Capitolo cinque

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ELEONORE

La Cadillac frenò bruscamente una volta entrati nel malandato parcheggio della scuola. Le linee sull'asfalto erano talmente consumate che ormai non si riusciva nemmeno più a distinguere un posto auto dall'altro, ma, in fondo, anche quello alimentava il fascino della Heinville. Scesi dall'auto fiammeggiante, dirigendomi, insieme ai miei gemelli, a passo spedito verso l'ingresso e, appena misi piede nell'atrio affollato di studenti, andai in scena.

"Levati di mezzo idiota, non vedi che siamo arrivati?" Esclamai verso un biondino che smanettava in disparte con il suo smartphone.
"Guai a te se ti trovo un'altra volta appoggiato al mio armadietto: è off-limits, e di sicuro non voglio che sia contaminato da te" aggiunsi con disprezzo mentre mi avvicinavo, squadrandolo dall'alto verso il basso.
In tutta risposta lui se ne andò in silenzio: un primino senza arte né parte che doveva ancora imparare le regole, proprio come mi aspettavo.

"Brava Eleonore, l' hai rimesso al suo posto divinamente" mi sibilò Evelyn all'orecchio. Se fossi stata qualche centimetro più vicina alle sue labbra, avrei potuto sentire la sua lingua biforcuta sfiorarmi il lobo.

Poi fu la volta di Elio che, veementemente, aggiunse: "Non avete sentito mia sorella? Allontanatevi dai nostri armadietti."

Mi voltai verso di lui; il suo viso, attraversato da un'espressione dura, era bello come non mai, le sue labbra erano rigidamente serrate, i suoi occhi brillavano di una luce diversa dal solito, quasi meschina.
Mio fratello aveva sempre fatto girare la testa a molte ragazze, ma in quel momento la sua bellezza mi parve diversa, morbosa, come quella del cattivo delle favole. Accanto a me Evelyn lo fissava estasiata: se non fossero stati fratelli avrei detto che se lo stesse mangiando con gli occhi, ma, ovviamente, era impossibile perché, oltre a essere una squadra, oltre a supportarci l'un l'altro, eravamo tre gemelli legati da un indissolubile legame di sangue.

Mentre prendevo dall'armadietto i libri, pronta a subire un altro noioso monologo di Miss Evans sull'importante contributo di Freud alla psicologia contemporanea, mi squillò il telefono: era solo una foto di Amelia Grey al ballo di ieri, talmente ubriaca da non accorgersi di essersi versata un drink addosso.
L'immagine era accompagnata da un messaggio: Guarda guarda, non avrai mica squartato qualcuno, vero Grey?.
Evidentemente qualche sciocco pensava che sarebbe stato uno scherzetto divertente fingere che quella macchia fosse sangue, ma a mio parere non ci sarebbe potuto essere nulla di più infantile, anche se, a giudicare dagli sguardi confusi e allarmati dei ragazzi che mi circondavano, quello sciocco era riuscito nel suo intento: avevano abboccato tutti.

La Grey non era mai stata maltrattata da nessuno a scuola; lei era la ragazza modello, quella gentile, cordiale, con i biondi capelli sempre in ordine. Nonostante stesse simpatica a molti, la vedevo sempre con gli stessi due ragazzi, sin dai tempi delle elementari: Lucas Fernandez e Julian Denwood.
Si vociferava persino che tra lei e Julian ci fosse del tenero, ma personalmente non ci credevo, anzi, era impossibile. Molto probabilmente la Grey aveva una cotta per lui che, però, la considerava solo un'amica.
Che peccato. Sollevai lo sguardo al cielo con un sorrisetto compiaciuto.

Le lezioni sarebbero cominciate non prima di dieci minuti, quindi decisi di andare alla toilette per dare una sistemata veloce al rossetto. Mi avviai verso il bagno del piano terra. Ero sola, vulnerabile, esposta a quel marasma che lo affollava. Senza i miei fratelli non ero la stessa, sentivo mancare una parte di me, ma cercavo comunque di essere quella di sempre, quella cattiva e acida: dovevo farlo, dovevo essere così, ero una Lilbloom e piano piano, mio malgrado, lo stavo anche diventando. Sapete come si dice nel teatro no? Col tempo si ruba l'essenza del proprio personaggio. Ecco, stava succedendo più o meno questo.

Spalancai la porta del bagno e mi diressi in tutta tranquillità verso lo specchio, incorniciato da bianche piastrelle démodé. Era un ambiente spoglio ed essenziale, ma l'odore di candeggina ne sottolineava l'estrema pulizia. Riflessa nel vetro vidi, circondata dai capelli rossi, la mia carnagione chiara in forte contrasto con le labbra ciliegia.

Un leggero gemito; sentii un leggero gemito e arretrai, in silenzio, per cercare di capire cosa stesse succedendo e chi fosse lì oltre a me. A quel lamento ne seguirono molti altri, di varia intensità, inframmezzati da qualche frase spezzata dal pianto.

"Perchè proprio a me?" Sussurrava, disperata, una voce dietro la porta del bagno centrale.

Decisi allora di avvicinarmi piano piano e appoggiai delicatamente il fianco al duro stipite in legno, chiedendo alla voce misteriosa, con dolcezza quasi forzata, se fosse tutto a posto. Non ricevetti risposta e quindi, afferrato il freddo pomello, spinsi lentamente la porta, scoprendo chi vi si nascondeva.

Ecco un nuovo capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate💛🌼

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