34. Quando muore un angelo

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Avviso ai lettori: la storia sta per giungere al termine, è per questo che spero abbiate notato gli aggiornamenti tanto ravvicinati.
Volevo informarvi che questo capitolo è uno dei più crudi e difficili che io abbia scritto, i temi che vengono trattati sono delicati ma ho deciso di inserirli all'interno della storia per una motivazione ben precisa che troverete nel finale (che nonostante ciò che ho scritto poc'anzi è ancora un po' lontano.)
Volevo ribadire che sono temi forti e d'impatto perciò, qualora non abbiate intenzione/volontà di continuare la storia da questo punto di vista, non potrei biasimarmi. È una storia d'amore, ma anche di dolore, penso si sia enormemente compreso. Vi chiedo anticipatamente scusa se urterò la sensibilità di qualcuno dei miei lettori.
Ho cercato di trattare il capitolo con la massima delicatezza che mi è riuscita.
Nel frattempo continuo a ringraziarvi per i vostri commenti calorosi e sì, fomentati (cosa che adoro!) e vi mando un abbraccio.

—Alicia.

***


Se qualcuno le avesse chiesto il perché di quello che aveva fatto, lei non sarebbe stata in grado di dare una risposta.

Perché non hai dato ascolto agli altri, Sarah, e sei corsa via, dal tuo carnefice, come se potessi pensare di non correre alcun rischio? La realtà era che si sentiva un'irresponsabile, una sciocca, una decerebrata.

Pensò a suo padre, il fratello di quell'uomo, — un legame di sangue, dannazione — ci pensò per molto tempo senza poterne fare a meno, immaginando la sua reazione a quella scena. Gli avrebbe imposto di fermarsi, avrebbe urlato probabilmente, gli si sarebbe scaraventato addosso con l'intenzione di fermarlo. Chiunque sano di mente l'avrebbe fatto.

Poi riflettendo capì che Ashton non avrebbe mosso un solo muscolo se suo padre fosse stato ancora vivo. Ma suo padre non c'era più. Non c'era più nessuno a parte lei, che stava svanendo lentamente e impercettibilmente, e suo zio. C'erano i domestici al piano di sotto, Freya, Lewis, e la signora Jones... anche se la signora Jones non le era poi molto affezionata. Avrebbe voluto che ci fosse Will, che rappresentava il motivo per cui era stata tanto irrazionale da piombarsi nella stanza di lord Ashton.

E soprattutto avrebbe desiderato avere Jon che la aspettava di sotto, che la trascinava via, lontano, in un posto talmente remoto da essere irraggiungibile per chiunque.

Però lui non c'era.

La nostalgia le tagliò lo stomaco come una lama affilata che non lasciava alcuno scampo. Si sarebbe presa a pugni da sola se ne avesse avuto la facoltà, per essere tanto ingenua e avventata, tanto sprovveduta da rendersi ridicola. Il nome di Jon le si formò nella mente e avrebbe voluto sussurrarlo per invocare il suo aiuto, ma era un desiderio fasullo perché la facoltà di parlare lei l'aveva perduta quasi totalmente. Stava diventando incorporea.

Quando Ashton le prese il volto tra le mani lei si scansò di lato, ma la reazione di suo zio fu terribilmente dolorosa che quando le assestò uno schiaffo violento Sarah non riuscì a trattenere un grido. Rauco, quel suono stridette nella sua gola come il gracidio di un rospo ma più potente.

Quel bruciore allo stomaco si intensificava ogni istante che passava. Il suo cervello sembrava essere volato altrove; percepiva solo il suono del suo cuore che bussava contro la cassa toracica con veemenza tale da spaventarla.

Ashton le afferrò i capelli sulla sommità della testa e la trascinò ferocemente verso il letto per poi buttarcela sopra come un sacco di patate che non valeva niente.

Sarah avvertì le lacrime pizzicarle gli occhi. Doveva fare qualcosa, ribellarsi, invece di piangere e starsene lì come un'allocca. In trappola ci si era messa con le proprie mani, forse meritava quello che stava succedendo. Eppure era convinta di dover ritrovare quella parte di sé che non si lasciava annientare da nessuno, probabilmente sepolta ormai da tempo nel profondo della sua anima.

Peccato di mezzanotte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora