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È l'alba. Leone esce di casa per correre un'ora sulle strade deserte in mezzo ai campi inondati dalla luce del sole nascente.
Quando rientra è sudato marcio e rimane sotto la doccia un po' più di sette minuti.
In cucina, prepara caffè per due e si sente stranamente contento. Forse dovrebbe comprarsi un cane.
Ma Sara è allergica.
Però chissà quando la rivedrà, Sara.
Pensa al canile ma il più vicino è in un altro comune. Non può mica violare le regole, proprio lui. E poi non sa nemmeno se siano aperti.
Bussa piano al vetro della finestra della dependance. Poi ci sbircia dentro e vede che Janis è ancora profondamente addormentata, nella stessa posizione della sera prima.
Si chiede se resterà.
Guardarla dormire scalda il cuore di Nicolas e lo fa sentire stranamente al sicuro. La sua casa non gli sembra più una prigione, adesso che qualcuno è con lui.
Non si era reso conto di essere un caso tanto disperato, ma la solitudine non fa bene a nessuno.
Finalmente Janis apre gli occhi. Un raggio di sole obliquo le si è posato sopra, infastidendola. Nicolas ci si para davanti, coprendolo e lei riconosce la sua sagoma in ombra. Sorride.
È la prima volta che lo vede in viso.
Si tira a sedere, stirandosi a lungo. Poi si alza, goffamente, trascinandosi dietro la coperta che si avvolge intorno. Sbadiglia e fa per aprire la finestra ma Nicolas le segno di no con la testa e lei desiste.
«Buongiorno» dice, aldilà del vetro.
L'agente sorride e le indica la tazza di caffè che ha tra le mani.
La appoggia sul davanzale.
«Ho fatto il tampone e sono negativo, puoi stare tranquilla e toccare quello che tocco io. Vorrei farlo fare anche a te, se possibile.»
Lei sbianca. «È doloroso?»
Senza sapere perché, l'agente scoppia a ridere di gusto. Qualcosa che non gli succedeva da tempo.
«Ma no! Però non so se la sanità è d'accordo a farne uno così isolato. Credo che non lo sarà. Preferiscono tenere quelli che hanno per fare ispezioni più mirate. Per quanto riguarda te, anche se risultassi positiva, non riuscirebbero mai a risalire a tutti i tuoi contatti e quindi sarebbe un tampone "sprecato". E ne hanno pochi... e sono costosi. L'unica alternativa è la quarantena. Dovrai startene qui, nella dependance e uscire solo nel cortile, ma senza toccare niente senza guanti. Perché potrei poi toccarlo io e infettarmi, nel caso tu fossi positiva e asintomatica» mentre parla, Nicolas capisce di averle dato troppe informazioni difficili.
Janis ha l'aria ancora assonnata e fatica a cogliere tutte le parole, aldilà del vetro. Inoltre, il sole continua ad accecarla e lei si copre gli occhi con una mano, distratta.
Alla fine va alla porta e la apre. Esce fuori. Lo guarda.
«Prima del caffè non valgo niente. Lavoravo nella cucina di un ristorante e me ne scolavo litri interi.»
«Lavoravi?»
Janis annuisce. «In nero. Cercavo di mettermi i soldi da parte per viaggiare. Non ho ancora deciso dove voglio vivere. Non credo mi piaccia restare in un posto tutta la vita. Forse sono figlia di qualche nomade. Chi lo sa.»
«Hai studiato da qualche parte?»
«Ho un diploma al liceo linguistico.»
Nicolas fischia. «Però! Sai, Janis, sei davvero interessante. Uno come me dice che cosa fa, il poliziotto, e tutto finisce lì. Non serve chiedergli altro. In quella semplice definizione è racchiusa tutta la sua vita. Invece tu sei diversa. Di te si potrebbe parlare per ore...»
Janis guarda l'agente di sbieco, stringendosi nella coperta e dondolando come se cullasse qualcuno. Finché lui inizia a sudare.
«Qual...qualcosa non va?» sussurra.
«No, non c'è niente che non va. Soltanto, è triste dover stare così distanti. È noioso. Ti va se andiamo a fare una passeggiata?»
«Tu da un lato della strada e io dall'altro?»
Stavolta è lei a ridere. «Se così deve essere...»
