È Pasqua ma, forse per la prima volta dall'Editto di Milano nel 313 d.C., non suona neanche una campana.
I cucciolini hanno quasi un mese.
Zampettano per tutto il cortile e uno in particolare segue Nicolas come un'ombra. È tricolore nero, con una codina corta tozza e buffissima. Il suo faccino è così tenero che Leone passa interi minuti a stropicciarglielo con le mani e quello lo osserva senza reagire, con i suoi occhietti sapienti e curiosi.
Lo ha chiamato Boss, e ha già deciso che sarà il suo cane, sebbene voglia tenerli tutti, quando ci gioca un po'.
Janis vive a casa sua da due settimane, durante le quali si sono costruiti una loro routine, pur vivendo in ali separate. Lui di sopra, lei di sotto. Si incontrano solo per i pasti, mantenendo le distanze di sicurezza. Lui sta aspettando i quattordici giorni di rito, per vedere se ha contratto il virus sul lavoro.
Poi lavorano in giardino tutto il giorno. Le giornate sono talmente splendide da sembrare surreali.
L'esterno di casa sua non assomiglia neanche più a quello di due settimane prima.
La cancellata ha cambiato colore, adesso è di un nero elegante.
Le persiane sono state scarteggiate e ritinteggiate di marrone chiaro.
L'erba del prato sul retro è alta pochi centimetri da quando è diventata il pascolo delle caprette.
Janis munge ogni mattina la più anziana e con il latte e un rosso d'uovo ha cominciato a svezzare i Rossini che lappano tutto in un concerto di piccoli guaiti di contentezza. Hanno lingue giganti nelle loro piccole bocche da cui spunta la chiostra di dentini aguzzi.
Il cortile si è trasformato in un'area cani ma l'aspetto è ordinato e pulito.
Leone e Janis sono molto soddisfatti e ogni sera si sentono un po' più sereni, nonostante le preoccupazioni.
Sara è ancora in terapia intensiva, e Nicolas non ha più avuto alcun contatto diretto con lei.
Ora ricorda perché, tempo addietro, ha scelto di non aspettare il grande amore dalla vita, ma di sceglierselo su misura, on-line.
L'amore rende deboli.
Infiacchisce lo spirito, ammolla la tempra più dura, stiracchia la fibra più resistente.
Ma anche la solitudine, lo fa.
E lo atterrisce il fatto di non riuscire a ricordare la sua donna come vorrebbe, come una stanca abitudine che si riconosce soltanto quando la si ripete.
Nicolas non è un anaffettivo, ne è sicuro. È solo che non è innamorato di Sara, e si sente un verme a rendersene conto mentre lei è bloccata tra la vita e la morte, in ospedale.
Un verme e un vigliacco.
Ma forse gli scossoni servono a prendere in mano la realtà. Le crisi rivelano la verità.
Eppure la sposerà lo stesso, decide. Se uscirà da quell'ospedale, lui la sposerà.
Perché l'ha detto e lo farà. È un uomo di quelli rari, l'agente Leone. Uno che mantiene la parola data.
È seduto su un ceppo e osserva Janis per terra, a gambe incrociate, tra i cuccioli.
Fa loro vocine tenere e insegna i primi comandi. Questi sgambettano verso di lei, barcollando sulle zampine incerte, un po' divaricate, le codine ritte per la contentezza d'esser vivi.
Il sole accarezza i suoi lunghi capelli, inanellandoli con trucioli d'oro. Indossa una salopette troppo grande per lei, e sotto una canotta che le lascia le spalle scoperte. La ferita alle dita si è rimarginata dopo otto giorni di fasciature con le garze imbevute d'argento.
È un aprile caldissimo, quasi estivo, e la campagna un tripudio di smeraldo e boccioli. Il verde è così vivo che viene voglia di morderlo per assaggiarlo.
Ma, forse, Nicolas non sta pensando davvero di assaggiare la natura, mentre accarezza con gli occhi il corpo della ragazza.
Lei solleva lo sguardo e glielo pianta negli occhi. Il suo viso ha una dolcezza malinconica che scioglie qualcosa dentro al buon cuore dell'agente Leone.
Anche lui è in canotta, e i suoi muscoli sono lucidi di sudore. Al collo gli pende la piastrina militare che indossava il suo compagno d'arme e amico Thomas, durante la missione volontaria in Libano in cui ha perso la vita. È rotta a metà.
Lo sa di sembrare uno di quegli eroi tormentati e magnetici da film bellico americano, ma non può farci niente se la realtà è davvero simile ai film.
Pensa a un certo presidente che salendo in auto ha dichiarato: «Siamo in guerra!»
