Capitolo VIII: Breathe (2 AM): Dead In The Water

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Atlas Hands
Capitolo VIII: Breathe (2 AM): Dead In The Water


'May he turned 21 on the base at Fort Bliss,
"Just a day", he said down to the flask in his fist,
"Ain't been sober, since maybe October of last year.".
Here in town you can tell he's been down for a while,
but, my God, it's so beautiful when the boy smiles.
Wanna hold him, maybe I'll just sing about it.
'Cause you can't jump the track, we're like cars on a cable,
and life's like an hourglass, glued to the table.
No one can find the rewind button, boys,
so cradle your head in your hands,
And breathe... Just breathe.
Oh breathe, just breathe.'
(Breathe (2 AM) - Anna Nalick)


5 aprile 2013

Louis si sveglia di soprassalto, sedendosi sul letto.
Appoggia la testa sulle mani, il cuore che batte a mille, e si chiede che diavolo sia stato a svegliarlo.
Poi lo sente.
Stanno bussando alla sua porta d'ingresso, violentemente, e Louis si alza in fretta, lanciando uno sguardo veloce a Harry, ancora nel mondo dei sogni tra le lenzuola.
Arriva davanti alla porta, si gratta la testa mentre chiede, con voce strascicata: “Chi è?”
“Sono io.”
Zayn.
Louis gira la maniglia e apre la porta per il suo amico, che entra come una furia.
“Louis. Allora sei vivo.” dice, con voce fredda, e Louis impallidisce.
Cazzo, non lo aveva avvertito prima di partire. Merda.
“Zay, sono stato via con Har-”
“Lo so dove cazzo eri!” lo interrompe Zayn. “E di sicuro non grazie a te. Ti ho cercato per una giornata intera, prima che Liam mi dicesse della vostra fuga d'amore.”
“Scusami, è stato tutto così improvviso che-”
“Cosa, Louis? Che non hai avuto neanche il tempo di mandarmi un cazzo di messaggio in due giorni?”
“Zayn-”
“No. Senti, Louis, a me non interessa se vuoi scappare in Alaska con Harry, ma almeno avvertimi, cazzo! Ero preoccupato da morire. Non è da te sparire così, senza dire niente.”
“Lo so, Zayn, mi disp-”
“No! Non dire che ti dispiace, perché non è vero. Al Louis che conosco io sarebbe dispiaciuto, ma a te... Non lo so, sinceramente.” 
Gli occhi di Zayn sono freddi, come le interiora di Louis, che si stanno congelando alle sue parole.
“Io non-”
Zayn gli si avvicina, gli prende le mani e lo guarda negli occhi.
“Ho già provato a dirtelo, Louis. Ti stai spegnendo. Non sei più tu da un po' di mesi, ormai, e non riesco più a sopportarlo.”
“Zay-”
“No, Louis, adesso mi ascolti, ok? So già cosa mi vuoi dire. Ma penso che tu non abbia ragione. Aiutare le persone va bene, ma perdersi in loro? No, Lou, non va bene. E il peggio è che non te ne rendi neanche conto.”
Zayn avvolge una mano intorno al suo collo, e Louis non sa cosa dire. Sente la bocca secca, come se ci fosse della colla che gli impedisce di smentire tutto, di dire la sua.
“Lou, io ti voglio bene, e lo sai. Ma non ti riconosco più. Non voglio che tu mi risponda, ma voglio che tu ti chieda solo due cose: da quanto tempo non fai qualcosa solo per te, e non per Harry? Da quanto tempo non sei più te stesso?”
Zayn si allontana da lui di qualche passo, per poi staccare gli occhi dai suoi e avviarsi verso l'uscita.
“Riflettici su, Lou.” dice, prima di chiudere la porta.
Louis è ancora congelato al suo posto, in mezzo al salotto, senza parole. Non riesce a pensare, non riesce a parlare, non riesce a muoversi; tutto esplode e lascia detriti sulle pareti del suo corpo.
Poi sente dei passi avvicinarsi a lui, due braccia circondarlo con dolcezza, un respiro accarezzare la sua pelle e una voce a risvegliarlo dal suo personale abisso.
“Zay non ha tutti i torti.”
Louis rimane immobile, ma sente le lacrime riempirgli gli occhi e offuscargli la vista.
“Tutto quello che fai, lo fai per me, Lou. Lo so, questo.”
Harry lo guarda negli occhi, vede le sue lacrime e tutto quello che ha cercato di nascondere nei meandri di sé stesso per mesi, e sembra capire, per una volta.
“Io lo so.”

