Vader avanzava per le strade deserte di Theed, le mani strette a pugno e la schiena dritta. Quel giorno era una giornata tempestosa su Naboo e il vento ululava come un animale ferito e faceva ondeggiare il mantello alle sue spalle come un'ombra scura. Quel giorno aveva svolto una missione su ordine dell'Imperatore, un'inutile ricerca di presunti ribelli sul pianeta natale di Palpatine che aveva lasciato la Death Squadron con nient'altro che un buco nell'acqua e una pila di rapporti da compilare. Nemmeno la ribellione era così stupida da tentare di impiantare una cella su Naboo. Così quel giorno, quel fatidico, dannato giorno, Vader si trovava lì, circondato dalla dolcezza di un mondo dolorosamente famigliare, che si impegnava costantemente per dimenticare.
Sembrava tutto troppo calcolato per essere una coincidenza. L'imperatore lo voleva lì quel giorno, il giorno in cui diciannove anni prima, su una terrazza sospesa su un lago splendente, Anakin Skywalker e Padmè Amidala si erano uniti in matrimonio.
Vader non voleva rivivere nessuno di quei ricordi sepolti di un'altra vita. Non voleva ricordare come era apparsa vestita di bianco ancora più bella di un angelo, come la luce del tramonto si era riflessa sul viso radioso di lei, come erano stati felici e spensierati in quel momento, nonostante alle loro spalle ci fosse una galassia che si stava avviando verso la definitiva decadenza. Non voleva, eppure ricordava ogni piccolo dettaglio e ognuno di essi era come un spillo infuocato piantato nel cuore.
Vader voleva fermarsi, tornare indietro, salire sull'Executor più veloce che poteva e lasciarsi alle spalle quella vita passata, ma le sue gambe sembrano muoversi di loro iniziativa e non riusciva a fermarsi, spinto dal desiderio quasi masochista di rivederla un'ultima volta.
Non era mai stato nel monumento funebre, non aveva mai avuto il coraggio. La cappella era piccola, ma imponente, con il soffitto alto e le pareti circolari. In alto si aprivano delle enormi finestre, che lasciavano entrare i rumori del lago e della città nel luogo del riposo eterno della più amata regina di Naboo. La tomba si trovava al centro, circondata da fiori bianchi e alle sue spalle si ergeva una grande vetrata che ritraeva la sua ospite.
Non le rendeva giustizia, fu il primo pensiero nella mente di Vader. La donna ritratta era fredda e distante, guardava il suo popolo adornata dalle vesti tradizionali di Naboo con uno sguardo inespressivo. Quella donna era la Regina Amidala, non Padmè Naberrie. Non aveva nulla della passione e dell'energia indomabile che normalmente faceva brillare gli occhi di Padmè.
Incapace di guardarla più a lungo, Vader distolse lo sguardo. Era tutto sbagliato. Quel posto non le rendeva davvero onore, mancava tutto ciò che la rendeva lei stessa, tutto ciò che la rendeva unica. E soprattutto, mancava un'altra persona. Perché Padmè non era morta da sola, ma insieme a lei si era spenta anche un'altra luce, che per un brevissimo istante aveva illuminato di speranza le loro vite. Loro figlio.
Vader ansimò, nonostante il respiratore meccanico, e cadde in ginocchio, per un attimo sopraffatto dalla monumentalità della sua perdita, che nessuna opera architettonica elegante avrebbe mai potuto colmare.
Era colpa sua. Lui li aveva uccisi entrambi. Le due persone a cui più teneva nella galassia erano morte per causa sua, perché aveva perso il controllo, perché era perso, contorto dal Lato Oscuro-
"Non ci hai uccisi tu."
Vader alzò la testa di scatto al suono della voce, una voce limpida e decisa che non sentiva da diciannove anni. Quello che vide lo fece balzare indietro in maniera molto poco dignitosa per un Signore dei Sith. Seduta sul sarcofago, con le gambe incrociate, avvolta nel lungo abito blu con il quale era stata seppellita, Padmè lo fissava con un'espressione indecifrabile.
"Non ci hai uccisi tu." Ripetè, stavolta con voce più tagliente.
Vader sbattè le palpebre un paio di volte, cercando di scacciare via quell'immagine. Perché doveva essere una crudele illusione del suo cervello, non c'era altra spiegazione. "Non sei reale." Tuonò, sobbalzando lievemente al suono della sua voce così rumorosa in quel luogo così sacro. "Sei dentro la mia testa."
Padmè inclinò la testa di lato "Certo. Ma perché dovrebbe significare che non sono reale?"
Vader aprì la bocca, poi la richiuse. Padmè sembrò vedere la sua espressione nonostante la maschera, perché sorrise lievemente. "Sono reale abbastanza per fare questo." Con salto leggero si librò in volo, una nuvola di blu e di luce e Vader notò che tra i suoi capelli scuri c'erano dei fiori bianchi.
Padmè si avvolse intorno a lui, abbracciandolo con il suo calore e Vader lo percepì fin nelle ossa. Qualcosa si strinse intorno alla sua mano e l'attimo successivo si ritrovò tra le dita un ciondolo di japor terribilmente familiare. Se la sua mano fosse stata umana, avrebbe tremato.
Padmè fluttuò di nuovo davanti a lui, sospesa a pochi metri dal suolo, ma abbastanza in alto perché Vader dovesse piegare la testa per guardarla.
"Questa è solo una visione." Mormorò, e il modulatore faticò a captare la sua voce.
Padmè chiuse gli occhi e sospirò. Sembra triste e stanca e rassegnata e anche se quello era solo uno stupido prodotto della sua immaginazione, quell'espressione sul viso di lei lo turbava e non desiderava altro che farla scomparire.
"Tu sei morta." Disse Vader, la voce metallica priva di emozioni, come avrebbe voluto che fosse stato anche il suo cuore.
"Sì." Rispose Padmè. "Ma devi ascoltarmi. Non sai ancora nulla, Anakin."
"Quel nome non ha alcun significato per me!" Esclamò Vader, automaticamente. Non poteva sopportare di sentirlo pronunciare da lei, con la sua voce e con tanta naturalezza. Doveva seppellire quelle emozioni, schiacciarle ed eliminarle, altrimenti non sarebbe riuscito ad andare avanti.
"Ce l'ha per me! E io sono una parte di te, quindi non puoi negarlo nemmeno tu!" Sbottò Padmè con veemenza, ergendosi in tutta la sua statura, ed usando il tono tipico delle sessioni in Senato.
"Che cosa vuoi?" Chiese Vader.
"Tu. Ti rivoglio indietro." Disse, esalando una profonda e inconsolabile tristezza, tanto forte che Vader dovette distogliere lo sguardo.
"È impossibile. E lo sai anche tu. Soprattutto tu." Replicò Vader, amaro.
"E allora?" Disse Padmè, alzando le spalle. "Non sogni anche tu cose impossibili?"
Vader cadde in silenzio, incapace di trovare le parole per ribattere a tanto candore e a tanta speranza. La sua esitazione sembrò invigorire Padmè.
"Devi ascoltarmi, Anakin. Tu non ci hai uccisi. Non sei stato tu, è stato lui." Disse Padmè, con un'agitazione evidente che aumentava di parola in parola.
In un attimo, gli fu addosso e gli prese la testa fra le mani. Vader sobbalzò, ma colto di sorpresa dall'improvvisa vicinanza, non reagì.
"Devi aprire gli occhi, Anakin. Apri gli occhi. Apri gli occhi!" Padmè stava urlando ora, e la sua voce gli rimbombava nel cervello, assordandolo e stordendolo.
Il suo viso sfumò sempre di più in una macchia bianca, mentre pronunciava a ripetizione quelle tre parole e d'un tratto tutta la sua mente si fece bianca e confusa, e la testa iniziò a girargli come se stesse perdendo i sensi.
Vader aprì gli occhi di scatto e si alzò a sedere. Si trovava ancora nel monumento funebre, la pioggia batteva imperturbabile sulle finestre e in lontananza risuonava un rombo di tuono. Non c'era alcuna traccia di Padmè intorno a lui e per un secondo si convinse di essersela immaginata. Almeno fino a quando non abbassò lo sguardo e si rese conto di stringere ancora tra le dita il ciondolo di japor.
Vader rimase a fissarlo per alcuni lunghi minuti con riverenza, cercando di sentire una traccia dell'anima a cui era appartenuto, ma il ciondolo rimase silenzioso. Vader se lo infilò in una tasca della cintura e marciò verso l'Executor.