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Era una giornata grigia e parecchio noiosa. In università sembravamo tutti metereopatici alla ricerca di qualche flebile e timido raggio di sole. Io, come sempre, mi ero preparata ad affrontare quella giornata uggiosa con una felpa extra large nera, un paio di jeans scuri aderenti e i miei adorati scarponi neri (che mia madre definiva da guerra). Dopo tre ore di lezione senza alcun accenno a una pausa, io e Lara accogliemmo lo stacco tra spagnolo e inglese come una manna dal cielo e ci affaccendammo per raggiungere le macchinette, desiderose come non mai di sorseggiare il nostro caffè. Iniziammo a parlare del più e del meno, poi ci raggiunse Marco, un ragazzo che l'anno prima avevo conosciuto durante un seminario del quale non ricordo neanche l'argomento. Marco studiava ingegneria, era un ragazzo molto intelligente e, di tanto in tanto, capitava di scambiare qualche parola nei corridoi, tra una lezione e l'altra.Dopo appena qualche minuto di chiacchierata, Marco venne affiancato da quello che riconobbi subito come un suo collega: li avevo visti spesso insieme, ma poco mi importava di chi fosse. Stavo ancora cercando di sanare il mio povero cuore spezzato dopo la fine della relazione con Silvio; guardarmi attorno non era una delle mie opzioni.

Capii subito che mi notò. Si presentò autonomamente, allungando una mano verso di me. Mi disse di chiamarsi Alex, io gli porsi la mia e gli dissi il mio nome. Era un ragazzo alto, moro, dai lineamenti duri e gli occhi quasi neri. Sul viso, un accenno di barba incolta lasciava immaginare la disperazione da sessione invernale appena conclusa. Scambiammo quattro chiacchiere, ma io mi mostrai molto rigida e, forse, lo lasciai anche intendere. Comunque, il ragazzo non si diede per vinto: iniziò a seguirmi su Instagram ed ebbe cura di rispondere a quasi tutte le storie che pubblicavo tanto che, un giorno, usò la classica scusa della chat di Instagram che funziona male e mi chiese il numero. Gli dissi che preferivo lasciare il mio numero solo a chi conoscevo, così, per tutta risposta, mi scrisse: "Allora conosciamoci".

Accolsi quella sua risposta come intraprendenza e, devo ammettere, acquistò qualche punto. Lo accontentai e decidemmo di vederci per un aperitivo quella sera stessa.

Parlammo tanto e iniziai a vivermi il conteso in maniera molto rilassata, tanto che riuscii anche a divertirmi molto.

Quando mi riaccompagnò a casa (cliché dei cliché) scappò anche un bacio. Non fu un bacio intenso ne particolarmente sentito, ma mi diede la spinta per continuare, quantomeno, a provarci.

Durante quella prima settimana ci sentimmo e vedemmo spesso. Mi piaceva passare del tempo con lui e anche lui sembrava molto felice di passarne con me.

Dopo circa due settimane da quel primo bacio, decidemmo di provare a stare insieme,dato quanta complicità entrambi avevamo riscontrato tra noi. Però,lui volle fare le cose per bene: mi portò a cena, comprò una bottiglia di vino costosissima e mi chiese di metterci insieme come nei film, sotto un cielo tappezzato di luminosissime stelle. Trascorremmo buona parte del dopo cena con il naso puntato al cielo,in una zona abbastanza lontana dalla città, così che fosse più facile eludere i fumi e le luci che ne avrebbero coperto la luminosa bellezza. Iniziò a fare freddo e ci acquattammo sui sedili posteriori della sua auto. Iniziammo a baciarci, prima in modo tenero, poi sempre più passionale. Era già capitato altre volte, ma non ci eravamo mai spinti oltre perché io non volevo, e lui lo sapeva. Gli avevo detto di quanto era stato difficile per me riuscire ad accettare che non fosse più Silvio a toccarmi; gli avevo detto di essere molto particolare a livello sessuale, che avevo bisogno di un certo grado di intimità e sentimento per riuscire a sentirmi pronta a fare l'amore con qualcuno; gli avevo detto che ci sarebbe voluto del tempo perché potessi sentirmi pronta di farlo con lui, dato che non sentivo il trasporto necessario per poter essere totalmente a mio agio. Sapeva tutto, eppure, quella sera, sembrò dimenticarsene.

Mi sbottonò i jeans e fece scivolare la mano al loro interno con una velocità da record. Gliela bloccai, ma lui non volle sentire ragioni. Continuò ascendere finché non arrivò all'elastico delle mutande. Lo fermai di nuovo, ma non servì a niente.

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