6 aprile 2013

“Prima o poi dovrai parlarne, sai.”
Harry lo fissa, preoccupato, dall'altro lato della tavola, mentre stanno mangiando.
“Non ora, Harry, ti prego.”
Louis non ne vuole parlare. Ha passato tutto il giorno all'Università, ha evitato i suoi amici, ed è stanco, stanco da morire, vuole solo mangiare e buttarsi a letto senza pensarci più.
“Va bene, non ora. Ma ne dovremo parlare. Non riesco a sopportare il pensiero che stai sacrificando te stesso per-”
Louis si alza dal tavolo, la sua cena lasciata a metà, e si chiude in camera.
Harry sospira a lungo, fissando la porta chiusa, e continua a mangiare.

7 aprile 2013

Quel giorno, Louis si alza prima di Harry e corre all'Università, per evitare di incontrarlo.
Quando torna, Harry è seduto sul divano, mentre finge di guardare la tv; Louis si toglie la giacca e corre in camera, senza neanche degnarlo di uno sguardo.
Sbatte la porta dietro di sé, sperando che Harry non lo segua.
Si sente affogare.
Gli manca il respiro.


Louis è steso a letto, il groppo in gola, la bocca serrata e gli occhi chiusi per evitare di piangere, quando sente il leggero cigolìo della porta e i passi di Harry, sempre più forti, sempre più forti, e sa di non avere scampo, questa volta.
Sente il materasso schiacciarsi sotto il peso del corpo di Harry, lo sente sospirare, lo sente preoccuparsi ed esitare e pensare. Non può sopportarlo.
“Non voglio parlarne.”
Harry rimane in silenzio e Louis sospira, tiene gli occhi chiusi e non sa come riesca a trattenere le lacrime. Sta soffocando, e non si vede.
“Ti prego.”
Harry resta in silenzio per un po', e Louis pensa vattene, ti prego, vattene.
“Io voglio parlarne, invece. Perché mi stai evitando e non mi vuoi neanche dire il motivo.”
“Ti prego, Harry-”
“Louis, stai sparendo, e io non me ne ero accorto. Non me ne ero accorto, capisci? Mi sento in colpa come mai nella mia vita.” sussurra Harry, “Almeno parlami, ti prego. Non riesco a sopportare il tuo silenzio.”
“Non sei tu il problema, Harry. Sono io.” si lascia scappare, poi cerca di rimediare: “Basta, ti prego.”
“Louis, io ti ho raccontato tutto, ogni volta, perché tu hai sempre insistito. Non ho mai conosciuto una persona più cocciuta di te. Non credere che ti lascerò stare.”
All'improvviso Louis sente freddo, freddo dentro, vorrebbe sparire in quel buco nero che è Harry e non uscirne mai più. Vorrebbe farsi risucchiare e non pensarci più, e non è giusto, non è giusto, perché anche Louis è una persona e ha sentimenti e ha il diritto di stare male un po' per sé stesso, almeno un po', cazzo.
E l'unico modo che ha di stare meglio è il ragazzo seduto di fianco a lui.
“Toccami, Harry.” dice, mentre si volta verso di lui e apre gli occhi. Harry lo fissa, stupito, ed è sempre bellissimo, bellissimo, e a Louis si spezza il cuore, di nuovo.
“Harry, toccami, ti prego.”
Harry appoggia una mano sulla sua guancia in un tocco delicato – sempre delicato, come se Louis potesse spezzarsi da un momento all'altro-, e Louis si perde in quel tocco, solo per un attimo, solo per un secondo assorbe il calore della sua pelle e sospira, e non pensa, non pensa, mentre intreccia le dita con quelle di Harry, premendole contro la sua guancia, unite, come per assicurarsi che sia lì davvero,  e per una volta Louis si sente spezzato per davvero, come un ramo, come un tronco, come un pezzo di carta in balia della tempesta.
Si sente spezzato dentro.
“Harry, non sei tu il problema, davvero.” sussurra, con gli occhi chiusi, perché si sente più sicuro se non vede il suo sguardo preoccupato e ferito e ansioso.
“E allora qual è il problema, Lou?” sussurra Harry a sua volta, come se le parole pronunciate ad alta voce potessero far esplodere l'atmosfera come una bolla.
“Non è la prima volta che mi capita, Harry, di perdermi nelle persone. È un mio vizio che pensavo di aver eliminato, invece-”
Si blocca, Louis, respira profondamente per evitare di far uscire le lacrime che stanno spingendo agli angoli dei suoi occhi.
“Invece lo sto facendo di nuovo.”
