10. Bambola di porcellana

3.5K 204 16
                                    



La camera di Claire era rimasta chiusa a chiave per quasi nove mesi. Quando Jon ne raggiunse l'entrata sapeva che i ricordi sarebbero riemersi con maggiore impeto di quanto si aspettasse. Era ben consapevole che Sarah Ashton non poteva restare nella sua stanza indossando solo quella camicia da notte, così, la prima cosa a cui aveva pensato dopo essere rincasato dal suo ennesimo giro di perlustrazione nei luoghi che sua sorella aveva visitato, era stata reperirle un abito da giorno. Sarah e Claire erano della stessa, minuta corporatura, perciò lui aveva pensato di prendere un abito dalla stanza di Claire.
Ma quando raggiunse quella porta stringendo la chiave tra le dita, le sue nocche sbiancarono dallo sforzo di serrarla. Appoggiò la fronte sul legno scuro e respirò profondamente.

Devi farlo, si ordinò mentalmente. Doveva riuscire a entrare lì dentro senza scoppiare in lacrime.

Lentamente, come se provasse timore, Jon infilò la chiave nella serratura. La mano gli tremava.

Quando riuscì ad aprire quella porta, venne investito dall'ondata di malinconia più potente che avesse provato da nove mesi a quella parte. Fermo sulla soglia, fu incapace di immergersi completamente in quel luogo che tutto gli sembrava tranne la camera di sua sorella. La finestra non era più stata aperta, così l'aria era consumata tanto che per qualche istante gli mancò il fiato. Sul letto, coperto da un velo di polvere sottile, c'era ancora l'ultimo abito che la cameriera di Claire le aveva preparato e che lei non aveva mai indossato. Strinse i pugni lungo i fianchi. Claire gli mancava da morire. Ma doveva andare avanti, essere forte, scovare il suo maledetto assassino. Perché lui era certo che sua sorella fosse stata uccisa.

L'abito sul letto era di mussola color verde salvia, un colore che si sarebbe abbinato perfettamente agli occhi di Claire così come si sarebbe abbinato a quelli di Sarah. Non poté fare a meno di pensare a quanto quegli occhi fossero grandi e profondi, a quanto lo avessero ammaliato dal primo istante in cui, la sera precedente, lei glieli aveva puntati addosso, così come gli erano sempre rimasti impressi fin dall'infanzia. Ma Jon era deciso a non cedere. Non si sarebbe fatto abbindolare dalla bellezza di Sarah, o dal modo in cui sbatteva le ciglia né da quelle labbra piene e ben definite. Non le avrebbe permesso di usarlo. Almeno, non senza ricevere in cambio qualcosa.

L'avrebbe piegata prima di diventare un burattino nelle sue mani, così avrebbe capito cosa si provasse ad essere schiacciati. Non era cattiveria. Si trattava di qualcosa di indefinito che lui non riusciva a comprendere, qualcosa che lo rendeva estremamente arrabbiato con lei. In qualche modo, Sarah avrebbe pagato sulla sua pelle cosa significasse sentirsi con le spalle al muro.

Afferrò l'abito e ne distese delicatamente le pieghe della stoffa, portandoselo poi al volto. Ne aspirò l'odore di antico, di Claire, e chiuse gli occhi abbandonando il volto contro il tessuto sottile. In quel momento l'immagine di Sarah svanì dalla sua testa e al suo posto giunse quella di sua sorella. Avvertì il peso delle lacrime, come decine di lame invisibili e affilate limare il retro dei suoi occhi. Il macigno sul cuore che non se n'era mai andato si fece più pesante, tanto che dovette inspirare ed espirare più volte prima di riprendere coscienza di sé. Era quasi ora di cena. Sua madre si era rinchiusa in camera per un mal di testa, ignara del fatto che al piano di sopra, nella stanza del padrone, si trovasse una ragazza seminuda che farneticava cose assurde riguardo a un matrimonio.

Suo malgrado, adesso Jon doveva pensare a Sarah. L'indomani sarebbe tornato a cercare informazioni su Claire, ma prima doveva sistemare la faccenda di Sarah Ashton. E sperare che, magari, lei si sarebbe piegata al suo gioco e lui potesse uscirne indenne. Non sarebbe stato semplice; Sarah era determinata a farsi sposare, eppure Jon sapeva che non si sarebbe mai abbassata a baciare uno come lui. Un libertino, l'aveva definito. Non poteva biasimarla. Ma non poteva nemmeno ammettere che le sue parole l'avessero lasciato del tutto indifferente. Come anni prima Sarah aveva cercato di ferirlo con quella voce tagliente, ma quella volta Jon giurò a se stesso che non l'avrebbe lasciata vincere.