Nicolas guarda l'orologio. È già in uniforme. «Fare attività all'aperto non è proibito, purché si evitino assembramenti... devo entrare in servizio tra un'ora esatta.»
Lei si infila i suoi scarponcini e rimane con la coperta sulle spalle. Beve il caffè che l'agente le ha portato mentre camminano nel sole del mattino, la strada che li divide.
Nessuno dei due fa cenno allo zaino. In realtà non parlano affatto, ma è bello non essere soli.
La natura è un tripudio di vita e di serenità. Gli uccellini intonano le loro melodie vivaci che riempiono la distesa di campi coperti di brina e punteggiati di primule, di violette e di pratoline. Anche i peschi sono in fiore. È davvero una primavera precoce, ma nessuno se ne lamenta, quest'anno.
Quando tornano al cancello Nicolas deve proprio andare.
Fa per salire in auto, ma ci ripensa. Janis è ferma a qualche metro da lui. Si guardano.
«Allora resterai? Rispetterai la quarantena e farai come ti ho detto?» Nicolas non sa perché, ma qualcosa dentro di lui minaccia di mettersi a supplicarla.
«Resto, sì. Non posso andare da nessuna parte, Nico.»
Il suono del suo nome storpiato così gli fa uno strano effetto. Sembra una cosa intima. Al lavoro tutti lo chiamano Leone, e anche Sara. A lei piace di più il suo cognome del suo nome, dice.
L'agente sale in macchina. Sa che non racconterà a nessuno di loro due. Nessuno verrà a disturbarli durante la quarantena. Questo può essere un vantaggio, se vuoi disperatamente conoscere qualcuno che altrimenti non ti avrebbe mai avvicinato.
Quando la sua auto sparisce all'orizzonte, Janis fa per seguirlo a piedi, tanto per fare qualcosa. Basta che eviti il centro abitato. Quando con la coda dell'occhio vede un movimento furtivo.
Si nasconde dietro la colonnina del cancello e aspetta, tesa.
Poco dopo, ecco che lo rivede. Un musino familiare spunta da sopra un fosso. Un attimo fugace, ma lei la riconosce subito. Salta fuori dal nascondiglio gridando il suo nome. «Rossa!» la cagnolina balza fuori dal fosso e le corre incontro come se avesse le molle alle zampe.
È incinta, ha una pancia enorme. Ecco trovato cosa fare durante la quarantena. Chissà se il suo magnanimo ospite, il poliziotto, ama i cani. Perché tra poco lì ce ne saranno un bel po', a giudicare dalla stazza di Rossa.
Janis entra nella dependance e cerca il kit di pronto soccorso. Lo trova, estrae il termometro e misura la temperatura rettale della cagnolina. È bassa, il che significa che al parto manca solo qualche ora. Janis le prepara un giaciglio in un angolo vicino alla stufa. Cerca uno straccio grande ma trova solo un lenzuolo e spera che a Nicolas non dispiaccia troppo separarsene. Fa accomodare lì la sua Rossa, la sua unica famiglia.
I giorni precedenti, nel boschetto poco lontano, l'aveva vista scavare con foga una tana e poi sgattaiolare via, in cerca di cibo. Ma poi la piccola l'aveva ritrovata, seguendo il suo odore fino a lì.
Janis si siede accanto a lei e questa si rifugia sulle sue gambe incrociate, nascondendo il muso nell'incavo del suo braccio, cercando rassicurazioni. Janis la coccola e poi si rende conto che nella dependance non c'è niente da mangiare.
Nicolas deve essersi del tutto dimenticato della cosa.
Allora si alza, mette una giacca vetusta della madre del suo ospite. È un montone e puzza leggermente di naftalina. Janis sente freddo perché nello stomaco ha solo due monoporzioni surgelate e un caffè tiepido.
Si incammina fino in paese e scopre che è lontano. Ha lasciato la Rossa sul lenzuolo, intenta a risistemarlo energicamente con le zampe.
Trova un discount sulla statale. Fuori c'è una coda che le sembra chilometrica di gente in attesa di entrare, con il carrello teso davanti a sé, per mantenersi lontani dagli altri usando quello come scudo.
Nessuno parla, se non alcuni, al telefono. Tutti tengono gli occhi bassi, non si guardano. Alcuni indossano mascherine e guanti, altri niente.