Sembra che i politici non vedessero l'ora di dire quella frase, finalmente paghi di aver emulato in qualcosa i loro predecessori a cui sono dedicate pagine e pagine di manuali di Storia. Se li immagina mentre fanno le prove davanti allo specchio del loro guardaroba. Sguardo afflitto, voce truce. «Siamo in guerra!»
Ma in realtà qualsiasi guerra è un lusso insostenibile per l'Europa, oggi. La crisi economica occhieggia già maligna, sull'altra faccia della medaglia chiamata Nuovo Coronavirus. E presto li investirà come uno tsunami che si poteva prevedere, ma di cui si accorgono solo gli osservatori presenti quando scorgono il mare ribollire, e allora è troppo tardi.
Quella notte Nicolas si sveglia con le lenzuola bagnate fradicie e un treno merci che attraversa il centro della sua testa. Si rigira nel letto senza riuscire a riprendere sonno. È come se qualcuno avesse preso un coltellino affilato e avesse inciso una spaccatura nel mezzo del suo cranio.
Percepisce la presenza di Janis penetrare i muri, arrivargli addosso da sotto il pavimento.
Solo lei potrebbe raffreddare il suo desiderio.
Scosta le coperte, frustrato, e scende in cucina per bere un bicchiere d'acqua.
Quando è a metà scala, capisce che è una pessima idea.
Anche Janis non riesce a dormire.
La sente muoversi piano in cucina, come una lince chiusa in una gabbia arrugginita.
Sta per tornare in camera senza far rumore, quando gli viene il sospetto che, invece di Janis, in cucina ci siano dei ladri.
I movimenti sono troppo furtivi, i rumori troppo ovattati...
Afferra una mazza di ferro dal portaombrelli accanto all'ingresso e si acquatta dietro la porta della sala.
Sbircia dentro e scorge la luce di due torce, puntate sulla cassaforte nascosta dietro a un grosso quadro, come si vede in ogni giallo che si rispetti.
Leone trattiene il fiato, poi si infila nella stanza, strisciando contro le pareti. Quando arriva alle spalle dei due ladri, colpisce il primo con la mazza tra la spalla e l'orecchio, e all'altro dà un pugno in testa con tutta la forza che ha.
I due trasalgono dalla sorpresa e gemono, accasciandosi.
Uno dei due lascia cadere a terra un sacchetto pieno degli ori di famiglia.
La luce si accende e Janis appare nel vano della porta, una pistola puntata contro di lui.
«Lascia stare i miei amici» sibila.
E fa fuoco.
BANG!
Lo centra dritto al cuore.
L'agente Leone si sveglia di soprassalto, urlando.
Il suo telefono sta vibrando con insistenza, sul comodino.
Risponde senza guardare chi è, ancora intontito.
Sara è morta. Gracida una voce. Mi dispiace, non ce l'ha fatta.
È uno scherzo, pensa Leone.
Sto ancora dormendo.
È un incubo, come quello di poco fa.
Si alza e il pavimento freddo sotto la pianta dei piedi gli restituisce un po' di lucidità.
«Sarà seppellita martedì. Sono ammesse solo dodici persone. Mi dispiace tantissimo. Ha combattuto con eroismo fino alla fine.»
«Ha detto... ha detto qualcosa? Qualche ultima parola?»
«Era sedata. Mi dispiace...»
«Ma chi parla?» non si accorge di star gridando.
Il suo interlocutore ha la voce distrutta dalla stanchezza, sembra un automa che reciti un copione preimpostato.
Ha già riattaccato.
Leone rimane a guardare il cellulare sotto shock.
L'unica cosa che riesce a pensare è che non è possibile ricevere notizie simili da un apparecchio tanto anonimo e insignificante.
Ripensa a quando è morto Tommy.
Lui era ferito, disteso su un letto d'ospedale e mangiava un gelato. Una rarità che gli avevano concesso per buona condotta in degenza.
Se l'era guastato irrimediabilmente.
Un dottore, camice bianco e cartellina in mano, era entrato per dirgli che il suo compagno d'arme non ce l'aveva fatta.
Tutto qui.
Ferite troppo gravi alla testa.
Si era spento serenamente, pareva.
Ma almeno Nicolas aveva potuto guardare in faccia l'ambasciatore di una notizia tanto tragica, beneficiare del suo sguardo umano. Vedere i contorni del suo viso maturo sfocarsi e scomparire, a causa delle lacrime che avevano riempito i suoi occhi di diciannovenne. Distogliere lo sguardo e rivolgerlo pudicamente fuori dalla finestra.
Qui niente.
Solo uno schermo piatto la cui luminosità va via via affievolendosi, comunicandogli stolidamente che sono le 02.41 del 13 aprile 2020.
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Lockdown
Short StoryLa vita di un agente di polizia e di una senzatetto, con cagnolina gravida al seguito, che si incrociano nel Nord Italia durante il lockdown imposto per l'emergenza Covid-19.