Harry resta in silenzio. Louis sente le domande nell'aria, le questioni lasciate in sospeso, e respira, respira prima di parlare.
“Mio padre se ne è andato quando ero piccolo, e questo lo sai. Da quel momento ho deciso di essere io il padre per le mie sorelle, ho deciso di prendermi carico di tutto, senza pensarci troppo. Anche quando è arrivato Mark, il secondo marito di mia madre, io – non riuscivo a togliermi questo peso dalle spalle, non ci sono mai riuscito, fino a pochi anni fa. Per crescere loro, per aiutare mia madre, mi ero dimenticato di me stesso e non me ne ero neanche accorto. Tendo ad avere questo atteggiamento con tutti, compresi Zayn e Niall: mi butto nell'altro a tal punto da farmi schiacciare, e sparire – sparire.”
Louis respira.
“Sai cosa vuol dire non riconoscersi più, cambiare per ogni persona a cui si vuole bene per sentirsi accettati, per sentirsi una parte di loro? È sfiancante. Mi ero ripromesso di non farlo più, di non perdermi mai più così, ma poi-”
Louis respira, e Harry trattiene il respiro, e si muovono in sincrono come sempre, i polmoni di Louis si svuotano il più lentamente possibile e quelli di Harry si riempiono in fretta, come una piccola coreografia, come una danza innata.
“Poi ho incontrato te. Ti ho visto, e mi sono accorto subito che qualcosa non andava, che c'era qualcosa di sbagliato in come ti muovevi e parlavi, come se ci fosse qualcuno a trattenerti. E poi ti ho visto sorridere, e, Harry, -mio Dio-, non ho mai visto nulla di più bello al mondo. Avrei voluto stringerti lì, in quel momento, in mezzo ai tuoi cd, e proteggerti dal mondo, perché in qualche modo sapevo che ti era accaduto qualcosa di assurdamente ingiusto. Ti ho visto e ti ho scelto, ho scelto di perdermi di nuovo per una persona che non conoscevo neanche.”
Harry rilascia il respiro che stava trattenendo, e Louis inspira, in quella strana danza di respiri silenziosi e parole sussurrate e pensieri non detti.
“Me ne sono accorto alla scogliera, quando mi hai parlato del suicidio. Io ti ho visto – ti ho visto – su quelle rocce, immobile, così immobile, Harry, e non riesco a togliermi questa immagine dalla testa. Tutte le volte che chiudo gli occhi ti vedo lì, senza vita – e ora so che io morirei con te, sempre con te, Harry. Sempre con te.”
Harry stringe ancora più forte la mano di Louis, senza parole.
“Tu credi di non avere un carattere ben preciso, giusto? Credi di essere cambiato radicalmente, per colpa mia?”
“Sì, Harry. E ancora una volta mi ritrovo a chiedermi chi diavolo sono, perché non ho punti fermi a cui rivolgermi, se non il mio bisogno di te.”
Harry resta in silenzio per un attimo, pensando, e Louis stringe ancora di più la sua mano, sperando di perdersi, di perdersi ancora e non rendersene conto.
“Io ti conosco, Louis. Io credo che tu abbia dei punti fissi e non un carattere precario; devi solo guardare tutto da un'altra prospettiva. Tu sei incredibilmente forte, altruista – e penso che tu lo sappia-, ma soprattutto, tu sai vedere oltre le cose. Non credere che io mi sia aperto con te perché stessi aspettando il principe azzurro, Lou: io l'ho fatto perché tu sei riuscito a vedere oltre. Quando mi guardi, io non mi sento un fantasma, perchè tu vedi me – vedi me. E sei stato l'unico a farlo.”
Louis vuole fermarlo subito, perché non è vero, non è vero quello che-
“Louis, ascoltami. Non credere di essere meno indispensabile per me di quanto io lo sia per te. Me ne sono accorto quando, per la prima volta, ho sentito una battuta che mi ha fatto ridere, e mi sono girato per vedere se faceva ridere anche te – ma tu non c'eri. Tutte le volte che sento delle cose che mi fanno ridere, mi giro verso di te, anche quando non ci sei.”
“Harry-”
Harry prende il suo volto tra le mani, e Louis apre gli occhi per la prima volta, e ha paura di quello che vede nel suo sguardo color smeraldo, ha paura della profondità di quegli occhi e di quei pensieri, e gli gira la testa.
“Tu ti sei sempre preso cura degli altri, Louis.”
Un battito.
“Ora mi prenderò io cura di te.”