Janis si mette timidamente in fila e aspetta il suo turno. Nel supermercato fanno entrare solo cinque clienti alla volta.
Quando finalmente riesce ad entrare, molti scaffali sono vuoti, specialmente quelli dei detergenti alcolici e dei disinfettanti, ma scarseggiano anche lievito e farina.
Nonostante ciò riesce a comprare uno zaino nuovo, un trolley e tutto quello che può starci dentro. In seguito, userà il trolley come cassa parto. L'ha letto su internet. Ci vogliono delle sponde per contenere i cucciolini. Chissà che musetti avranno... la Rossa ha un pelo folto e l'istinto di un cane pastore. Ma il padre, chi lo sa?
Janis è sempre stata pagata in nero, in contanti. Usa quelli per pagare tutto, ignorando gli sguardi critici e i sopraccigli inarcati delle cassiere.
Poi si riavvia lentamente verso casa, trascinandosi dietro il trolley color giallo limone. Era rimasto solo di quel colore e attira gli sguardi come un bersaglio in un poligono di tiro.
Con il montone addosso suda, e ha così fame che sente le vertigini.
In quella landa desolata non c'è nessuno. Eppure, lontana, ecco un'auto della polizia che si avvicina. Janis sa che la sua valigia è troppo vistosa e vedendola con quella appresso, gli agenti la fermeranno di sicuro.
Infatti, accostano vicino a lei, procedendo a passo d'uomo. L'agente è uno solo. Ormai lavorare in due su un'auto sola è sconsigliato.
Tira giù il finestrino dal lato del passeggero. Una zaffata di fumo di sigaretta esce dall'abitacolo. Janis si prepara ad affrontarlo, tremando.
«Cosa trasporta in quella valigia?» la voce è pastosa, stanca.
«Del cibo. Volevo farmi un po' di scorte per non dover uscire spesso, visto che bisogna restare a casa...»
L'agente annuisce. Ha il volto largo e un po'cascante. La barba leggermente incolta. Si passa una mano sugli occhi.
«Dove abita?»
«In una casa poco più avanti...»
«Ce l'ha l'autocertificazione per giustificare l'uscita?»
Janis sbianca. «No... mi dispiace... ho avuto problemi con la connessione internet negli ultimi giorni e non ho potuto...»
L'agente fa un gesto con la mano, quasi a dire che non importa. Sembra che detesti fare quello che fa.
«Devo chiederle di aprire la valigia e lo zaino. Poi la scorterò fino a casa, se serve.»
Janis obbedisce, pallida. Il poliziotto non dice niente.
«Dove ha detto che abita?»
Janis indica una casa a qualche metro di distanza.
«Ma quella è la casa dell'agente Leone... ci sono stato a cena un sacco di volte! Sei una sua parente?» si rianima.
Poi prende il cellulare e digita un numero.
«Agente Leone» si sente dire dall'altra parte.
«Leo. Sono Roberto. A casa tua vive qualcuno? A parte te, intendo.»
Janis si mette a pregare in silenzio. Suda così tanto che si sente svenire.
Nicolas fa una pausa un po' troppo lunga. «Perché me lo chiedi? Qualcosa non va?» chiede poi, cauto.
«Qua sulla strada c'è una ragazza che sembra una profuga. Dice di abitare proprio a casa tua. È vero?»
«È vero, sì.»
«E chi è?»
«Scusa, non sono affari tuoi. Ha commesso qualche infrazione?»
«Nessuna infrazione. L'ho fermata perché se ne va in giro con una valigia di roba da mangiare e mi sono insospettito.»
Leone fa di nuovo una pausa un po' troppo lunga e poi il suo cervello sembra fare clic, e lui sospira. Si rende conto di quanto sia stato stupido ad andarsene al lavoro dimenticandosi completamente di rifornire il frigorifero della dependance.
«Tranquillo. È tutto a posto. Lasciala pure andare.»
Intanto Janis ha richiuso tutto e si è rimessa in marcia, tanto sa bene che in qualunque momento il poliziotto la può riacciuffare. Ma quello non ci pensa nemmeno. Chiude la telefonata e rimonta in macchina, con un'alzata di spalle.
L'amore ai tempi del coronavirus, pensa.
E non sa immaginare come sia possibile. 

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