Non vedo come mi vedono

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Ci sono giorni in cui i ricordi di una vita felice riaffiorano e per qualche millesimo di secondo mi sento abbastanza e vedo il mio corpo per come è realmente... ma è così raro che tra un episodio e l'altro passavano mesi e la mia mente piena di cose di cui pensare buttava via ogni ricordo felice o pensiero razionale.
E mi ritrovavo a stringermi il polso tra pollice ed indice per vedere se ancora si chiudevano in un piccolo cerchio con il pollice sopra l'indice.
Ma poi ricordavo di avere il braccio e la mano quasi il triplo dell'altra e quando la afferravo le dita non si chiudevano mai... nemmeno arrivano alle ossa.
La dispercezione per eccesso, è la somma di una fobia irrazionale di prendere peso ed il risultato dei dialoghi interni con il DCA.
La verità è che il nostro corpo diventa il mezzo con cui proviamo a mostrare il dolore.
Quando ci guardiamo vediamo un corpo enorme, pieno di difetti e ci sotterriamo di cattiverie.
Le cattiverie che ci ripetiamo ingigantiscono tutto e ci permettono di spingerci sempre più affondo.
Ci aggrappiamo ai nostri difetti e al nostro dolore e tentiamo di controllare tutto per limitare il danno.
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Osservavo i corpi degli altri e gli trovavo così magri, non belli o attraenti... solo come desideravo il mio.
Di loro non vedevo i mille giudizi che a loro volta si davano.
Percepivo solo l'immagine del corpo, degli altri mi interessava solo quello.
Mentre io non mi ero mai vista allo specchio per come ero realmente.
Vedevo solo il mio dolore, il mio enorme dolore che indossavo addosso trasparente a gli occhi degli altri.
Ma per i miei occhi malati quella era la realtà.
Una realtà che mi ostinavo a ripetermi per paura che I mille tentativi dei medici mi allontanassero da ciò che volevo.
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Poi quando decisi di iniziare il recovery, mi stancai di vedermi sempre così enorme perché dentro di me sentivo che non era reale.
Così provai tutti i tentativi e per quanto fossi contraria a tutti quei numeri mi feci aiutare a trovare dei modi per "misurare" il mio corpo.
Per iper lo per come è realmente.
Ne provai diversi e nel mio caso aiuto usare un paio di pantaloni e percepire come mi stavano addosso.
Ogni giorno erano sempre dannatamente larghi nonostante fosse una taglia già di se troppo piccola per una alta come me.
Ogni giorno mi stavano larghi... mi dava fastidio o meglio dava fastidio alla mia mente malata essere smentita.
Io piano piano iniziai ad apprezzare di percepire la verità nonostante accadesse poche volte.
Percepivo il mio scheletro e iniziavo a capire cosa intendessero i medici quando mi dicevano che ero già all'osso.
E piano piano per quanto odio provassi verso quei medici che mi avevano negato un normale percorso sminuendomi e negandomi gli aiuti.
Ero pronta a darmi da fare.
Lavoravo sull'accettazione.
Accettavo di cambiare.
E mi ripetevo che questa non vita, così avrebbe fatto solo schifo.
Dovevo cambiare e per farlo dovevo accettare di non essere in grado di fare un giudizio al mio corpo dall'esterno.
Perché per quanti passi potevo fare quel pensiero era ancora troppo pericoloso e poteva rinforzarsi da un momento all'altro sfruttando le mie insicurezze.
Mi fidai di chi mi voleva bene e misi da parte l'idea che avevo di me.
Ferma a quando avevo 12 anni.

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