5

579 32 0
                                    

Suo padre è morto quando lui era un adolescente.
Molti ragazzi nelle sue condizioni avrebbero facilmente cominciato a fumare erba e a bere quantità d'alcool spropositate ogni fine settimana.
Nicolas invece sentiva il bisogno dell'autorità paterna. Quindi si era diplomato al Liceo Scientifico e poi aveva deciso di diventare un Volontario in Ferma Prefissata di un anno (VFP 1), indirizzandosi poi per la carriera di poliziotto.
Gli sembrava un buon compromesso tra il suo bisogno di gerarchie solide e una vita normale.
La ricerca di consenso da parte dei superiori l'aveva reso un soggetto mite e fiero di appartenere alle Forze dell'Ordine. La sua esistenza gli sembrava avere uno scopo più alto, facendo quel lavoro.
Lui e Sara avevano in comune questo altruismo e senso del dovere verso le persone. Peccato che questo adesso li stesse uccidendo. D'altronde il sacrificio è nel destino di chi ha un animo eroico. Solo che è davvero doloroso. Specialmente se capita a chi amiamo.
Sara è positiva al virus.
Nicolas ha ricevuto la notizia pochi minuti fa e se ne sta ancora immobile a fissare lo schermo del cellulare, incapace di crederci. E dire che se lo aspettava, che in qualche modo credeva di essersi preparato.
Solo il giorno prima un corteo di camion militari hanno portato via dalla città di Bergamo una fila lunghissima di bare, piene di morti trasportati verso la cremazione senza esequie.
Non può fare a meno di pensare che anche lei potrebbe fare la stessa fine. Che non potrà salutarla. Che non la vedrà mai più.
Ripensa all'ultimo abbraccio che si sono scambiati, all'ultimo bacio. Ma non gli viene in mente. Proprio non ci riesce. Davanti a sé ha un vortice nero che inghiotte tutti i pensieri.
È quasi la fine del mese, la primavera è ufficialmente iniziata da pochi giorni e inspiegabilmente viene giù una neve fina fina e fitta fitta che sembra farina.
Di colpo la temperatura è scesa e svolgere il suo lavoro di controllo delle strade è diventato una penitenza ancora maggiore.
Un tizio su una Mini Cooper color crema è venticinque minuti che fa avanti e indietro sulla Statale. Loro sono appostati in uno spiazzetto tra i tornanti di una strada che si arrampica in collina e da lì vedono tutto.
Poco più sotto, l'auto dei loro colleghi ferma le macchine che loro gli segnalano via radio dall'alto.
Stavolta però tocca a loro andare, perché i colleghi sono già impegnati a multare un altro malcapitato furbetto.
È una sera blu che sembra un Van Gogh. Gli alberi si stagliano come scheletri neri contro lo sfondo perfettamente omogeneo e l'unica nota chiara che si scorge è la neve rada depositatasi sui tetti delle case.
Fermano il tizio sulla Mini. Ha gli occhi spiritati e tiene la mascella serrata. Sbatte le ciglia troppo spesso. È nervoso e suda, Leone riesce quasi a vedere le pezze che si formano sotto le sue ascelle.
«Aspetti il marocchino che spaccia erba, amico?» va giù a muso duro Mauro, il suo collega piazzato e taurino come un pugile a fine carriera.
Il ragazzo sbianca e sbatte ancora più le ciglia. «No... no! Stavo andando alla Coop...» farfuglia, e per accreditare le proprie parole, indica le borse della spesa che giacciono flosce sul sedile posteriore, pronte per essere riempite.
«Ah sì, eh? Amico, sono venticinque minuti che ti vediamo fare avanti e indietro sulla Statale... quello che non sai è che il tuo spaccino lo abbiamo arrestato due ore fa. Patente, libretto e autocertificazione.»
Nicolas ride sotto i baffi.
Non può fare a meno di apprezzare i modi spicci del collega più anziano di lui di una decina d'anni. Lo osserva torchiare per bene il giovane in astinenza e poi lasciarlo andare, non senza avergli fatto prendere un bello spaghetto, prospettandogli qualche giorno in gattabuia.
Leone si distrae un po' dal pensiero angosciante di Sara, ma poi gli arriva un altro messaggio terrificante che lo gela come una secchiata d'acqua.
Sara è stata portata d'urgenza in rianimazione, dopo una violenta crisi respiratoria. È un suo collega infermiere ad informarlo.
Da questo momento lui non potrà più nemmeno parlarle al telefono.
Leone si discosta un momento dalla Mini Cooper e riascolta l'ultimo audio di Sara, la sua raffica di tosse secca e insistente.
Mi sento uno schifoso gusto in bocca, Leo. Come di sangue... gli dice, la voce nasale. Ho tanta paura, sai...
L'agente si aggrappa al cellulare come fosse una cima gettatagli da una nave di passaggio, mentre lui sta affogando in un mare nero come pece e flagellato dalla tempesta.