***

Quantomeno, dal momento che la contessa Charters stava riposando nella sua stanza e non avrebbe presieduto a tavola, Jon aveva la possibilità di cenare insieme a Sarah. Così, dieci minuti dopo, diede ordine che la cena fosse servita nella sua stanza e poi si recò al piano superiore per portare l'abito alla ragazza. Quando spalancò la porta della sua stanza, però, non immaginava che avrebbe trovato l'impavida Sarah Ashton addormentata sul divanetto, con un braccio sopra la testa e il mantello che le era scivolato dalle spalle. Quella vista lo intenerì un poco, nonostante tutto. Doveva essere stanca. Non avrebbe voluto svegliarla, ma doveva mangiare qualcosa e soprattutto indossare qualcosa di più appropriato, così appoggiò l'abito sopra il letto e la avvicinò guardingamente.

—Sarah?—

Lei mugolò qualcosa, ma non si svegliò. Jon si concesse un momento per osservarla. Alla tenue luce della candela, Sarah sembrava una bambola di porcellana. La pelle delicata e pallida era come un paesaggio appena imbiancato, le lunghe ciglia gettavano ombre esigue sugli zigomi un po' troppo evidenziati e più in basso, le labbra erano appena dischiuse come se fosse in procinto di aprire la bocca.
Forse stava fingendo di dormire. Ma il respiro calmo e regolare era chiaro indice che non fosse così. Jon si fermò a guardarla più del dovuto. Era davvero bella, in quel momento; perché non si ribellava a lui, lo era più del solito. Considerò che forse stava esagerando nel suo subdolo gioco, eppure non poteva non ammettere che baciare quelle labbra gli sarebbe realmente piaciuto.

—Sarah?— la chiamò di nuovo, e stavolta lei si mosse. Lentamente aprì gli occhi, mettendo a fuoco il viso di Jon. —Jon?

Lui non poté fare a meno di sorridere.
—Svegliatevi, dovete mangiare.

Sarah si sollevò a sedere inclinando il collo a destra e sinistra passandosi una mano sul volto. —È già passata la mezzanotte?

L'innocenza di quella domanda toccò una qualche corda dentro di lui.
—No— la tranquillizzò. —Vi ho solo svegliata perché dovete mettere qualcosa nello stomaco, e perché volevo mostrarvi un abito che domattina potrete indossare.

Sarah lo fissò confusa, poi finalmente si alzò dirigendosi verso il letto. Jon la vide osservare il vestito e, dentro di sé, sperò che lei non facesse commenti inappropriati perché non avrebbe risposto di se stesso.
—È molto gentile da parte vostra— disse invece lei accarezzando la stoffa dell'abito. Si girò verso di lui e attese un po' prima di aggiungere: —Ma è anche il minimo, considerando che mi tenete prigioniera qui dentro.

Jon sospirò esasperato. —Devo ricordarvi che siete stata voi a supplicare il mio aiuto?

—Ho chiesto il vostro aiuto, non vi ho supplicato di sequestrarmi— replicò asciutta Sarah. —Tuttavia, vi ringrazio per il pensiero, lord Charters.

Jon annuì, e pochi istanti dopo, dall'altra parte della porta, si udì la voce di Kiera, la cameriera di lady Charters, venuta a portare del cibo. Jon si diresse alla porta non prima di aver fatto cenno a Sarah di tacere. —Grazie, Kiera. Puoi ritirarti.

La domestica gli consegnò un vassoio con dei viveri e una brocca di vino e gli rivolse un inchino, poi si dileguò nel corridoio. —Venite, Sarah— disse poi una volta rientrato. — Ceniamo.

— Cosa vi fa pensare che cenerò insieme a voi?

Jon appoggiò il vassoio sullo scrittoio accanto alla finestra con un gesto fin troppo spazientito.
—Probabilmente il pensiero che non volete morire di fame. Visto che trascorrerete qui alcuni giorni, se rifiuterete di mangiare in mia compagnia, è quello che accadrà.

Sarah scosse la testa affiancandolo. —Non mi piace che mi si diano degli ordini.

—Non ve lo sto ordinando— ribatté Jon con un sorriso. —Ve lo sto consigliando.

—Siete assurdo!— borbottò lei con un sospiro, poi si sedette sul pavimento e indicò la brocca di vino con lo sguardo. —Permettete?

—Non credevo che alle giovani donne come voi fosse concesso bere vino.

—Sapete, Jon— fece Sarah imitando il suo sorriso sornione. —Non mi interessa quello che credete voi. Quindi ora lasciatemi cenare in pace e riduciamo la conversazione al minimo.

Jon finse di non dare peso a quelle parole, ma l'impulso di rispondere fu più forte. Doveva ricordarle chi comandava lì dentro, e non era di certo lei.
—Molto bene, miss Ashton— le sorrise di nuovo serafico.
—Mangiate pure tranquilla, perché tra poco quella vostra bella bocca dovrà cimentarsi in qualcosa di ben diverso.

A Sarah per poco non andò di traverso il vino.

Peccato di mezzanotte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora