La pioggia non volle proprio fermarsi durante quella primissima mattinata con Mark e le bambine. All'inizio sembrava un acquazzone temporaneo, invece andò avanti per ore ed io rimasi bloccato in quella casetta di campagna per più tempo del previsto. Non facevo altro che scusarmi e dire che me ne sarei andato il prima possibile, ma Mark fu più che felice di andarmi a prendere dei vestiti asciutti mentre sua madre aggiungeva allegramente un posto a tavola.
Pranzammo tutti insieme. Dopo il dolce (una torta fatta in casa così morbida che non avrei mangiato altro per il resto della vita), mi alzai e cominciai a salutare, ma le bambine si aggrapparono alle mie gambe e mi pregarono di vedere un cartone animato con loro. Io ed il mio cuore debole acconsentimmo, ma a patto che poi me ne sarei andato per davvero.
Fu con questi propositi che mi riaccomodai sul divano, ma dopo i primi cinque minuti di film mi si chiudevano gli occhi. Mi addormentai e quando mi svegliai, nel tardo pomeriggio, mi ritrovai da solo, con una coperta di cotone sulle gambe. La televisione era spenta, delle bambine non c'era traccia e la casa era immersa in una grande quiete.
Mi sporsi dal divano e fui rassicurato nel trovare Mark. Era seduto al tavolo della cucina e stava lavorando a dei documenti con un'espressione parecchio concentrata, ma quando alzò lo sguardo e notò che mi ero svegliato, sorrise. Si tolse gli occhiali da vista, appoggiò la penna sul tavolo e mi chiese se volevo tè e biscotti.
Tornai a casa per cena. Non dissi ai miei genitori dov'ero stato per tutto il giorno e loro non me lo chiesero, ma mi guardarono strano finché non mi accorsi di indossare ancora i vestiti di Mark.
Il giorno successivo mi svegliai di buon'ora. Mi vestii sportivo, uscii di casa allo stesso orario del giorno precedente e, guarda caso, tornai ad imbattermi in quel trio di zio e nipotine. Io e Mark ci scambiammo dei grandi sorrisi sorpresi, ma sapevamo entrambi che non c'era nulla di casuale in quel secondo incontro: io non ero un appassionato di corsa e lui non faceva mai lo stesso tragitto per due giorni consecutivi.
Passammo la mattinata insieme. L'ora di pranzo arrivò in un batter d'occhio e Mark mi invitò a casa di sua madre, ma io mi rifiutai di disturbare ancora quella povera donna. Dissi che sarei tornato a casa mia e che ci saremmo rivisti il giorno dopo, ma Mark non fu d'accordo: dopo aver lasciato le bambine dalla nonna, io e lui prendemmo l'auto e andammo in città. Trovammo un locale tranquillo e ordinammo da mangiare.
Dopo un primo momento di imbarazzo, io e Mark iniziammo a chiacchierare così appassionatamente che il nostro cibo si freddò. Eravamo allegri, scherzavamo, ci capitava già di fare le prime battute che capivamo solo noi e quando nessuno diceva niente non smettevamo comunque di sorridere. Eravamo così presi l'uno dall'altro che quasi non notai la ragazzina che venne verso il nostro tavolo. All'inizio pensai che ci dovesse chiedere una sedia o un tovagliolino, ma poi vidi il modo in cui teneva il cellulare stretto al petto. La sua postura era rigida, le guance erano più paonazze della norma, quei suoi occhi brillanti puntavano solo me...
Dal momento in cui capii che si trattava di una mia fan, non pensai nemmeno per un attimo a Mark e a tutti i dettagli che avevo omesso nel descrivergli il mio lavoro: la salutai e lei per poco non si mise a piangere. La rassicurai tenendole le mani fra le mie e ci scattammo una foto insieme, dopodiché lei se ne andò. Io tornai a voltarmi verso Mark e lo trovai a dir poco confuso.
Glielo dissi. Gli dissi chi ero. Il mio nome non gli diceva molto, ma quando (contro la mia volontà) tirò fuori il cellulare e lo digitò su Youtube, spalancò gli occhi nel riconoscere i titoli dei miei pezzi più famosi. Per un po' non fece altro che guardare da me allo schermo, incredulo, ma quando il cameriere venne a dirci che la cucina stava chiudendo, dimenticò tutto: mi mise davanti il menù dei dessert e mi indicò tutte le cose che dovevo assolutamente assaggiare.