Sembra anche a lui di sentire quel saporaccio in bocca, ma non è la malattia, è la paura e lo sconcerto. Per quanto si rifletta a lungo sui mali del mondo, quando qualcuno di essi ci tocca in prima persona, ci si sente sempre colti di sorpresa e schiaffeggiati senza preavviso.
Leone si sente solo al mondo. In momenti tremendi come quello che sta vivendo lui, si vorrebbe poter contare sul conforto degli amici, potersi concedere qualche ora in loro compagnia.
Come intuendo i suoi pensieri, Mauro gli batte una pacca sulla spalla, rivolgendogli uno sguardo carico di dispiacere da sopra la mascherina. Ma subito si affretta a tornare a stargli ad un metro di distanza e non dice una parola al riguardo.
Leone finisce il turno che è mezzanotte passata.
Tornando a casa, si ferma con l'auto in mezzo alla strada tra i campi, spegne tutto e rimane lì immobile, dentro l'auto, nel buio più assoluto. Nella pianura in cui abita non c'è un lampione. Non una luce. È come se tutto gli dicesse che non c'è la minima speranza.
Nicolas fantastica sull'arrivo provvidenziale di un tir a fari spenti, che lo spiaccichi lì dov'è. Ma sa che è impossibile.
Non può girare nessuno e non c'è una luce nella notte.
Riavvia il motore e si trascina al minimo fin nel cortile.
Ed ecco che lì una luce è accesa.
Anzi, sono accesi proprio tutti i faretti esterni.
Sente una risata.
Janis (si era quasi dimenticato che c'era, preso com'era dagli affanni) sta facendo correre in tondo la Rossa. Batte le mani e lei salta fino all'altezza del suo viso, agile come un animale da circo. E dire che ha partorito sì e no dieci giorni fa.
Quando salta, la Rossa ne approfitta anche per spiaccicare il suo naso umido contro quello della padrona. È questo che la fa ridere.
«Ma come fai, Janis? Come fai a restartene così serena quando non sappiamo quale altra diavoleria ci capiterà tra capo e collo domani? Non hai paura di restare senza cibo per te e per i piccoli Rossini» è stato lui a coniare quel nomignolo. «Non hai paura di ammalarti, di morire, di perdere tutto?» le parole gli sono uscite così, senza che lo abbia davvero voluto.
Se ne sta in piedi vicino all'auto, la portiera ancora aperta e giocherella con le chiavi.
Lei si volta a guardarlo, ha gli occhi che brillano ma il sorriso le si spegne lentamente.
«Che ti è successo?» capisce subito che qualcosa non va.
L'agente Leone si sente sopraffatto dalla sua gentilezza. Gli dà il colpo di grazia. Si copre gli occhi con una mano e si accascia contro la fiancata dell'auto, lasciandosi scivolare lentamente fino ad accucciarsi.
Janis fa per andargli vicino, ma poi si blocca.
La Rossa, invece, che non ne sa niente di Coronavirus e norme di sicurezza, gli va vicino e gli annusa le mani e i capelli. Poi lo lambisce energicamente con la lingua, come fosse uno dei suoi cuccioli.
Nicolas le prende la testa tra le mani e la gratta dietro le orecchie. Lei gli mette una zampa sull'avambraccio, poi si china a infilare il muso sotto le sue braccia e si sdraia con le zampe anteriori sulle sue gambe. E resta lì, a farsi coccolare, spazzando il terreno con la coda vaporosa.
Odora di brodo di pollo e di yogurt. Sembra stanca, ha gli occhi d'ambra cerchiati e sporgenti per la fatica e lo stress della maternità.
«Credo che ora sarà d'accordo se vieni a vedere i cuccioli...» gli sorride Janis.
Nicolas fa un breve calcolo mentale e gli sembra che siano passate più di due settimane da quando la ragazza è arrivata nella sua dependance. Lei non sembra essere infettiva, ma lo stesso non si può dire di lui. Lui continua a uscire, ad avere contatti con la gente, anche se limitati in tutto.
Scuote piano la testa. «Ora è pericoloso. Vado a lavarmi, mi cambio...» sospira.
Sta pensando all'ennesima cena in solitaria, nemmeno più davanti alla playstation, perché da quando è cominciato il lockdown non riesce più a concentrarsi sulle partite.
«Vieni a mangiare nella dependance...» sussurra Janis, che ancora una volta sembra avergli letto nel pensiero.
Lui la guarda negli occhi per un lunghissimo momento, indeciso.
«Staremo attenti. Cucinerò con tutte le precauzioni. E poi staremo lontani. Ma almeno saremo insieme e sembrerà tutto meno tetro...»
Nicolas chiude gli occhi. «D'accordo.»
Avendo capito le sue intenzioni, la Rossa si scosta da lui e corre verso la dependance, grattando sulla porta per farsi aprire e tornare dai suoi piccoli.

LockdownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora