Capitolo 10

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Quella mattina Katsuki era entrato a scuola come suo solito. Centinaia dei ragazzi che frequentavano quella scuola lo avevano circondato, lusingandolo per la partita, ricordandogli quanto poco mancasse e quanto volessero che lui vincesse quella competizione.
Katsuki cercava di sorridere a tutti, per come poteva, nonostante avrebbe voluto urlare contro ognugno di loro di togliersi dai piedi, soprattutto dopo il pomeriggio meraviglioso passato con Eijirou proprio il giorno precedente, che lo aveva fatto sentire 'normale'. Perché era proprio questo che entrambi si aspettavano: che si regalassero a vicenda un po' di quella normalità che nessun altro si aspettava da loro. Entrambi facevano vivere l'altro come se si trovassero in una situazione normale, nessuno che pretendesse da loro la vittoria del campionato o del decathlon. Solo Katsuki ed Eijirou. Almeno fino a che stavano soli.
Fu accompagnato da quella massa di studenti fino al proprio armadietto, dove si chiese, effettivamente, dove fossero i propri amici. Si guardò attorno, cercando in mezzo al corridoio, tra le persone che vi camminavano per arrivare alle aule, ma nessuna traccia di Shoto, Denki o Sero, persino di tutto il resto della squadra. Confuso si voltò, aprendo il proprio armadietto ed infilandovi dentro i libri che si era portato quella mattina per le varie lezioni, mentre il pensiero scorreva veloce a dove potesse essere Eijirou, se magari potesse guadagnarci qualcosa dalla sparizione dei propri compagni di squadra, per poter passare qualche minuto in più con lui.
Così tirò fuori il cellulare, con lo scopo di mandare un messaggio al ragazzo per incontrarsi in mensa, ma una notifica attirò la sua attenzione.
Denki gli aveva detto di raggiungerlo nello spogliatoio, in palestra.
Si portò una mano sulla nuca, grattandosi leggermente confuso dal comportamento dell'amico e di tutti gli altri quella mattina e, sbuffando capendo di non poter incontrare Eijirou, poggiò tutte le proprie cose e si fece spazio nella massa per andare dove l'amico gli aveva chiesto.
Qualche minuto dopo, arrivato in palestra, si ritrovò davanti tutti, Denki, Shoto, Sero e il resto della squadra, che lo guardavano dietro ad un banchetto allestito con tutti i trofei vinti dalla squadra e qualche foto incorniciata dei campioni che quei premi li avevano fatti vincere. Trattenne uno sbuffo e un'alzata di occhi al cielo, mentre i suoi compagni, tutti con indosso la maglia della squadra col proprio numero, gli facevano segno di avanzare di più nella stanza.
"Spider Bill Natrine, 1972 era il miglior giocatore del nostro campionato" cominciò Denki e Katsuki comprese che doveva aver attirato tutti in una delle sue solite scene tragicomiche e capì che lì sarebbe andata per le lunghe. Incrociò le braccia al petto, avendo tutta l'intenzione di stare a sentire dove volessero andare a parare.
"Sam Nadler, 2002, meglio conosciuto come 'Sammy gancio mancino'. Capitano, miglior giocatore della squadra campione" si unì anche Shoto, enfatizzando il suo discorso come, probabilmente Denki gli aveva chiesto di fare.
"Rombo di tuono" fece, invece, Sero, facendo applaudire i suoi compagni di squadra.
"Hap Hadden, '95, ha trascinato i wildcats in due campionati consecutivi. Una leggenda"
"Si, leggende, campioni, ma tu credi che qualcuna di queste leggende viventi, lo sia diventato partecipando ai provini per un musical qualche giorno prima della finale?" riprese la parola Denki, facendo chiudere davvero gli occhi a Katsuki a questo punto, che sapeva dal principio dove tutta quella scenetta li avrebbe portati. Ma si limitò a non dire niente, acconsentendo a che quel teatrino andasse avanti, se era questo che i suoi compagni di squadra desideravano fare.
"No! Queste grandi leggendo lo sono diventate perché non hanno mai perso la concentrazione"
Denki fissò il proprio amico negli occhi, come se volesse trasmettergli qualche emozione, ma al momento Katsuki sentiva solo un enorme peso, che dalle spalle si stava spostando al petto, impedendogli di respirare bene. Lo sguardo del suo amico gli bucò il cranio, mentre avrebbe semplicemente voluto poter sparire nel pavimento.
"Allora, chi è stato il primo studente di secondo anno ad essere già opzionato?" urlò il suo migliore amico alla squadra.
"Katsuki!" urlarono tutti in coro.
Il biondo sgranò gli occhi per l'adesione che vide di tutti a quell'iniziativa di farlo sentire in colpa.
"Chi l'ha votato capitano della squadra quest'anno?"
"Noi!"
"E chi rischia di essere massacrato nella partita che decide il campionato, venerdì prossimo, se Katsuki pensa ad un provino?"
"Noi.." ma questa volta l'urlo dell'intera squadra fu solo un sussurro, che fece capire al ragazzo come Denki avesse messo tutti d'accordo, come si fossero allenati non solo per quella partita a cui tenevano tanto, ma anche per questa cosa di metterlo con le spalle al muro. Nessuno sembrava voler comprendere lui, i suoi sentimenti, il suo essere in grado di gestire le cose in modo separato, ma di poter partecipare ad entrambi. Si portò le mani al viso, frustrato, non sapendo cosa dire e, pensò, che l'unico modo per metterli a tacere, fosse dargli il contentino, nonostante, in cuor suo, sapesse che non avrebbe mai rinunciato ad Eijirou e all'audizione con lui.
Si sarebbe semplicemente applicato più di quello che adesso stava facendo, ponendo più attenzione alla squadra, data l'imminente finale.
Ma non erano queste le parole che la squadra aveva bisogno di sentirsi dire dal capitano. Fu per questo che dalla sua bocca uscirono quelle parole.
"Ragazzi, vi prego, siamo dodici in squadra, non solo io" cercò all'inizio di spiegare, come cercando di sondare il terreno, perché voleva che anche gli altri capissero di essere importanti quanto lui, perché se lui non fosse stato al pieno delle forze, comunque avrebbero potuto vincere con il gioco di squadra.
Ma Denki si era preparato anche a quella occasione.
"Solo dodici? Forse ti stai dimenticando il nostro tredicesimo, il più importante personaggio della squadra" e alle sue spalle Sero gli passò un'altra cornice, che finì poi tra le mani di Katsuki, che stava con le spalle al muro, confuso più che mai.
Voltò quella foto.
"Mio padre.." sussurrò, mentre gli occhi di un giovane coach Bakugou lo guardavano sorridenti e fieri in quella tuta che ora era a casa sua, ma che i ragazzi davanti a lui stavano indossando tutti.
"Si, Katsuki. Il miglior giocatore del campionato 1981. Campione, Padre e ora coach. È una tradizione che non ha paragoni" concluse Denki, lasciando il suo migliore amico completamente senza parole, in un mutismo selettivo, mentre fissava quella foto che gli avevano lasciato tra le mani a giudicarlo.
Prese il coraggio a due mani, staccandosi da quello sguardo giudicatore anche attraverso gli anni e la foto e decise di parlare.
"Ragazzi, se non capite che ho investito il centodieci percento di me stesso in questa partita, allora non mi conoscete"
"Ma noi pensavamo che.."
"No, vi dico io cosa pensavo. Pensavo fossimo amici. Vincere insieme, perdere insieme. Una squadra"
"Ma c'è quel ragazzo e il musical.."
"Ma io vivo per la squadra, mi interessa solo la squadra. Lui non m'interessa. Cantare per me non conta niente. È solo un modo per scaricarmi, non ha nessun valore per me. Voi siete la mia squadra e siete i miei amici. Eijirou non è importante, lo dimenticherò. Dimenticherò l'audizione e vinceremo la finale del campionato"
Trattenne un istante il fiato, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto, delle cattiverie sputate verso una persona che non era lì in quel momento, cose che non sentiva davvero, ma che sapeva che i suoi compagni volessero sentirsi dire. Quel macigno sul cuore divenne ancora più pesante, mentre ora i suoi amici gli sorridevano, veramente felici, come se non si rendessero conto di averlo appena spezzato. Katsuki aveva appena appreso da se stesso che non poteva essere chi desiderava essere davvero e trattenne le lacrime pungenti, perché non se lo poteva davvero permettere. Non avrebbe fatto vedere a quelle persone davanti a lui la tristezza che avevano creato.
Gli avrebbe dato quelle che desideravano.
"Siete soddisfatti?" concluse, cercando di far capire, almeno a Denki, che quelle cose le aveva dette non per un vero sentimento, ma che lo avessero spinto loro, con la propria ossessione, cattiveria e crudeltà.
Ma nessuno sembrò capacitarsene, perché presero a fargli festa attorno, spingendolo verso il cortile, dove la banda stava suonando, preparandosi alla partita, dove avrebbe utilizzato quelle melodie per incitarli. Le cheerleader stavano facendo le prove su quelle note e, quando quelle persone si ritrovano in mezzo la squadra, presero ad urlare felici, festeggiandoli e venerandoli come facevano ogni volta.

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