21 aprile 2013

“Louis William Tomlinson! Allora sei vivo!”
Louis sbuffa e guarda male lo schermo del computer; sua madre e le sue sorelle ricambiano lo sguardo, imitandolo perfettamente.
“Ciao anche a voi, comunque.” dice, secco, e alza gli occhi al cielo.
“Boo, non ti fai vivo da un sacco di tempo. Non puoi sparire così, senza motivo. Siamo la tua famiglia!”
Louis si sente fissato da troppe paia di occhi troppo simili ai suoi, e sospira. “Un motivo c'è. Beh, più che un motivo, lo chiamerei un ragazzo.”
Prima che possano reagire, dall'altra parte dello schermo, Louis si alza dalla sua scrivania e si siede sul letto, di fianco a Harry, che sta leggendo.
“Dite tutte ciao a Harry!”
Dalle casse del portatile inizia ad uscire un chiacchiericcio incomprensibile, perché ognuna di loro sta urlando le proprie domande.
Harry lo guarda male, con un'occhiata non molto diversa da quelle appena ricevute dalla sua famiglia, e Louis si volta verso di lui, colpevole, sussurrandogli uno scusa pieno di scherno.
Ed è felice.


“Sai, Jay ti assomiglia molto. E anche le tue sorelle.”
Louis rimane immobile dov'è, steso sul letto con un braccio che copre gli occhi, perché ha appena subìto un'ora e mezza di interrogatorio da quelle arpie delle sue sorelle. Le preferiva quando non conoscevano ancora il significato di amore, attivo, passivo, sesso gay.
“Beh, sai, siamo tutti usciti dal suo utero, quindi è normale che ci assomigliamo.”
“Vedi, sicuramente l'acidità l'hanno presa tutta da te.”
Louis sorride, facendo finta di niente. “Hanno preso dal migliore.”
Harry lo spinge, leggermente, mentre dice: “Quello di sicuro.”
Louis ride e rimane in silenzio, godendosi la sensazione che, per una volta, la sua vita vada dove vuole lui.
“Anche io assomiglio molto a mia madre, comunque.”
“Beh, non è una novità che tu assomigli ad una donna.” dice Louis, perché scherzare è la sua unica arma contro i pensieri negativi di Harry.
Stavolta Harry lo butta giù dal letto con una spinta. Louis si siede, guardandolo male da sopra le lenzuola, ma lo vede sorridere, e può ricominciare a respirare. 
“Ahia.”
“Questa te la sei meritata tutta.”
Louis si siede sul letto, all'improvviso serio, e guarda Harry, guarda sempre Harry.
“C'è qualcosa di cui vuoi parlarmi, seriamente? Non volevo metterti a disagio con quella videochiamata, lo so che le mie sorelle possono essere molto invadenti, e non avevo pensato al fatto che, magari, vedendo mia madre tu potessi-”
“Louis.” Harry gli prende la mano, bloccando il suo monologo. “Mi ha fatto piacere conoscere le tue sorelle. Si vede che hai aiutato a crescerle – sembrano dei mini-Louis, solo un po' meno fastidiose.”
Louis gli dà un piccolo schiaffo sul braccio, e sorride.
“Sul serio, Lou, non trattarmi come se tutto quello che vedo mi facesse male. Perché non è così. Vedere Jay... Mi ha ricordato mia madre. In maniera positiva.”
Louis sente il bisogno di alzarsi, all'improvviso, ha bisogno di muoversi e non guardare Harry. Perché sa cosa sta per dire, e lui non può stare lì, immobile, a guardarlo, anche se sa che questo è ciò di cui Harry ha bisogno.
Se Harry ha bisogno di parlare, Louis lo ascolterà – lo ascolta sempre.
“Andiamo in cucina? Preparo il tè.” dice, con un sorriso dolce, e Harry lo segue.
Mentre riempie il bollitore d'acqua, Harry inizia.
“Sai, mia madre era una di quelle persone che sono fiere del proprio figlio, una di quelle che approva tutto quello che fa o dice e se ne vanta con tutti, con le proprie amiche, con i propri parenti, con il signore di fronte a loro al supermercato. Pensava che io fossi perfetto, Lou, e anche se so di non esserlo, lei mi faceva sentire così.”
Louis appoggia il bollitore sulla fiamma, ma non si volta verso Harry, perché sente che non è triste, non ha bisogno di aiuto, non questa volta. Ha solo bisogno di ricordare.
“Per diciotto anni della mia vita si è svegliata prima di me, tutte le mattine, per darmi il buongiorno con un bacio, perché credeva che un bacio fosse meglio dell'allarme della sveglia. Ci credi, Lou? Non ho mai avuto una sveglia in vita mia. Non ne ho mai avuto bisogno.”
Quando Louis si volta, Harry è girato di schiena, con le mani sul bancone e la testa abbassata, ma Louis può sentire il rumore del suo sorriso. Attraverso la maglietta bianca, vede le sue scapole forti, taglienti, due ossa talmente sporgenti che sembra che vogliano crescere, crescere talmente tanto da diventare ali e finalmente uscire da quella pelle, da quel travestimento da umano, e renderlo libero di volare via, via, via.
Louis vorrebbe piangere.
“Prendeva i miei disegni e li attaccava ovunque, sui muri, sul frigorifero, sugli specchi, e alla fine eravamo ricoperti di fogli. Ma a lei piaceva così. Negli ultimi mesi, le avevo dipinto tutto il soffitto della camera da letto, perché le piacevano così tanto i colori, così tanto.”
Harry viene interrotto dal rumore del bollitore, e Louis ringrazia il cielo, mentre si volta a versare l'acqua calda nelle tazze con mani tremanti. Rischia di scottarsi due o tre volte, e sta male. Sta male perché Harry disegna solo in bianco e nero, a penna, ora.
“Vorrei che mi vedesse, in questo momento. Perché sto bene, perché sono una bella persona, ora, e credo che sarebbe fiera di me. Di te. Sarebbe fiera.”
Louis si volta a guardarlo, ma Harry non è triste. Harry gli sorride con uno di quei sorrisi che gli fanno tremare la terra sotto i piedi, uno di quei sorrisi che ribaltano il mondo e lo rimettono a posto in un attimo, uno di quei sorrisi – Dio mio-, uno di quei sorrisi che ti riportano a casa.
“Lei aveva uno di quei profumi che ti faceva sentire a casa, al sicuro. E non l'ho più trovato da nessuno parte, Lou, mi sono sempre sentito fuori posto-”
Harry sgrana gli occhi, mentre pensa.
“Ora non mi sento fuori posto.” dice, con aria pensierosa ma eccitata. “Lou, non mi sento fuori posto!” dice, con un sorriso profondo e gli occhi brillanti.
Louis, all'improvviso, si sente sollevare da terra, e non capisce cosa stia succedendo finchè non sente la risata felice di Harry in un orecchio.
“Ho ritrovato la mia casa!”
“Harry, di che diavolo stai parlando?”
Harry lo guarda, appoggia il naso sul suo e sorride sulle sue labbra.
“Sto parlando di te.”
Gli dà un bacio veloce sulle labbra, e le sue fossette sono più profonde che mai, mentre dice:
“Sei tu la mia casa, Lou.”

