Il giorno dopo mi svegliai di buon umore. Scesi nella mensa dell'hotel per fare colazione e, come se la fame della notte precedente non mi avesse mai abbandonato, fui felice di trovare un intero buffet a mia disposizione. Presi un vassoio e lo riempii con ogni genere alimentare presente nella stanza, poi cercai un tavolo a cui sedermi. Gran parte della troupe era già arrivata, c'era chi mangiava in silenzio e chi sembrava sveglio da ore, ma Simon e Tyler non c'erano. Pensai di andarmi a sedere da solo quando una serie di risolini allegri attirarono la mia attenzione.
Le ragazze più giovani della troupe si erano raggruppate nello stesso tavolo e chiacchieravano come se fossero reduci da un grande pigiama party. Sorrisi di sollievo nel vederle e le mie gambe agirono prima di me: mi presentai da loro con il mio vassoio. Ero intenzionato a stringere quante più amicizie possibili finché ero in tour e loro sembrarono felici di farmi spazio.
Fu in questa occasione che conobbi Abby, una delle tante assistenti ai tecnici. Anche lei era del Tennessee e stringemmo amicizia in pochissimo tempo. Ogni mattina mi svegliavo in un hotel diverso e la prima persona che sentivo era lei. Ci scrivevamo appena svegli, quando era ancora troppo presto per abbandonare i reciproci letti, ma quando arrivavano i morsi della fame ci davamo appuntamento a colazione. I buffet degli hotel erano il nostro regno e mangiavamo quantità industriali di roba senza alcun ritegno. Io mi concentravo sul salato, Abby faceva i miscugli più improbabili.
Dopo la colazione c'erano gli spostamenti, le autostrade, le fermate. Sul bus c'era sempre o molto silenzio o molta musica e la cosa che preferivo in assoluto era sedermi di fianco a una persona che non conoscevo e arrivare a destinazione ridendo e scherzando. Era così che ero venuto a conoscenza di vita, morte e miracoli dell'autista, un uomo sulla settantina più che felice di aver qualcuno con cui chiacchierare mentre ci scorrazzava per tutta l'America.
Una volta arrivati al locale in cui si sarebbe tenuto il concerto, c'erano le prove. Nei momenti morti Jeremiah mi ronzava attorno e mi offriva una sigaretta che io rifiutavo mentre mi godevo il sole dagli spalti, poi si procedeva alla terza e più importante fase della giornata: il concerto. Andare nei camerini per indossare gli abiti di scena aveva qualcosa di rituale, come se fosse davvero quello il momento in cui cominciava la magia. Quei vestiti erano la versione di noi che il pubblico aspettava, con cui saremmo stati fotografati, condivisi, immortalati. Io per primo adoravo vedere i J-EY in tiro, ma non invidiavo tutti gli strati che erano costretti a sopportare. I miei outfit si limitavano quasi sempre a pantaloni e maglietta. Queste potevano avere fantasie strane o scolli diversi, ma mi lasciavano libero di muovermi e ballare quanto volevo. Ogni sera andavo sul palco sempre un po' più sicuro di me stesso. Cantavo, sorridevo il più possibile, poi scendevo. In due ore avevo finito ed Abby veniva ad acclamarmi, orgogliosa.
La routine era sempre questa, mi bastarono pochi giorni per adattarmici. Ogni giorno era uguale all'altro nel miglior modo possibile. E anche le notti, dopo un periodo iniziale in cui ogni tanto mi facevo vedere e ogni tanto no per i corridoi dell'hotel di turno, diventarono tutte di Jeremiah.
Al ritorno in hotel si cenava tutti assieme, poi ognuno si ritirava nella propria camera. Io non disfacevo mai le valigie: mi buttavo sotto la doccia, mi asciugavo i capelli, chiamavo la mia famiglia per raccontare com'era andata la giornata e poi mi rivestivo. Quando tutti i componenti della troupe erano andati a dormire e nell'hotel scendeva un gran silenzio, io uscivo dalla mia stanza.
