da sopra la mascherina. Un guizzo di luce cobalto in un viso altrimenti reso inespressivo dalle protezioni.
Si aspetta di essere scacciata in malo modo, come al solito, ma invece Nicolas posa la sua mano grande sulla sua e gliela stringe, guardandola come se le sorridesse tristemente. Ma Janis non può sapere se è vero, perché non vede la sua bocca.
«Sei una brava ragazza, Janis» le dice lui, e le parla come se fosse una bambina e lui un uomo molto vecchio, quasi sul punto di morire.
Alla ragazza si riempiono gli occhi di lacrime. Quel contatto è più doloroso di un ceffone. Ha il sapore di un addio, ma non capisce come potrebbe esserlo, visto che nessuno può andare da nessuna parte. A meno che...
«Sei malato anche tu?» gli chiede a bruciapelo, sentendosi le viscere bruciare per la paura.
Lui spalanca gli occhi, sorpreso.
«No. Che io sappia, no... perché me lo chiedi? Ti sembro uno che sta male?»
«Sì...»
Lui si incupisce, ritrae la mano, brusco.
«Hai paura di contagiarti?»
Janis lo fulmina con lo sguardo. Prende un grande respiro.
«Sai cosa mi fa arrabbiare di te? È che pensi solo a questo maledetto virus. A stare a casa. A proteggersi. Ma ti è mai venuto in mente che forse a me non importa niente di proteggermi? Quale vita pensi che debba difendere a tutti i costi? Non ho niente di niente. Solo questa vecchia pelle che non possiede nemmeno un nome vero. Niente di me è vero. La data di nascita è fasulla, mi hanno dato quella che danno a tutti gli immigrati. L'anno è stimato a occhio. Il nome preso da un elenco telefonico. Non mi importa di contagiarmi. Mi importa di te. Per questo ti ho chiesto se sei malato, perché sembri triste fino al punto di morire.»
Si sono allontanati, e Leone ha ascoltato il suo sfogo con le braccia abbandonate lungo i fianchi, le spalle basse.
I suoi occhi si velano.
«La mia fidanzata, Sara... fa l'infermiera... dovevamo sposarci a giugno e lei... bè... lei è entrata stasera in rianimazione e io... non sono più nemmeno riuscito a telefonarle nelle ultime due settimane... lei lavorava sempre oppure dormiva... non c'era tempo. Ed ora credo che di tempo non ce ne sia... più...»
Janis si porta le mani alla bocca. Un altro gesto che ai tempi del Covid-19 dovrebbe essere bandito. Ma sarebbe come bandire il concetto stesso di umanità, in fondo.
Non dice niente, perché non ci sono parole. Vorrebbe poterglisi avvicinare, fargli sentire il conforto della sua presenza. Invece niente.
Piangono insieme, ai lati opposti della stalla del vecchio Tobia Ambrosi.

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