Oggi ho trovato dei volantini, Diario.
Mentre cercavo il suo cellulare, nella tasca della giacca, ho trovato dei volantini delle Università, alcuni con delle croci sopra, alcuni con i titoli cerchiati. Non so cosa vogliano dire le croci o quelle ellissi, ma so una cosa: il mio ragazzo sta cercando davvero un posto dove studiare. Lo sta facendo davvero.
E intanto dorme da me, tutte le sere, perché io gli chiedo di rimanere.
Addormentarsi con il suo sorriso davanti agli occhi, svegliarsi con i suoi baci e le sue carezze e i suoi occhi verdi verdi verdi è il mio modo di essere felice.
Il mio ragazzo dice che io sono diventato la sua casa, ma la realtà è che lui è diventato la mia; si mescola con i mobili, con i ricordi, si mescola con la mia vita perfettamente, come la parte mancante di un puzzle.
E quindi io, ogni sera, gli chiedo di rimanere.
Gli chiedo se vuole rimanere a dormire, oppure vuole restare sveglio, perché ormai non fa più differenza. Gli chiedo se vuole rimanere, e basta.
Gli chiedo se vuole restare, per uccidere quella fame infinita e divoratrice che non mi permette di vivere senza di lui. Gli chiedo se vuole restare, per soddisfare quella sete arida e perpetua che i miei occhi hanno di lui.
Glielo chiederei anche stanotte, di rimanere e perdonare ogni mio errore, perché sono solo un uomo e posso sbagliare, di perdonare la mia mancanza di parole. Gli chiederei di rimanere e darmi il coraggio di dire quelle due parole, solo quelle due parole.
Glielo chiederei per altri cento anni, combattendo la fame e la malattia e la morte per chiedergli di restare almeno un'altra notte.
E glielo chiederei anche ora, al ritorno, in ogni notte, 
al ritorno in ogni città, al ritorno da ogni vita, 
di rimanere ancora qui, anche domattina,
ancora un po',

qui.

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