22. Dawson

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Nota autrice: ehilà! Da ora in avanti avremo altri due personaggi, e questo capitolo ne ha permesso l'entrata in scena. Spero vi stia piacendo lo sviluppo, e ricordate che ogni commento — positivo o negativo, purché costruttivo — sono il mio pane quotidiano per migliorarmi, quindi apprezzo molto leggerli da parte vostra.
Un abbraccio,
Alicia.

***

Dawson Taylor pensò che la scena a cui aveva appena assistito fosse tra le più sleali che gli fosse mai capitata occasione di vedere. Il carretto delle provviste era ancora dietro di lui; Willow, il cane bastardo che lo seguiva sempre come un'ombra si era fermato poco dietro e in quel momento, forse troppo intento ad osservare l'uomo steso a terra che sembrava esanime, non si rese conto che l'animale gli si era accostato e seguiva la traiettoria del suo sguardo.

—Buono, Willow— gli ordinò quando il cane cominciò ad avanzare verso l'individuo che quel bastardo aveva lasciato morto a poca distanza dal punto del bosco in cui si era trovato lui per puro caso.

—Non lo so se è morto— disse consapevole che il cane non poteva capire cosa stesse dicendo. Ma il suo dovere di medico gli impedì di andarsene quieto come era arrivato. Non poteva lasciarlo senza sapere se ci fosse ancora una speranza.

Quindi, sincerandosi che non ci fosse nessun altro nelle vicinanze, si levò dalla sua posizione acquattata e raggiunse il corpo all'apparenza privo di vita. Esaminandolo, dal taglio degli abiti, Dawson comprese che doveva trattarsi di un aristocratico.

Allungò un braccio e lo scosse leggermente per una spalla, ma non vi fu alcun segno di vita. Passò in rassegna il tronco, poi le gambe e infine le braccia. Il sangue si allargava da un punto sul fianco sinistro impregnando la terra infangata sotto di loro. Poteva essere morto. Eppure... Dawson si chinò per accostare l'orecchio sulla bocca dell'uomo. Quasi spasmodicamente, vi fu la fuoriuscita di un rantolo d'aria. Era vivo!

Doveva sbrigarsi se voleva salvargli la vita. Non senza sforzo, afferrò un braccio e se lo mise in spalla, tirandolo in piedi. La testa dell'uomo rovesciò in avanti, ma Dawson fu lesto ad adagiarsela contro il petto. Essendo esile di corporatura, Dawson non riusciva a sostenerlo adeguatamente perciò i piedi dello sconosciuto fendettero il terreno umido di pioggia lasciando due lunghi solchi al loro passaggio.

Willow lo attendeva davanti al carro con la lunga coda bruna che andava da una parte all'altra, ignaro che non ci fosse nulla per essere felici.

Dawson adagiò delicatamente il corpo sopra al carro con la borsa dei medicinali, poi afferrò il gancio e cominciò ad immergersi nel fitto sottobosco. Il cane lo seguì senza bisogno che gli impartisse un qualche ordine.

Quando raggiunse Perlbory, la sua dimora che si innalzava sulle rovine di un vecchio monastero, Dawson era sfinito ma sapeva che, una volta tornato a casa, poteva contare sull'appoggio di sua moglie, Anne.

Willow fu il primo a dirigersi verso l'entrata graffiando la porta di legno e abbaiando gaiamente. Non più di trenta secondi più tardi la porta si aprì cigolando, e un'esterrefatta Anne si portò le mani alla bocca. —Cosa diamine...

—L'ho trovato verso il confine— la interruppe Dawson fermando il carro in un punto non troppo lontano nel cortile. —Gli hanno sparato.

Anne sgranò gli occhi. —Dio mio.

Nel frattempo Dawson stava già sollevando il corpo. —Aiutami a portarlo dentro— chiese alla moglie.

Anne si affrettò a raggiungerlo. Il sole, quella mattina, si era già alzato e diffondeva un tenue chiarore sul cortile. Anne pensò che quel clima, dopo una leggera piovuta, fosse un miracolo, ma che non si associava troppo a quello a cui stava assistendo. Quell'uomo perdeva sangue dal fianco, troppo sangue. Per una scena del genere il cielo avrebbe dovuto essere dei più nuvolosi e tetri di sempre.

—Pensi che sopravviverà?

Mentre lo trascinavano all'interno insieme, Dawson si lasciò sfuggire un sospiro di sconforto. —Non nutro troppe speranze, ma tenterò fino all'ultimo di salvargli la vita. Quel bastardo gli ha sparato a tradimento.

—Hai assistito alla scena?— fece Anne quando, una volta entrati, lasciò lo sconosciuto nelle mani del marito e si accinse a sgomberare il lungo tavolo da lavoro di Dawson dagli utensili che non servivano. Corse in camera da letto e poi tornò con una coperta che stese sopra al tavolo.

Dawson adagiò lo sconosciuto sulla superficie di legno. Non si muoveva. Respirava fievolmente, ma perfino quel semplice movimento doveva procurargli dolore perché il suo volto sporco di terra era contratto in una smorfia sofferente.

—Ho visto quasi tutto— le rispose, arrotolandosi le maniche della camicia fino ai gomiti. 

—Credo che i due stessero discutendo per una donna, ma quello che non riesco a tollerare è la... tranquillità con cui l'altro ha premuto il grilletto.

Anne rimase interdetta per alcuni istanti, mentre Dawson cominciava a spogliare l'uomo. —Una mossa sleale.

—Fin troppo — accondiscese il marito con una smorfia che gli indurì le labbra. —Si è portato via la ragazza che piangeva disperata. Suppongo fosse sua moglie — indicò con un cenno del capo il corpo steso sul tavolo, — o un'amica molto intima. Piangeva troppo per essere solo una conoscente.

Comunque, adesso dobbiamo togliergli questi dannati abiti. Mi aiuti? —

Certo che lo avrebbe aiutato.

Anne e Dawson erano sposati da ormai dieci anni, e avevano sempre condiviso tutto. Dal dolore del bambino che avevano perduto ai pazienti di Dawson; Anne gli faceva da assistente e si prodigava quanto lui per salvare vite. Era anche un'ottima infermiera, si era complimentato una volta il marito, e quella mattina avrebbe dato tutta se stessa per cercare di mantenere in vita quell'uomo.

Sparare a tradimento era un concetto che lei non riusciva a comprendere, tantomeno a tollerare.

Una volta che ebbero spogliato lo sconosciuto fino alla cintola e furono sul punto di proseguire, il corpo fu attraversato da uno spasmo violento mentre gli occhi si spalancavano piantandosi su Dawson.

— No! — cominciò a gridare tentando di dimenarsi. Dawson lo prese per una spalla e lo costrinse dolcemente a rimettersi giù, ma il braccio dell'uomo riuscì a sollevarsi e la mano si avvinghiò alla camicia arrotolata del medico serrando forte.

—Chi siete? — Un rantolo spasmodico gli uscì dalla gola, graffiando le orecchie come unghie su carta vetrata. —Dove avete portato Sarah? Fatemela... Fatemela vede...

Prima che riuscisse a terminare la frase la presa si allentò sul braccio di Dawson e l'uomo ricadde sul tavolo chiudendo gli occhi. Anne fu lesta a sorreggergli la testa prima che toccasse il legno, poi lanciò un'occhiata al marito.

—Quella donna deve chiamarsi Sarah.

—Al momento non è la cosa più importante. — Dawson sollevò una mano per frenare le parole della moglie.

—Devo scoprire se la pallottola è uscita o è ancora all'interno. Penseremo più tardi ai drammi della vita di quest'uomo.

Dopo un attento esame, Dawson scoprì che la pallottola non era uscita, ma era rimasta incavata da qualche parte nel fianco. Perciò, aveva passato l'ora successiva a tentare di estrarla e ci era riuscito solo all'ultimo. Dopodiché, con l'aiuto di Anne, avevano disinfettato la ferita, ma il foro d'entrata aveva richiesto molta precisione per essere richiuso. Una volta che ebbe ricucito la ferita, Dawson si sentiva sfinito, ma poteva ben sperare che i suoi sforzi fossero valsi la pena. Quell'uomo aveva una tempra d'acciaio, emanava forza da ogni angolo del suo corpo e perfino quando si era risvegliato durante la la ricucitura e aveva compreso cosa stava accadendo, non aveva urlato, aveva solo digrignato i denti per il dolore ed era poi svenuto di nuovo.

Adesso, con accanto sua moglie Anne, e nonostante avesse buone speranze, Dawson fissava lo sconosciuto che respirava flebilmente con un unico pensiero in testa: sarebbe davvero riuscito a sopravvivere?

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