Io e Jeremiah non ci eravamo mai detti di non interagire durante il giorno, ma ogni volta che qualcuno ci vedeva insieme ci rifilava strane occhiate, come se un serpente si fosse messo a parlare con una coccinella, per cui evitavamo se possibile. Invece di notte potevamo passeggiare, parlare di tutto, parlare del niente, ma la verità era che le nostre non erano conversazioni. Io facevo dei monologhi che non avevano nessun riscontro, lui cercava di farmi fumare ogni volta che tirava fuori una sigaretta e non si perdeva d'animo quando rifiutavo.
Ogni tanto facevamo una marachella, come avrebbe detto una delle mie prozie. Una volta Jeremiah nascose un soprammobile che giudicava troppo brutto e un'altra volta feci cadere un vaso, ma erano tutti casi isolati finché non ci mettemmo a scrivere dietro ai quadri appesi per gli hotel. Io scrivevo quasi sempre una frase dell'ultima canzone che stavo scrivendo e Jeremiah non mi lasciava mai leggere le sue cose, ma una di quelle notti lasciò fare a me tutto il lavoro: io gli dissi di mettere via il cellulare quando vidi che puntava l'obbiettivo verso di me, ma lui conosceva i miei punti deboli.
Prima di tutto mi disse che il video era soltanto per i J-EY. Poi mi mise una mano dietro al collo, casuale come si poteva essere solo fra buoni amici. Io ovviamente andai in brodo di giuggiole e lo lasciai fare, ma fu solo la mattina successiva che capii di aver sbagliato.
Stavo facendo colazione con Abby quando successe. Ero tranquillo, un po' stanco per non aver dormito molto, ma mi bastò vedere come Samantha veniva verso di me a passo di ferro per capire che era successo qualcosa. Ero già pronto a scusarmi per un qualsiasi errore commesso durante l'ultima esibizione quando lei, furiosa, mi piazzò davanti agli occhi il suo cellulare. Inutile a dirlo, il video era su Internet.
Mi dovetti scusare con il proprietario dell'hotel. La Gibbs firmò un assegno per ripagare i danni. Quello che avevo fatto girò sulla bocca di tutta la troupe e quando salimmo sul bus per levare le tende mi guardavano tutti con una strana apprensione. Desideravo soltanto fare un pisolino e dimenticare la faccenda, ma Samantha non aveva finito con me: venne a sedersi nel posto davanti al mio e mi fece la paternale.
"Si può sapere perché lo hai fatto?"
"È stata una ragazzata."
"Non sei più un adolescente.""Lo so. Ho sbagliato, non si ripeterà più."
Samantha sospirò, delusa. Lanciò un'occhiataccia a tutti i curiosi che stavano ascoltando, poi tornò a guardarmi.
"Chi ti ha fatto il video?" chiese, schietta.
"Nessuno."
"È stata Abby?"
"No! Abby non c'entra niente."
"E allora chi è stato?"
Io premetti le labbra insieme e non dissi niente. Lei stette a guardarmi finché non capì che non avrei fatto la spia, per cui si allontanò scuotendo la testa. Tempo dieci secondi e ricevetti una telefonata da Jeremiah.
"Sì?" chiesi.
"Grazie." mormorò lui. Si trovava a poche file di distanza da dov'ero io, ma chiaramente non voleva raggiungermi di persona dopo che Samantha aveva aperto la caccia al mio presunto complice.
"E di che."
"Lo sai, vero, che non ho messo io il video in rete? L'ho solo mandato ai ragazzi."
La sua voce era così soffice. Così dispiaciuta per me. Non potei evitare di farmi scivolare sul mio sedile e di accovacciarmi così contro il finestrino, tutto sognante.
Ignoravo che Samantha mi stesse ancora guardando. Ignoravo che stesse guardando anche Jeremiah, sempre nella lista dei suoi sospettati quando succedeva qualcosa di brutto, e che avesse notato che entrambi eravamo al telefono e parlavamo piano. Guardò il sorriso che nascondevo con le mani, osservò il modo in cui mi attorcigliavo su me stesso quando era il turno di Jeremiah di parlare. Le fece aggrottare la fronte, ma rimase silenziosa a pensare.
STAI LEGGENDO
THE LOVING ONE
RomanceCharlie ha ventidue anni e sogna di fare il cantante. Quando gli viene proposto di partire in tour coi J-EY, una delle rock band più popolari del momento, coglie l'occasione al volo, ma la sua scalata verso il successo non sarà tutte rose e fiori. ...