Il terzo giorno che passammo insieme andò più o meno allo stesso modo. E anche il quarto. Dal quinto le bambine tornarono a scuola (le avevo conosciute nel bel mezzo di uno sciopero o qualcosa del genere), per cui io e Mark iniziammo a vederci quando ci faceva più comodo. Lui lavorava da casa ed io potevo lavorare alla mia musica a qualsiasi ora del giorno o della notte, per cui tutti i nostri impegni giravano attorno a suoi. Il che significava pranzi su pranzi. Cene su cene. Gelati presi in dieci minuti e colazioni infinite in cui stavamo entrambi troppo bene per imporci di bere in fretta i nostri caffè e salutarci.
Il momento della settimana che preferivo era il sabato pomeriggio. Le bambine erano a casa da scuola, Mark finiva di lavorare presto ed io ero sempre disponibile, per cui salivamo tutti e quattro in macchina e andavamo in gita.
Non ci allontanavamo mai troppo dalle nostre case. Il viaggio prevedeva un giro turistico di tutti i parchi gioco dei dintorni, qualche negozio in cui dover sbrigare delle commissioni e un appuntamento fisso da Donut's, il caffè dove vendevano le ciambelle più zuccherose che avessi mai mangiato. Le bambine tornavano a casa esauste. Le riportavamo ai genitori che ci ringraziavano per averle fatte uscire, poi io e Mark andavamo a casa mia.
I miei genitori uscivano durante il fine settimana, per cui ci impadronivamo del salotto e della cucina. Lui scaldava della pizza surgelata, io sceglievo il film, dopodiché ci buttavamo sul divano e passavamo le due ore successive a ridere e a mangiare. A metà film facevamo una pausa per andare in bagno e per spostare i rimasugli della cena, poi tornavamo a metterci comodi. Io mi accoccolavo contro il fianco di Mark e lui, che non perdeva occasione per condividere tutto il calore che aveva dentro, mi circondava le spalle con un braccio e mi teneva vicino a sé.
Ogni domenica mattina mi sentivo combattuto. Una settimana tirava l'altra e Gary mi scriveva ogni giorno per sapere quando sarei tornato a Filadelfia, ma io non riuscivo a pensare a nulla che non fosse l'immediato presente. Al mattino decidevo cosa avrei fatto fino all'ora di pranzo, a pranzo decidevo cosa avrei fatto fino all'ora di cena, ed ero felice così. Ero felice con Mark e le bambine. Ero felice in quella parentesi domestica di giochi, divertimenti, aria pulita e torte fatte in casa, anche se sapevo che non sarebbe durata a lungo.
Alla fine mi imposi un tempo limite. Presi il calendario, scelsi un giorno e comunicai a Gary che quella sarebbe stata la data del mio rientro a Filadelfia. Lo dissi anche a Mark, per correttezza, e lui si ingrigì. Passò i giorni successivi a chiacchierare meno e a guardarmi di più, finché un giorno non mi baciò.
Stavamo giocando a nascondino con le bambine e ci eravamo ritrovati dietro allo stesso capannone. Io ero arrivato per primo, lui era alla ricerca di un nascondiglio migliore, ma io gli avevo fatto segno di raggiungermi e lui non si era opposto. Si era accucciato di fianco a me e avevamo aspettato insieme che qualcuno venisse a scovarci, ma le bambine non arrivavano mai.
Il silenzio era pacifico, l'aria profumava di erba tagliata. Mi ero tolto il cappotto per poter giocare con le bambine, ma a stare fermi veniva freddo e Mark si accorse che avevo la pelle d'oca. Mi mise un braccio attorno alla schiena ed io gli sorrisi prima di appoggiare la fronte contro il suo collo caldo. Lui mi chiese il permesso di baciarmi ed io glielo concessi.
La settimana successiva tornai a Filadelfia con l'umore sotto ai piedi e una montagna di lavoro da sbrigare, ma con anche un fidanzato da chiamare tutte le sere.
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THE LOVING ONE
RomanceCharlie ha ventidue anni e sogna di fare il cantante. Quando gli viene proposto di partire in tour coi J-EY, una delle rock band più popolari del momento, coglie l'occasione al volo, ma la sua scalata verso il successo non sarà tutte rose e fiori. ...